Ai costi fittizi possono corrispondere ricavi fittizi

Nel caso di falsa fatturazione e dell’accertamento di un maggior imponibile da parte del Fisco, il contribuente può sempre dimostrare che ai costi inesistenti, rilevati in sede di verifica, corrispondano ricavi correlati parimenti inesistenti.

La Sezione Tributaria della Corte di Cassazione, nella sentenza n. 25967 del 20 novembre 2013, propone un nuovo orientamento in tema di operazioni oggettivamente inesistenti, ovvero che il contribuente al quale vengano contestati maggiori redditi derivanti da fatture per costi inesistenti, può dimostrare che i ricavi correlati siano altrettanto fittizi, così ottenendo l’annullamento dell’accertamento da parte dell’Amministrazione finanziaria. Il caso. Ad una società di capitali sono stati contestati maggiori redditi IRPEG e ILOR, relativamente all’anno 1996, in seguito ad accertamento dal quale era emersa la contabilizzazione di costi chiaramente inesistenti, in parte giustificati da fatture emesse da un fornitore la cui contabilità però non presentava i medesimi documenti. Da qui l’esclusione da parte del Fisco di dette spese ai sensi dell’art. 75 del D.P.R. n. 917/86. Il contribuente, soccombendo sia in Commissione tributaria provinciale che regionale, aveva quindi proposto ricorso in Cassazione avverso la sentenza della Ctr Sicilia n. 93/26/07, depositata il 19 settembre 2007. Tra i motivi indicati la Suprema Corte ha accolto quello in cui il ricorrente lamentava come ai fini della determinazione del reddito d’impresa non si possa prescindere dal considerare la stretta correlazione tra i ricavi ed i costi, sulla base del principio di incidenza percentuale di questi ultimi, assoggettando a tassazione, come nella specie, solo ed esclusivamente i ricavi dichiarati, e disconoscendo in toto i costi correlati, anch’essi dichiarati . A costi inesistenti corrispondono ricavi parimenti inesistenti? Infatti la Cassazione fa rilevare come, relativamente alle operazioni oggettivamente inesistenti, l’art. 8, comma 2, D.L. 16/2012, convertito con Legge n. 44/2012 - più conosciuto come D.L. semplificazioni – ha stabilito che ai fini dell’accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati entro i limiti dell’ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi e al verificarsi di tale evenienza ha previsto l’applicazione di una sanzione amministrativa. Per analogia la Cassazione prevede che il contribuente, seppur gravato dall’onere della prova, dimostrando la correlazione tra i costi fittizi ed eventuali ricavi altrettanto inesistenti, potrà ottenere l’annullamento dell’accertamento relativo. Pertanto la sentenza impugnata viene cassata e rinviata ad altre sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia. fonte www.fiscopiù.it

Corte di Cassazione, sez. Tributaria, sentenza 14 marzo – 20 novembre 2013, n. 25967 Presidente Virgilio –Relatore Greco Svolgimento del processo La srl SICOM propone ricorso per cassazione, sulla base di due motivi, nei confronti della sentenza della Commissione tributaria regionale della Sicilia che, rigettandone l'appello, ha confermato la legittimità dell'avviso di accertamento, ai fini dell'IRPEG e dell'ILOR per l'anno 1996, con il quale veniva rideterminato il reddito d'impresa della società in lire 1.605.393.000 contro quello dichiarato di lire 10.528.000. Il giudice d'appello ha confermato la decisione di primo grado avendo rilevato come dal verbale di constatazione emergesse la mancata esibizione delle scritture contabili, di gran parte delle fatture e della documentazione relativa alle operazioni di acquisti e contabilizzazione dei costi, chiaramente inesistenti ha quindi rilevato che la società contribuente aveva contabilizzato costi inesistenti per lire 1.594.865.000, documentati con alcune fatture forse emesse dalla spa Bull Hn Information, ma non riscontrabili nella contabilità della predetta società ed ha perciò ritenuto che tali spese dovevano essere escluse in base al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 75. L'Agenzia delle entrate non ha svolto attività nella presente sede. Motivi della decisione Con il primo motivo la società contribuente denuncia la nullità assoluta della sentenza per violazione e/o falsa applicazione dell'art. 112 cod. proc. civ., concludendo con il seguente quesito di diritto Può l'Organo Giudicante decidere una controversia esaminando nel merito soltanto alcuni fatti ed eccezioni non aventi, comunque, natura pregiudiziale ed omettere l'esame di altri fatti ed eccezioni egualmente prospettati come specifici motivi d'impugnativa? . Il motivo è inammissibile per essere formulato il quesito in termini del tutto generici e senza riferimento alla fattispecie. Secondo il consolidato orientamento di questa Corte, ai sensi dell'art. 366 bis cod. proc. civ., il quesito inerente ad una censura in diritto - dovendo assolvere alla funzione di integrare il punto di congiunzione tra la risoluzione del caso specifico e l'enunciazione del principio giuridico generale - non può essere meramente generico e teorico, ma deve essere calato nella fattispecie concreta, per mettere la Corte in grado di poter comprendere dalla sua sola lettura, l'errore asseritamene compito dal giudice di merito e la regola applicabile. Ne consegue che esso non può consistere in una semplice richiesta di accoglimento del motivo ovvero nel mero interpello della Corte in ordine alla fondatezza della propugnata petizione di principio o della censura così come illustrata nello svolgimento del motivo Cass. n. 3530 del 2012 . E' in altri termini inammissibile il ricorso per cassazione nel quale il quesito di diritto si risolva in una generica istanza di decisione sull'esistenza della violazione di legge denunziata nel motivo nella specie, la S.C. ha ritenuto inammissibile il ricorso con il quale veniva posto un quesito circa la possibilità per il giudice, ai sensi degli artt. 115 e 116 cod. proc. civ., di fondare la propria decisione attenendosi a mere dichiarazioni difensive svolte in atti dai difensori delle parti in lite, senza chiarire l'errore di diritto imputato alla sentenza impugnata, in relazione alla concreta controversia Cass., sez. un., 23 settembre 2013, n. 21672 . Con il secondo motivo, denunciando violazione e falsa applicazione del combinato disposto del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, artt. 53 e 75, la contribuente critica la decisione assumendo che ai fini della determinazione del reddito d'impresa l'ufficio non possa prescindere dal considerare la stretta correlazione fra i ricavi ed i costi, sulla base del principio dell'incidenza percentuale di questi ultimi, assoggettando a tassazione, come nella specie, solo ed esclusivamente i ricavi dichiarati, e disconoscendo in toto i costi correlati, anch'essi dichiarati. La censura è fondata nei termini di seguito indicati. Con riguardo alle operazioni oggettivamente inesistenti, il D.L. 2 marzo 2012, n. 16, art. 8, comma 2, come convertito nella L. 26 aprile 2012, n. 44, costituente ius superveniens applicabile alla controversia in forza del successivo comma 3 - a tenore del quale le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 si applicano, in luogo di quanto disposto dalla L. 24 dicembre 1997, n. 537, art. 15, comma 4-bis, previgente Nella determinazione dei redditi di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6, comma 1, TUIR , non sono ammessi in deduzione i costi o le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio di diritti costituzionalmente riconosciuti , anche per fatti, atti o attività posti in essere prima dell'entrata in vigore degli stessi commi 1 e 2, ove più favorevoli -, ha infatti stabilito che, ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi , ed ha previsto in tal caso l'applicazione di una sanzione amministrativa. In ipotesi siffatte grava pertanto sul contribuente l'onere di provare che i componenti positivi, che si duole abbiano nell'accertamento concorso alla formazione del reddito, siano fittizi anch'essi perchè ricavi correlati come sostenuto dalla ricorrente , vale a dire direttamente afferenti a spese o ad altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati. In conclusione, il primo motivo del ricorso va dichiarato inammissibile mentre va accolto nei termini indicati il secondo motivo, la sentenza impugnata va cassata in relazione al motivo come accolto e la causa rinviata, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia, la quale procederà ad un nuovo esame della controversia uniformandosi al principio di diritto sopra enunciato. P.Q.M. La Corte accoglie il secondo motivo del ricorso e dichiara inammissibile il primo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia, anche per le spese, ad altra sezione della Commissione tributaria regionale della Sicilia.