L’avvocato ha diritto ai compensi professionali anche se la causa è stata oggetto di transazione

Qualora una controversia sia oggetto di transazione e di abbandono, le parti che si sono avvalse del patrocinio del legale sono obbligate a corrispondergli i compensi professionali per l’attività svolta ai sensi dell’articolo 68 r.d. numero 1578/1933 Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore .

Così la Corte di Cassazione con ordinanza numero 184/18, depositata l’8 gennaio. Il caso. Il Tribunale di Locri respingeva la domanda proposta da un avvocato volta ad ottenere la corresponsione, da parte di due clienti nonché dei relativi eredi, dei compensi professionali relativi ad alcuni giudizi transatti, ex articolo 68 r.d. numero 1578/1933 Ordinamento delle professioni di avvocato e di procuratore , ed abbandonati. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza emessa dal Giudice di prime cure, integrava il contraddittorio e condannava i clienti dell'avvocato al pagamento dei compensi professionali, affermando la non necessaria prova, da parte del legale, della transazione delle liti, in quanto questa poteva desumersi dagli atti. Avverso la sentenza della Corte distrettuale i clienti ricorrono per cassazione, denunciando la mancata integrazione del contraddittorio nei confronti di un erede e la mancata prova della transazione. Frazionamento pro quota del debito del de cuius. Il Supremo Collegio ribadisce che in tema di successione mortis causa di più eredi nel lato passivo di un rapporto obbligatorio si configura un frazionamento pro quota dell’originario debito del de cuius tra gli aventi causa, «con la conseguenza che il rapporto che ne deriva non è unico ed inscindibile e non si determina, nell’ipotesi di giudizio instaurato per il pagamento, litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto, né in primo grado, né nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause». La transazione. La Suprema Corte evidenzia che, secondo il più recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità, nel caso di specie trova piena applicazione l’articolo 68 r.d. numero 1578/1933, il quale stabilisce che «le parti, le quali abbiano transatto una vertenza giudiziaria, sono tenute solidalmente al pagamento degli onorari degli avvocati, e l’articolo 68 r.d. numero 1578/1933 è operante in ragione della latitudine della formula normativa e della sua finalità, diretta ad evitare intese tra le parti indirizzate ad eludere il giusto compenso ed il rimborso delle spese ai loro difensori, anche nel caso di accordo, stipulato con o senza l’intervento del giudice o l’ausilio dei patroni, dalle parti stesse, le quali abbiano previsto semplicemente l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato ritualmente agli atti del giudizio». Infine, la doglianza relativa all’onere della prova risulta configurabile solo laddove il giudice l’abbia attribuita «ad una parte diversa da quella che ne risultava gravata secondo le regole dettate da quella norma, ipotesi non sussistente nel caso di specie». La Corte dunque rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al pagamento delle spese processuali.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, ordinanza 4 ottobre 2017 – 8 gennaio 2018, numero 184 Presidente Bianchini – Relatore Federico Esposizione del fatto Con citazione ritualmente notificata l’avv. V.F. convenne innanzi al Tribunale di Locri A.F. , nonché D.G. e gli eredi di D.A. , esponendo di aver prestato il proprio patrocinio, in favore dell’A. in due giudizi che vedevano i signori D.M. quali controparti che erano stati transatti ed abbandonati senza che gli venissero liquidati i compensi per l’attività professionale svolta. Tanto premesso, chiedeva la condanna dei convenuti in solido al pagamento di Lire 10.000.000, a titolo di compenso prestazioni professionali ex articolo 68 Rd numero 1578/1933. Il Tribunale di Locri con sentenza numero 477 del 3 luglio 2001 rigettava la domanda. La Corte d’Appello di Reggio Calabria, in riforma della sentenza di primo grado, per quanto in questa sede ancora rileva, integrato il contraddittorio nei confronti della sola D.T. , condannò in solido D.G. nonché gli eredi di D.A. , vale a dire D.C. , D.G. , De.Anumero , G.E. e D.T. , al pagamento, in favore dell’avv. V. di 2.500,00 Euro oltre ad interessi legali. La Corte territoriale, in particolare, affermò che, ai fini del pagamento del proprio compenso per attività professionale, ai sensi dell’articolo 68 Rd 1578/1933, il legale non aveva l’onere di fornire la prova di una vera e propria transazione intervenuta tra le parti e che l’accordo transattivo poteva desumersi anche dall’estinzione del giudizio per rinuncia agli atti. Per la cassazione di detta sentenza ha proposto ricorso, affidato a due motivi D.C. . V.F. ha resistito con controricorso. D.M. e V. hanno a loro volta proposto controricorso e ricorso incidentale condizionato. In prossimità dell’odierna adunanza D.C. e l’avv. V.F. hanno depositato memorie illustrative ex articolo 378 cpc. Considerato in diritto Il primo motivo del ricorso principale denuncia la violazione degli articolo 101, 102, 156 e 161 cpc in relazione all’articolo 360 nnumero 3 e 4 cpc, per mancata integrazione del contraddittorio del giudizio di appello nei confronti di De.Vi. , litisconsorte necessaria, quale erede testamentaria di D.A. , e già parte del processo di primo grado. Il motivo è infondato, non sussistendo un’ipotesi di cause inscindibili ex articolo 331 cpc. Si osserva infatti che secondo il consolidato indirizzo di questa Corte, in caso di successione mortis causa di più eredi nel lato passivo del rapporto obbligatorio si determina un frazionamento pro quota dell’originario debito del de cuius fra gli aventi causa, con la conseguenza che - al pari di quanto si verifica nelle obbligazioni solidali - il rapporto che ne deriva non è unico ed inscindibile e non si determina, nell’ipotesi di giudizio instaurato per il pagamento, litisconsorzio necessario tra gli eredi del debitore defunto, né in primo grado, né nelle fasi di gravame, neppure sotto il profilo della dipendenza di cause Cass. 785/1998 4199/2016 . Il secondo motivo denuncia la violazione degli articolo 1967 e 2697 c.c., dell’articolo 116 cpc e dell’articolo 68 Rd 1578/1933 nonché l’omesso esame di un fatto decisivo ex articolo 360 numero 5 cpc. In particolare la ricorrente, contestata l’applicabilità dell’articolo 68 Rd 1578/1933 in assenza di prova scritta di un accordo transattivo intervenuto tra le parti, deduce che nel caso di specie, a differenza di quanto affermato nell’impugnata sentenza, non poteva ritenersi raggiunta neppure la prova di una rinuncia concordata dei giudizi riuniti. Il motivo non ha pregio. Avuto riguardo alla censura relativa alla nozione di accordo transattivo di cui all’articolo 68 Rd 1578/1933, si osserva che secondo il più recente indirizzo di questa Corte, cui il collegio ritiene di dare continuità, infatti, l’articolo 68 del r.d.l. 27 dicembre 1933, numero 1578, modificato dalla legge 22 gennaio 1934, numero 36, stabilendo che tutte le parti, le quali abbiano transatto una vertenza giudiziaria, sono tenute solidalmente al pagamento degli onorari degli avvocati, è operante - in ragione della latitudine della formula normativa e della sua finalità, diretta ad evitare intese tra le parti indirizzate ad eludere il giusto compenso ed il rimborso delle spese ai loro difensori - anche nel caso di accordo che assume, nei riguardi del professionista, la valenza di un presupposto di fatto ai fini, appunto, dell’ottenimento degli onorari e delle spese , stipulato con o senza l’intervento del giudice o l’ausilio dei patroni, dalle parti stesse, le quali abbiano previsto semplicemente l’abbandono della causa dal ruolo o rinunciato ritualmente agli atti del giudizio, come nel caso specie, con conseguente estinzione del processo Cass. 13135/2006 13047/2009 . Del pari infondate le censure con cui la ricorrente contesta la sussistenza del presupposto di applicazione dell’articolo 68 del r.d.l. 27 dicembre 1933, numero 1578, lamentando l’errata applicazione dei principi in materia di valutazione della prova ed in particolare degli articolo 2697 e dell’articolo 115 cpc. Premesso che la doglianza relativa alla violazione del precetto di cui all’articolo 2697 cod. civ. è configurabile soltanto nell’ipotesi in il giudice abbia attribuito l’onere della prova ad una parte diversa da quella che ne risulta gravata secondo le regole dettate da quella norma Cass. 15107/2013 , ipotesi non sussistente nel caso di specie, va dichiarata l’inammissibilità del motivo, in quanto esso si risolve, di fatto, nella richiesta di una rivalutazione, nel merito, dei fatti e delle risultanze istruttorie già oggetto del sindacato del giudice di appello, incompatibile con il giudizio di legittimità e denuncia una insufficiente motivazione, non più censurabile alla luce del nuovo disposto del numero 5 comma 1 dell’articolo 360 codice di rito, Cass. Ss.Uu. numero 8053/2014 , lamentando, in buona sostanza, che la Corte territoriale non abbia valutato in modo adeguato le risultanze dell’istruttoria espletata. Si osserva, in contrario, che la Corte territoriale ha espressamente dato atto dell’iter logico seguito, rilevando che l’estinzione per inattività delle parti pur in assenza di un provvedimento formalmente dichiarato fu oggetto di esplicita ammissione nel corso del giudizio di primo grado da parte dell’attuale ricorrente, sulla base della propria comparsa di costituzione e risposta, mentre il cliente dell’avv. V. aveva ammesso che tale esito era stato concordato nel contesto di un accordo transattivo cui erano rimasti estranei i legali. La Corte ha pertanto concluso, con adeguata valutazione di merito, che poteva ritenersi provato l’accordo transattivo per l’abbandono della causa. A fronte di tale accertamento, la ricorrente, si è limitata a richiamare le conclusioni della propria comparsa di costituzione e risposta, omettendo di riportare, in ossequio al principio di autosufficienza del ricorso, il contenuto dell’atto. Il ricorso incidentale proposto da D.M. e V. , si riporta interamente al ricorso principale di D.C. , e ne condivide la sorte. La ricorrente principale e le ricorrenti incidentali vanno dunque condannate, in solido, alla refusione delle spese del presente giudizio, che si liquidano come da dispositivo. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e di quelle incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso principale e quello incidentale. Condanna i ricorrenti in solido alla refusione all’avv. V.F. delle spese del presente giudizio, che liquida in complessivi 1.700,00 Euro di cui 200,00 Euro per rimborso spese vive, oltre a rimborso forfettario spese generali, in misura del 15%, ed accessori di legge. Ai sensi dell’articolo 13 comma 1 quater Dpr 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente principale e delle ricorrenti incidentali, dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 bis dello stesso articolo 13.