L’eventuale esclusione, a seguito di accertamento in fatto, della natura di rifiuto pericoloso, per il mancato superamento dei limiti di concentrazione di idrocarburi, porta alla più ampia formula liberatoria «perché il fatto non sussiste».
Lo ha ribadito la Corte di Cassazione con la sentenza numero 10937/2013, depositata l’8 marzo. Il caso. In primo grado, 6 persone venivano ritenute responsabili, in concorso tra loro, dei reati di attività organizzate per il traffico illecito di rifiuti articolo 260 d.lgs. numero 152/2006 , di attività di gestione di rifiuti non autorizzata. articolo 256, comma 1 lett. b d.lgs. numero 152/2006 e per la violazione degli obblighi di comunicazione, di tenuta dei registri obbligatori e dei formulari articolo 258, comma 4, d.lgs. numero 152/2006 . Rifiuti con il codice CER? In particolare, gli imputati ritiravano come urbani alcuni rifiuti aventi caratteristiche di pericolosità, stante la concentrazione di idrocarburi totali superiori a 1.000 mg/Kg, conferendoli in impianti italiani ed esteri, senza i trattamenti idonei a modificarne lo stato di pericolosità. Tuttavia, in secondo grado, arriva l’assoluzione. Su impulso del Procuratore della Repubblica e di 2 imputati gestori dell’impianto , la Corte di Cassazione si occupa della vicenda. Il nodo della vicenda è la corretta qualificazione dei rifiuti. La S.C., in accoglimento di entrambi i ricorsi con rinvio, afferma che l’eventuale esclusione, a seguito di accertamento in fatto, della natura di rifiuto pericoloso dei rifiuti trattati dagli imputati, per il mancato superamento dei limiti di concentrazione di idrocarburi, avrebbe dovuto indurre alla più ampia formula assolutoria, «perché il fatto non sussiste», rispetto alla formula «perché il fatto non costituisce reato». Il fatto non sussiste? Secondo l’orientamento delle Sezioni Unite della Cassazione, infatti, «la formula “perché il fatto non sussiste” indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato la condotta, l’evento o il nesso di causalità ossia l’esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell’ambito di una fattispecie incriminatrice, anche soltanto a livello di tentativo». Al contrario, se dai dati acquisiti risultasse la natura di rifiuto pericoloso, «la sussistenza dell’elemento soggettivo non avrebbe potuto essere esclusa sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 22 gennaio – 8 marzo 2013, numero 10937 Presidente Lombardi – Relatore Ramacci Ritenuto in fatto 1. La Corte di appello di Milano, con sentenza del 16.1.2012, ha riformato la sentenza in data 22.10.2010 del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di quella città, assolvendo con la formula perché il fatto non costituisce reato D.R. , S.A. , M C. , S C. , M M. e T S. i quali, a seguito di giudizio abbreviato, erano stati ritenuti responsabili dei reati di cui agli articolo 110 cod. penumero , 260, 256, comma 1 lett. b , 258, comma 4 d.lgs. 152/06 il M. e la S. anche del reato di cui all’articolo 256 comma 4 d.lgs. 152/06, fatti loro attribuiti nelle rispettive qualità personali specificate nell’imputazione e concernenti la gestione di rifiuti provenienti dallo spazzamento di strade ritirati dal comune di . e da altri comuni della omissis e del 2. Secondo l’ipotesi accusatoria detti rifiuti, ritirati come “urbani non pericolosi”, con codice CER 20.03.03 ed aventi caratteristiche di pericolosità, stante la concentrazione di idrocarburi totali superiori a 1.000 mg/kg venivano gestiti mediante vagliatura senza ulteriori trattamenti idonei a modificarne lo stato di pericolosità e conferiti in impianti ubicati in Italia ed all’estero con codici CER 191209, 191212, 200303 . Tale condotta, finalizzata a conseguire un ingiusto profitto, corrispondente al risparmio conseguente dal mancato trattamento dei rifiuti e dal successivo smaltimento come rifiuti pericolosi come non pericolosi, veniva ritenuta idonea dal giudice di prime cure a configurare le violazioni contestate, mentre la Corte territoriale, esaminata la questione concernente la classificazione dei rifiuti, perveniva alla decisione assolutoria, ritenendo che il G.U.P. aveva posto a base della sua pronuncia “decisioni e pareri che non potevano costituire una base normativa certa” e che il contrasto tra gli stessi tecnici sulla metodologia di classificazione dei rifiuti giustificava l’erroneo convincimento degli imputati “sul contenuto delle norme integratrici cui fare riferimento”. Avverso tale pronuncia propongono separati ricorsi per cassazione il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di appello nonché C.M. e S. . 3. Il Procuratore Generale deduce, con un unico motivo di ricorso, la violazione di legge, osservando che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte territoriale, esisteva all’epoca dei fatti e nel vigente ordinamento una normativa certa, la quale impone la classificazione dei rifiuti speciali contenenti idrocarburi di origine minerale come rifiuti pericolosi, nel caso in cui contengano una concentrazione uguale o superiore a 1.000 mg/kg, indicata nell’Allegato D alla Parte Quarta del d.lgs. 152/06 e cio’ indipendentemente dalla presenza di eventuali “marker” cancerogeni. Aggiunge che il D.M. 4.8.2010 richiamato dalla Corte del merito riguarderebbe soltanto gli idrocarburi totali THC di origine non nota, mentre è certa, nel caso in esame, la origine minerale degli idrocarburi. Rileva, inoltre, che la metodologia analitica più corretta, contrariamente da quanto affermato dai giudici del gravame, sarebbe quella a raggi infrarossi ù FR - IR effettivamente utilizzata, cosicché non vi sarebbero le incertezze evidenziate nella sentenza impugnata, mentre la sussistenza dell’elemento psicologico del reato sarebbe risultata evidente dal tenore delle conversazioni intercettate, dalle quali emergerebbe inequivocabilmente la preoccupazione e la consapevolezza degli interlocutori del fatto che le analisi in corso di esecuzione da parte dell’ARPA avrebbero evidenziato valori superiori a quelli consentiti. 4. C.M. e S. , premesse alcune considerazioni in ordine alla sussistenza di un effettivo interesse all’impugnazione, deducono, con un primo motivo di ricorso, il vizio di motivazione, lamentando che la Corte di appello, dopo aver ritenuto condivisibili le argomentazioni del perito del G.U.P ed averne richiamato i contenuti e, segnatamente, i riferimenti alla individuazione di un limite di concentrazione per gli idrocarburi pari allo 0,1 % 1.000 mg/kg per la quasi totalità degli IPA e 0,01% 100 mg/kg per i soli benzo a pirene e dibenzo a,h antracene, limite che si assumono mai superati, pur in presenza della oggettiva insussistenza del fatto reato aveva poi considerato l’assenza dell’elemento soggettivo, pervenendo ad una formula assolutoria errata. 5. Con un secondo motivo di ricorso denunciano la violazione di legge, rilevando che la ritenuta pericolosità dei rifiuti sarebbe frutto di una errata applicazione della disciplina vigente alla data di accertamento dei fatti e di quella successivamente intervenuta. Tutti i ricorrenti insistono, pertanto, per l’accoglimento dei rispettivi ricorsi. Considerato in diritto 6. Occorre preliminarmente osservare che il punto nodale della vicenda trattata, come posto in rilievo nel provvedimento impugnato e nei ricorsi, è costituito dalla individuazione della corretta qualificazione dei rifiuti. La classificazione dei rifiuti è disciplinata dalle disposizioni di seguito richiamate, ma l’attribuzione del relativo codice CER è determinata dalla effettiva origine del rifiuto, che necessita talvolta, come pure si dirà, di accertamenti analitici, cosicché la verifica della corretta attribuzione del codice costituisce un accertamento in fatto che, come nel caso in esame, dovrà essere effettuato dal giudice del merito. Cio’ posto, deve aggiungersi che, essendo a questa Corte precluso, come è noto, l’accesso agli atti del procedimento, la verifica della fondatezza dei motivi di ricorso dovrà necessariamente basarsi esclusivamente sui contenuti della decisione impugnata e delle impugnazioni, anche per quanto concerne la ricostruzione della complessa vicenda. 7. Va anche rilevata, in via preliminare, la effettiva sussistenza dell’interesse a proporre impugnazione da parte dei ricorrenti C.M. e S. nonostante la pronuncia assolutoria emessa dal giudice di secondo grado. A tale proposito pare sufficiente richiamare quanto affermato dalla giurisprudenza di questa Corte, secondo la quale l’interesse dell’imputato all’impugnazione della sentenza assolutoria con la formula “perché il fatto non costituisce reato” al fine di ottenere la più ampia formula liberatoria “perché il fatto non sussiste”, deve essere riconosciuto non soltanto per le conseguenze di natura morale, ma anche per l’interesse giuridico riguardo ai diversi e più favorevoli effetti che gli articolo 652 e 653 cod. proc. penumero , connettono a tale ultima formula nei giudizi civili o amministrativi di risarcimento del danno e nel giudizio disciplinare, a fronte degli effetti pregiudizievoli in tali giudizi derivanti dall’adozione della prima formula assolutoria così Sez. IV numero 46849, 19 dicembre 2011. Conf. Sez. IV numero 4675, 6 febbraio 2007 Sez. V numero 14542, 19 aprile 2005 Sez. VI numero 13621, 25 marzo 2003 Sez. IV numero 45976, 28 novembre 2003 Sez. VI numero 2227, 26 gennaio 2001. V. anche SS. UU. numero 40049, 28 ottobre 2008 . 8. Per quanto riguarda, invece, la classificazione dei rifiuti, va rilevato che nell’imputazione, come si è specificato in premessa, viene fatto riferimento a tipologie di rifiuti che sarebbero state fittiziamente classificate allo scopo di commettere i reati contestati con i codici CER 19.12.09 e 19.12.12, A tali ultimi codici viene fatto riferimento nel ricorso proposto da C.M. e S. , laddove si specifica pag. 9 che oggetto di censura era la classificazione dei rifiuti come pericolosi o non pericolosi in ragione della presenza di una voce specchio, in quanto il codice 19 12 12 individua “altri rifiuti compresi materiali misti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, diversi da quelli di cui alla voce 19 12 11” e la voce 19.11.11 qualifica “altri rifiuti compresi materiali misti prodotti dal trattamento meccanico dei rifiuti, contenenti sostanze pericolose”. Tanto il giudice di prime cure che la Corte territoriale richiamano, ai fini della classificazione dei suddetti rifiuti, il contenuto del punto 3.4 dell’Allegato D e, segnatamente, il riferimento alla presenza di una “sostanza riconosciuta come cancerogena categorie 1 o 2 in concentrazione & gt o - 0,1%” e, quindi, la necessità di una concentrazione di idrocarburi pari allo 0,1% e cioè 1.000 mg/kg. 9. Il riferimento, almeno sulla base di quanto emerge dal provvedimento impugnato, appare corretto. Come è noto, la classificazione dei rifiuti pericolosi mediante codice CER avviene in base all’origine ed alla composizione del rifiuto, nel qual caso il codice è contraddistinto dalla presenza di un asterisco. Nel caso in cui siano invece presenti nell’elenco di cui all’Allegato D alla Parte Quarta del d.lgs. 152/06 le c.d. voci specchio, va effettuata la verifica delle caratteristiche di pericolo in base alla concentrazione di determinate sostanze. La classificazione dei rifiuti contenenti idrocarburi ha invero presentato profili di criticità che hanno reso necessari plurimi interventi chiarificatori da parte di organi tecnici APAT, Ist. Sup. Sanità e della Commissione Europea per quanto attiene l’assegnazione della caratteristica di pericolo cancerogeno ai rifiuti che superano la soglia suddetta, che aveva portato a consigliare, per quelli contenenti idrocarburi di origine non nota, la ricerca di markers di cancerogenicita ed è ora disciplinata dall’articolo 6-quater del dl 30 dicembre 2008, n, 208, recante “Misure straordinarie in materia di risorse idriche e di protezione dell’ambiente”, convertito nella Legge 27 febbraio 2009, numero 13, che stabilisce come la classificazione dei rifiuti contenenti idrocarburi ai fini dell’assegnazione della caratteristica di pericolo H7, cancerogeno , debba effettuarsi conformemente a quanto indicato per gli idrocarburi totali nella Tabella A2 dell’Allegato A al D.M. 7 novembre 2008 rispetto a tale tabella, come peraltro specificato nel ricorso di C.M. e S. , si è precisato - Ist. Sup. Sanità parere 32074 del 23/06/2009 - che “le concentrazioni in essa indicate sono riferite ai limiti di quantificazione che il metodo di analisi utilizzato dal laboratorio deve essere in grado di raggiungere, ossia alla concentrazione più bassa misurabile e non indicano, pertanto, la concentrazione limite del marker, superata la quale il rifiuto è da classificare pericoloso” . 10. Cio’ posto, risulta evidente che la Corte territoriale è pervenuta ad una decisione che presenta certamente i profili di contraddittorietà indicati nel primo motivo di ricorso presentato nell’interesse di C.M. e S. assorbente rispetto all’ulteriore motivo , perché la esclusione, a seguito di accertamento in fatto, della natura di rifiuto pericoloso dei rifiuti trattati dagli imputati per il mancato superamento dei limiti di concentrazione come sopra indicati e, conseguentemente, della loro corretta classificazione, avrebbe dovuto indurre alla diversa e più ampia formula assolutoria invocata dai medesimi ricorrenti, in quanto, come ricordato dalle Sezioni Unite cit. “la formula perché il fatto non sussiste indica la mancanza di uno degli elementi costitutivi di natura oggettiva del reato la condotta, l’evento o il nesso di causalità , ossia l’esclusione del verificarsi di un fatto storico che rientri nell’ambito di una fattispecie incriminatrice, anche soltanto a livello di tentativo”. Diversamente, nel caso in cui l’insieme dei dati fattuali acquisiti avesse evidenziato la natura di rifiuto pericoloso, la sussistenza del fatto contestato non poteva essere posta in dubbio ma, come correttamente osservato dal Pubblico Ministero ricorrente, la sussistenza dell’elemento soggettivo non avrebbe potuto essere esclusa sulla base del contenuto delle conversazioni intercettate. Invero, la Corte territoriale ha dato atto pag. 3 della sentenza impugnata delle risultanze delle operazioni di intercettazione poste in evidenza dal giudice di prime cure, rilevando come dalle stesse emergesse la consapevolezza, da parte dei gestori dell’impianto “della illegalità della situazione”. Aggiungendo poi che, in base ad alcune specifiche conversazioni era emerso che “ .gli interlocutori sapevano che, in caso di non utilizzo della metodica più favorevole gascromatografia , le analisi non avrebbero lasciato scampo”. A fronte di tali elementi, i cui contenuti non vengono sottoposti ad alcun vaglio critico da parte dei giudici del gravame, pervenire alla conclusione che gli imputati siano stati indotti in errore sul contenuto delle disposizioni applicabili a causa del contrasto tra i tecnici sulla metodologia di classificazione dei rifiuti costituisce un salto logico di macroscopica evidenza. Entrambi i ricorsi devono essere accolti con conseguente annullamento della decisione impugnata e rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano per nuovo esame. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio ad altra Sezione della Corte di appello di Milano.