Lavorare nell’azienda paterna? Troppo lontano... Padre libero dall’onere del mantenimento

Alla luce della condotta della giovane donna, che ha superato i 30 anni di età, è logico desumerne l’indipendenza economica. Decisivo il suo illogico rifiuto di lavorare nell’azienda di proprietà del padre. Ciò si riflette sulla richiesta della madre di ottenere un contributo dall’ex marito per il mantenimento della figlia.

Luogo di lavoro troppo lontano dalla propria abitazione! Così una giovane donna – che ha superato i 30 anni di età – motiva il proprio rifiuto di dare una mano nella gestione dell’impianto di distribuzione carburante, di proprietà del padre. Ma tale scelta è davvero incomprensibile, non solo per l’uomo della strada Ecco spiegata la decisione di liberare il padre dall’onere di versare alla ex moglie un assegno mensile come contributo per il mantenimento della figlia. Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza n. 2236/14 depositata oggi Legame dissolto. Vincolo coniugale sciolto definitivamente a sancirlo il Tribunale, con l’ufficializzazione della cessazione degli effetti civili del matrimonio . Ma, come capita spesso, ci sono strascichi significativi a livello economico. In questo caso, nodo gordiano è la richiesta della donna di ottenere, dall’ex marito, un assegno mensile di 600 euro, oltre al 75 per cento delle spese straordinarie come contributo al mantenimento della figlia , oramai maggiorenne. Negativa la risposta dei giudici, sia in primo che in secondo grado, risposta fondata sulla considerazione della condotta della giovane donna, la quale ha rifiutato di prestare attività lavorativa presso l’azienda di proprietà del padre . Rifiuto. E tale linea di pensiero viene condivisa dai Giudici del ‘Palazzaccio’, i quali, difatti, nonostante le obiezioni dell’ex moglie, confermano la decisione con cui l’uomo è stato liberato dallo spauracchio di dover contribuire al mantenimento della figlia maggiorenne. Decisiva, anche in terzo grado, la ‘certificazione’ della condizione della giovane donna, che può considerarsi economicamente autosufficiente . Rilevante la circostanza che ella, che ha ormai più di 32 anni , può lavorare, percependo uno stipendio iniziale mensile di 1.000 euro presso l’impianto di distribuzione di carburanti di proprietà del padre, e, invece, ha deciso di rifiutare quella opportunità lavorativa, adducendo una giustificazione inaccettabile, ossia la lontananza dell’impianto dalla propria abitazione . Peraltro, aggiungono i giudici, la giovane donna è anche proprietaria – seppur solo per la quota del 10 per cento – dell’impianto, e quindi è difficile dare per scontato che non percepisca costantemente alcun utile dalla sua partecipazione societaria .

Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 19 novembre 2013 – 3 febbraio 2014, n. 2236 Presidente Di Palma – Relatore Bisogni Rilevato che 1. Il Tribunale di Ancona, con sentenza n. 63/12, ha dichiarato la cessazione degli effetti civili del matrimonio contratto ad Ancona il 10 luglio 1977 fra I.M. e F.C. Ha respinto la domanda di imposizione al C. dell’obbligo di versare un assegno mensile quale contributo al mantenimento della figlia Y. e la domanda della M. di assegnazione della casa coniugale. Ha posto per metà a carico della M. le spese del giudizio. 2. Ha proposto appello I.M. chiedendo che venisse accertato il suo diritto a percepire, a titolo di contributo al mantenimento della figlia Y., un assegno mensile di 600 euro oltre al 75% delle spese straordinarie. 3. Si è costituito il C. eccependo la nullità, inammissibilità e improcedibilità del ricorso in appello, chiedendone comunque il rigetto e, in via incidentale subordinata, ha chiesto che la causa venisse istruita quanto alla posizione economica della figlia e al suo rifiuto di prestare attività lavorativa presso l’azienda di distribuzione di carburanti riferibile alla proprietà del padre e della stessa Y.C. 4. L’appello della M. è stato respinto dalla Corte di appello con condanna alle spese. 5. Propone ricorso per cassazione I.M. affidandosi a due motivi di impugnazione con i quali deduce a violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla violazione dell’art. 183 sesto comma c.p.c. nonché violazione dell’art. 360 n. 5 c.p.c. per omessa motivazione in relazione al rigetto del motivo di appello riguardante il mancato accoglimento delle richieste istruttorie avanzate in primo grado b violazione dell’art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione alla violazione dell’art. 115 quinquies c.c. 6. Si difende con controricorso F.C. Ritenuto che 7. Il primo motivo è infondato per le ragioni già esposte dalla Corte di appello nella sua motivazione e va altresì rilevato che sia le richieste di merito che le istanze istruttorie relative alle domande accessorie alla pronuncia di cessazione degli effetti civili del matrimonio sono state sottoposte all’attenzione del Collegio che era pertanto pienamente nella condizione di decidere definitivamente la controversia. Inoltre non sussiste alcun interesse della ricorrente alla impugnazione relativamente al dedotto vizio procedurale mentre quanto alla asserita mancanza di motivazione circa la non ammissione delle prove deve rilevarsi che non solo la Corte di appello ha motivato sulla irrilevanza e superfluità delle prove dedotte e non ammesse in primo grado ma ha anche rilevato che la M. non ha impugnato la parte della sentenza con cui il Tribunale ha respinto le richieste istruttorie delle parti né ha richiesto ai giudici dell’appello l’ammissione di specifiche prove. Anche tale capo della decisione di appello risulta non impugnato. 8. Il secondo motivo appare anch’esso infondato. La Corte di appello ha fornito una motivazione dettagliata delle ragioni per cui ha ritenuto che Y.C. può considerarsi economicamente autosufficiente riscontrando la circostanza pacifica per cui la C., che ha ormai più di 32 anni, ha la possibilità di lavorare percependo uno stipendio iniziale mensile di 1.000 euro presso l’impianto distribuzione di carburanti della società DP Carburanti di cui è socia, per avere ricevuto dal padre una quota di almeno il 10% del capitale sociale. La relativa lontananza dell’impianto dall’abitazione della C. non è stata ritenuta circostanza sufficiente a giustificare il rifiuto della C. a proseguire l’attività lavorativa. Si tratta di una valutazione di merito che non appare censurabile in questa sede data la motivazione analitica e priva di incongruenze logiche che la Corte di appello ha fornito al riguardo. Né può ritenersi scontato che la C. non percepisca costantemente alcun utile dalla sua partecipazione societaria. La decisione della Corte di appello è inoltre in linea con la giurisprudenza di legittimità ampiamente menzionata in motivazione. 9. Sussistono pertanto i presupposti per la trattazione della controversia in camera di consiglio e se l’impostazione della presente relazione verrà condivisa dal Collegio per il rigetto del ricorso. La Corte, rileva che la memoria difensiva della ricorrente contiene esclusivamente il riferimento a circostanze nuove la cui deduzione deve pertanto ritenersi inammissibile condivide pienamente la relazione e pertanto ritiene che il ricorso debba essere respinto con condanna della ricorrente alle spese del giudizio di cassazione. Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo del contributo dovuto. P.q.m. La Corte rigetta il ricorso e condanna la parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione liquidate in 2.100 euro di cui 100 per spese. Dispone che in caso di diffusione del presente provvedimento siano omesse le generalità e gli altri dati identificativi a norma dell’art. 52 del decreto legislativo n. 196/2003. Sussistono i presupposti, ai sensi dell’art. 13 comma 1 quater del D.P.R. n. 115/2002, per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo del contributo dovuto.