Fabbricato abusivo di 44 mq: la proprietaria «non poteva non sapere»

Ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato di abuso edilizio è necessario escludere l’interesse o il suo consenso alla commissione dell’abuso ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione.

Lo ha stabilito la Terza sez. Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 42867, depositata il 14 ottobre 2014. L’abuso edilizio. Nel caso di specie una donna è stata sottoposta a procedimento penale per il reato di abuso edilizio di cui all’articolo 44, lett. b d.p.r. numero 380/01 con riferimento ad un fabbricato costruito su un terreno lei riconducibile. All’esito del giudizio di primo grado il Tribunale ha accertato la responsabilità penale dell’imputata, e tanto ha confermato la Corte d’appello. Entrambi i giudici di merito hanno fondato il giudizio di colpevolezza sulla circostanza che la donna fosse la legittima proprietaria del terreno sul quale era situato il fabbricato in questione, sicché non poteva non essere al corrente del carattere abusivo del manufatto. Responsabilità del proprietario non committente. Alla difesa non è rimasto che rivolgersi alla Suprema Corte cui è stato chiesto di annullare il dictum della Corte territoriale sulla base di una duplice argomentazione da un lato, è stato contestato l’apprezzamento svolto dai giudici di secondo grado nella parte in cui ebbero ad addossare la responsabilità all’imputata senza che vi fosse prova della realizzazione, da parte sua, dell’abuso edilizio dall’altro la sentenza impugnata è stata censurata quanto alla parte motivazionale riferita alla sussistenza dell’elemento soggettivo della condotta di reato. Non impedire consapevolmente l’abuso edilizio equivale a cagionarlo. La Cassazione, nel rigettare in toto il ricorso, è tornata ad occuparsi dell’annosa questione inerente la responsabilità del proprietario per abusi edilizi, in particolare laddove non vi sia prova che questi abbia dato incarico di costruire contra legem . La sentenza in esame riporta i due orientamenti prospettati in giurisprudenza, affrontando il tema in ottica diacronica. In passato si riteneva che non potesse essere attribuito ad un soggetto, per il sol fatto che questi fosse il proprietario del terreno dell’area, un dovere di controllo atto ad impedire che sul terreno si costruisse abusivamente la responsabilità penale, secondo questa tesi, ricorreva nei soli limiti in cui fosse accertato - nel caso concreto - un comportamento positivo o negativo del proprietario quale l’aver eseguito personalmente i lavori o averli commissionati a terzi. Successivamente la giurisprudenza ha sposato un orientamento marcatamente più severo, riferendo al proprietario il reato in questione ogni volta in cui, a cagione del suo atteggiamento inerte, abbia consapevolmente permesso che sull’area di pertinenza venisse costruite opere abusive. Tale impostazione riflette una lettura solidaristica del disposto di cui all’articolo 40, co. 2, c.p. secondo cui «non impedire un evento che si ha l’obbligo giuridico di impedire equivale a cagionarlo» in questi termini - si osserva - «è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria né consentire che altri la utilizzino in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l’obbligo giuridico di non consentire che l’evento dannoso o pericoloso si realizzi». Da tanto consegue che non è sufficiente, per escludere l’integrazione del reato, che il proprietario non sia effettivamente colui che ha commissionato i lavori ed invero l’esclusione del giudizio di colpevolezza può discendere solo laddove emerga che il proprietario «non abbia interesse all’abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l’esecuzione». Gli elementi indiziari. La Corte procede oltre, ed offre un’importante casistica di elementi indiziari da cui trarre la responsabilità del proprietario non committente, e segnatamente la piena disponibilità giuridica o di fatto del suolo l’interesse specifico alla costruzione i rapporti di parentela o affinità con l’esecutore materiale l’accertamento della presenza del proprietario durante i lavori la richiesta di condono edilizio in sanatoria il fatto che il proprietario abiti nella costruzione abusiva o, comunque, sia il destinatario finale dell’opera l’entità e la portata dei lavori realizzati. La proprietaria sapeva. Nella vicenda concreta la Corte ha valorizzato l’ultimo degli elementi indiziari riepilogati, sottolineando come l’imputata-proprietaria, pur in assenza di prova che fosse lei la committente dei lavori, non poteva non essere a conoscenza che sul suo terreno fosse stato edificato un fabbricato di ben 44 mq, alto più di 5 metri. Da qui la conferma del giudizio di reità in aggiunta alla condanna al pagamento delle spese del giudizio di legittimità.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 25 settembre – 14 ottobre 2014, numero 42867 Presidente Teresi – Relatore Pezzella Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Catania, pronunciando nei confronti dell'odierna ricorrente M.M. , con sentenza del 06/03/2014 depositata il 13/03/2014, confermava la sentenza di condanna emessa dal Tribunale di Modica in data 03/05/2013, con condanna al pagamento delle ulteriori spese processuali. Il Tribunale di Modica aveva dichiarato l'imputata responsabile del reato previsto dall'articolo 44 lett. b DPR 380/01 per avere realizzato senza la prescritta concessione un fabbricato di circa mq. 44 alto da 4 a 5,60 metri e copertura con travi di cemento armato, oltre ai reati concernenti la realizzazione di opere in zona sismica senza preavviso e senza dare avviso al genio Civile, condannandola, ritenuta la continuazione alla pena di mesi 1 di arresto ed Euro 12.000,00 di ammenda oltre al pagamento delle spese processuali, pena sospesa. 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, con l'ausilio del proprio difensore, l'imputata, deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall'articolo 173, comma 1, disp. att., cod. proc. penumero a. violazione ex articolo 606, comma 1 lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 29 DPR 6/6/01 numero 380. La ricorrente deduce di essere stata condannata, pur non sussistendo a suo carico la prova dell'avvenuta realizzazione dei manufatti, sul semplice presupposto di essere la proprietaria dell'immobile. b. violazione ex articolo 606, comma 1 lett. b cod. proc. penumero in relazione agli articolo 42 ultimo comma e 43 cod. penumero . L'imputata rileva che il silenzio motivazionale circa l'elemento psicologico del reato impedisce di comprendere le ragioni sottese al convincimento di colpevolezza. Inoltre, nella sentenza mancherebbe qualsiasi risposta alle doglianze espresse nel gravame. c. violazione ex articolo 606, comma 1 lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 62 bis cod. penumero . Il Giudice di appello avrebbe erroneamente ritenuto l'inesistenza di elementi per la concessione delle generiche, per la cui concedibilità vi erano i presupposti per l'incensuratezza dell'imputata, le finalità non speculative del manufatto e la modestissima gravità del fatto. d. violazione ex articolo 606, comma 1 lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 133 cod. penumero . La ricorrente rileva carenza di motivazione laddove la sentenza impugnata fa riferimento alla congruità della pena infinta dal Giudice di primo grado. Nessun riferimento vi sarebbe, infatti, nella sentenza del primo Giudice alla congruità della pena infinta. La Corte farebbe riferimento ad una sentenza diversa da quella impugnata. e. violazione ex articolo 606, comma 1 lett. b cod. proc. penumero in relazione all'articolo 175 cod. penumero . La Corte avrebbe potuto concedere il beneficio della non menzione, ma nulla dice in proposito, nonostante olà doglianza sia stata dedotta nei motivi di gravame. Chiedeva, pertanto, l'annullamento senza rinvio della sentenza impugnata, con l'emissione dei consequenziali provvedimenti di legge. Considerato in diritto 1. I motivi in precedenza illustrati sono tutti manifestamente infondati e pertanto il proposto ricorso va dichiarato inammissibile. 2. Ancorché rubricate come violazioni di legge, le proposte doglianze sottendono, in realtà, una rivalutazione del compendio probatorio, rispetto al quale hanno speso motivazioni assolutamente logiche e congrue i giudici di merito, non consentita in questa sede. La ricorrente ripropone, quanto all'intervenuta condanna, quello che era stato l'unico motivo di appello nel merito, e cioè l'assunto di essere stata dichiarata penalmente responsabile del compiuto illecito urbanistico sul solo presupposto di essere la proprietaria dell'immobile e in difetto di prova di essere la committente dell'opera abusiva. Sul punto va ricordato come la giurisprudenza di questa Corte Suprema sia ormai stabilmente assestata nell'affermare che in tema di reati edilizi, ai fini del disconoscimento del concorso del proprietario del terreno non committente dei lavori nel reato previsto dall'articolo 44 Dpr. 380/2001 è necessario escludere l'interesse o il suo consenso alla commissione dell' abuso edilizio ovvero dimostrare che egli non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione così questa sez. 3, numero 33540 del 19.6.2012, Pmt in proc. Grillo ed altri rv. 253169 conforme sez. 4 numero 19714 del 3.2.2009, Izzo F., rv. 243961 . La tesi di cui al ricorso sembra richiamare l'indirizzo inizialmente ed a lungo sostenuto da questa Corte Suprema secondo cui, in tema di reati edilizi, non può essere attribuito ad un soggetto, per il mero fatto di essere proprietario dell'area, un dovere di controllo, dalla cui violazione derivi una responsabilità penale per costruzione abusiva, prescindendo dalla concreta situazione in cui venne svolta l'attività incriminata, cioè senza identificare, in relazione alla specifica situazione di fatto, il comportamento positivo o negativo posto in essere dal soggetto medesimo che possa essere assunto ad elemento integrativo della colpa. In relazione a tale orientamento, coerentemente, si era ritenuto che il proprietario rispondesse dei relativi reati non in quanto tale, ma solo se ne fosse dimostrata la disponibilità dell'immobile, avesse dato incarico dei lavori o li avesse eseguiti personalmente, mentre non poteva essere ritenuto responsabile dell'abuso, anche se avesse espresso adesione alla realizzazione dell'opera, se l'incarico fosse stato dato da altro proprietario o da altro detentore così questa sez. 3, numero 859 del 7.9.2000, Cutaia ed altro, rv. 216945 conf. sez. 3, numero 8432 del 16.5.2000, Molinaro e altri, rv. 217203 sez. 3 numero 9889 del 19.4.2000, Inguanta e altro, rv. 217860 . Tale indirizzo è stato, tuttavia, profondamente rivisitato nel corso degli anni successivi. Già alla fine degli anni Novanta, peraltro, si era puntualizzato in qualche pronuncia che, nel caso in cui il proprietario fosse consapevole che sul suo terreno venisse eseguita da un terzo o da un comproprietario una costruzione abusiva e, potendo intervenire, deliberatamente se ne fosse astenuto, poneva in essere una condotta omissiva atta a condizionare, rendendola possibile, la realizzazione dell'opera abusiva stessa, che diveniva, quindi, conseguenza diretta anche della sua omissione, della quale egli doveva essere ritenuto responsabile ai sensi del principio generale di causalità di cui al primo comma dell'articolo 40 cod. penumero così questa sez. 3 numero 12163 del 12.7.1999, Cucci A. e altro, rv. 215078 . In tal senso si era aggiunto, poi, che anche il secondo comma del succitato articolo 40 cod. penumero , per il quale non impedire un evento che si ha l'obbligo giuridico di impedire, equivale a cagionarlo , deve essere interpretato in termini solidaristici, alla luce dell'articolo 41, comma 2, Cost., sicché è da ritenere che il proprietario non possa utilizzare la cosa propria né consentire che altri la utilizzi in modo che ne derivi danno ai consociati ed abbia, quindi, l'obbligo giuridico di non consentire che l'evento dannoso o pericoloso si realizzi . Anche nella successiva evoluzione giurisprudenziale, agli inizi degli anni Duemila, si era perciò continuato ad insistere sulla ravvisabilità del concorso del proprietario non committente nel caso in cui costui avesse avuto piena consapevolezza dell'esecuzione delle opere da parte del coimputato o avesse prestato consenso, seppure implicito o tacito, all'attività edilizia posta in essere così questa sez. 3, numero 44160 del 1.10.2003, Neri, rv. 226589 . In altre pronunce aveva anche nuovamente fatto capolino, per il proprietario, resistenza dell'obbligo giuridico di non consentire che con l'utilizzo della cosa propria si realizzi l'evento dannoso o pericoloso, affermandosene il concorso morale nel reato consumato dall'autore della edificazione abusiva qualora, potendo intervenire, se fosse astenuto deliberatamente sez. 3, numero 43232 del 1211.2002, Bombaci, Rv. 222969 . Il principio giuridico si è andato poi assestando, alla ricerca di un necessario punto di equilibrio, nel senso di non ritenere sufficiente, per escludere il concorso nel reato, che il proprietario del terreno non abbia commissionato materialmente i lavori. Perché il proprietario non committente vada esente da responsabilità occorre qualcosa in più e, cioè, che dagli atti emerga che lo stesso non abbia interesse all'abuso e non sia stato nelle condizioni di impedirne l'esecuzione. Oggi è dunque pacifico che in tema di reati edilizi, l'individuazione del comproprietario non committente quale soggetto responsabile dell'abuso edilizio può essere desunta da elementi oggettivi di natura indiziaria, come la presentazione della domanda di condono edilizio, sottraendosi tale valutazione al sindacato di legittimità della Suprema Corte in quanto comporta un giudizio di merito che non contrasta né con la disciplina in tema di valutazione della prova né con le massime di esperienza sez. 3, numero 35631 dell'11.7.2007, Leone ed altri, rv. 237391 . 3. Si pone allora il problema di individuare una casistica di tali elementi indizianti. Al riguardo si è precisato con motivazioni del tutto condivise dal Collegio che gli elementi in base ai quali possa ragionevolmente presumersi che questi abbia concorso, anche solo moralmente, con il committente o l'esecutore dei lavori, possono essere individuati, nella piena disponibilità giuridica e di fatto del suolo e nell'interesse specifico ad effettuare la nuova costruzione, così come nei rapporti di parentela o affinità tra terzo e proprietario, nella eventuale presenza di quest'ultimo in loco , nello svolgimento di attività di vigilanza dell'esecuzione dei lavori, nella richiesta di provvedimenti abilitativi in sanatoria, nel regime patrimoniale dei coniugi, ovvero in tutte quelle situazioni e comportamenti positivi o negativi dai quali possano trarsi elementi integrativi della colpa così questa sez. 3, numero 26121 del 12.4.2005, Rosato, Rv. 231954 . In altre pronunce si è poi condivisibilmente precisato che può essere attribuita al proprietario non formalmente committente dell'opera abusiva la responsabilità anche in relazione all'accertamento che questi abiti nello stesso territorio comunale ove è stata eretta la costruzione abusiva, che sia stato individuato sul luogo, che sia il destinatario finale dell'opera sez. 3, numero 9536 del 20.1.2004, Mancuso ed altro, rv. 227403 . Ancora, è stato affermato che il proprietario non formalmente committente risponde del reato edilizio, ex articolo 44 D.P.R. numero 380 del 2001 e 110 cod. penumero , allorché, a conoscenza dell'assenza del preventivo rilascio del permesso di costruire, abbia fornito un contributo causale che abbia agevolato la edificazione abusiva, così questa sez. 3, numero 8667 del 12.1.2007, Forletti ed altro, che nell'occasione ha ulteriormente precisato che il giudice deve verificare l'esistenza di comportamenti, che possono assumere sia forma positiva che negativa, dai quali si possa ricavare una compartecipazione anche solo morale nella altrui condotta illecita . Più recentemente si è ulteriormente precisato che la responsabilità per la realizzazione di opere abusive è configurabile anche nei confronti del nudo proprietario che abbia la disponibilità dell'immobile ed un concreto interesse all'esecuzione dei lavori, se egli non allega circostanze utili a dimostrare che si tratti di interventi realizzati da terzi a sua insaputa e senza la sua volontà sez. 3, numero 39400 del 21.3.2013, Spataro, rv. 257676 . 4. In applicazione dei suvvisti principi, dunque, appare evidente che l'esclusione della responsabilità del proprietario non committente possa essere ritenuta solo qualora, all'esito del vaglio degli elementi di prova, si possa escludere l'interesse o il consenso di quest'ultimo dell'abuso. Ciò posto, la motivazione della sentenza evidenzia, al contrario, come, avuto riguardo alla natura, alla tipologia, alla durata all'entità e alla portata dei lavori di trasformazione definitiva dell'immobile in questione, non vi fossero elementi per ritenere - e neppure la M. ne aveva proposti - che i lavori fossero avvenuti all'insaputa della proprietaria o contro la sua volontà. Al contrario viene evidenziato come l'odierna ricorrente, quale proprietaria dell'immobile, aveva richiesto ed ottenuto la concessione edilizia per altra parte di lavori, che proprio per tale motivo non sono stati oggetto di imputazione, ma che appaiono realizzati unitariamente con quelli non autorizzati, apparendo pertanto ulteriormente poco credibile che solo questi ultimi non siano riferibili alla proprietaria. Quanto alla doglianza in ordine alla specifica motivazione sull'elemento psicologico, la stessa, per la parte in cui non si dovesse ritenere assorbita dal motivo precedente, non è ammissibile non avendo costituito specifico motivo di appello. Va peraltro ricordato che siamo di fronte ad un reato contravvenzionale per la sussistenza del quale basta la colpa, desumibile da tutti gli elementi di cui si è fin qui detto. 5. Manifestamente infondati sono anche gli ulteriori motivi di gravame che attengono alla mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, alla congruità della pena e alla mancata concessione del beneficio della non menzione. Sul punto cfr. pag. 3 della sentenza impugnata la Corte territoriale ha richiamato, facendole proprie, le motivazioni del giudice di prime cure. Ebbene, va ricordato che per giurisprudenza pacifica di questa Corte Suprema, in caso di doppia conforme affermazione di responsabilità, deve essere ritenuta pienamente ammissibile la motivazione della sentenza d'appello per relationem a quella della sentenza di primo grado, sempre che le censure formulate contro la decisione impugnata non contengano elementi ed argomenti diversi da quelli già esaminati e disattesi. Il giudice di secondo grado, infatti, nell'effettuare il controllo in ordine alla fondatezza degli elementi su cui si regge la sentenza impugnata, non è chiamato ad un puntuale riesame di quelle questioni riportate nei motivi di gravame, sulle quali si sia già soffermato il prima giudice, con argomentazioni che vengano ritenute esatte e prive di vizi logici, non specificamente e criticamente censurate. In una simile evenienza, infatti, le motivazioni della pronuncia di primo grado e di quella di appello, fondendosi, si integrano a vicenda, confluendo in un risultato organico ed inscindibile al quale occorre in ogni caso fare riferimento per giudicare della congruità della motivazione, tanto più ove i giudici dell'appello abbiano esaminato le censure con criteri omogenei a quelli usati dal giudice di primo grado e con frequenti riferimenti alle determinazioni ivi prese ed ai passaggi logico-giuridici della decisione, di guisa che le motivazioni delle sentenze dei due gradi di merito costituiscano una sola entità confronta l'univoca giurisprudenza di legittimità di questa Corte per tutte sez. 2 numero 34891 del 16.05.2013, Vecchia, rv. 256096 conf. sez. 3, numero 13926 del 1.12.2011, dep. 12.4. 2012, Valerio, rv. 252615 sez. 2, numero 1309 del 22.11.1993, dep. 4.2. 1994, Albergamo ed altri, rv. 197250 . Nella motivazione della sentenza il giudice del gravame di merito non è tenuto, inoltre, a compiere un'analisi approfondita di tutte le deduzioni delle parti e a prendere in esame dettagliatamente tutte le risultanze processuali, essendo invece sufficiente che, anche attraverso una loro valutazione globale, spieghi, in modo logico e adeguato, le ragioni del suo convincimento, dimostrando di aver tenuto presente ogni fatto decisivo. Ne consegue che in tal caso debbono considerarsi implicitamente disattese le deduzioni difensive che, anche se non espressamente confutate, siano logicamente incompatibili con la decisione adottata cfr. sez. 6, numero 49970 del 19.10.2012, Muià ed altri rv.254107 . La motivazione della sentenza di appello è del tutto congrua, in altri termini, se il giudice d'appello abbia confutato gli argomenti che costituiscono l’”ossatura dello schema difensivo dell'imputato, e non una per una tutte le deduzioni difensive della parte, ben potendo, in tale opera, richiamare alcuni passaggi dell'iter argomentativo della decisione di primo grado, quando appaia evidente che tali motivazioni corrispondano anche alla propria soluzione alle questioni prospettate dalla parte così si era espressa sul punto sez. 6, numero 1307 del 26.9.2002, dep. 14.1.2003, Delvai, rv. 223061 . È stato anche sottolineato di recente da questa Corte che in tema di ricorso in cassazione ai sensi dell'articolo 606, comma primo lett. e , la denunzia di minime incongruenze argomentative o l'omessa esposizione di elementi di valutazione, che il ricorrente ritenga tali da determinare una diversa decisione, ma che non siano inequivocabilmente munite di un chiaro carattere di decisività, non possono dar luogo all'annullamento della sentenza, posto che non costituisce vizio della motivazione qualunque omissione valutativa che riguardi singoli dati estrapolati dal contesto, ma è solo l'esame del complesso probatorio entro il quale ogni elemento sia contestualizzato che consente di verificare la consistenza e la decisività degli elementi medesimi oppure la loro ininfluenza ai fini della compattezza logica dell'impianto argomentativo della motivazione sez. 2, numero 9242 dell'8.2.2013, Reggio, rv. 254988 . Peraltro, nel caso in esame la Corte di Appello di Catania, in punto di mancata concessione delle circostanze attenuanti generiche, non si è limitata a richiamare la sentenza di primo grado, ma ha evidenziato come non fosse dato rinvenire alcun elemento di segno positivo atto a giustificarne l'applicazione. I motivi dedotti, dunque, non paiono idonei a scalfire l'impianto motivazionale della sentenza impugnata, in cui la Corte territoriale affronta con argomentazioni esaustive e logicamente plausibili le questioni propostele. 6. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell'articolo 616 cod. proc. penumero , non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità Corte Cost. sent. numero 186 del 13.6.2000 , alla condanna della ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1000,00 in favore della Cassa delle Ammende.