Avvocato e studio a disposizione per due anni, ma la società revoca i mandati

Condannata a pagare fino all'ultimo euro. Non vanno risarciti solo i danni relativi a un periodo di tempo sufficiente a trovare un nuovo incarico, ma bisogna versare i compensi per tutti i 24 mesi del contratto.

Opera professionale giudiziale e stragiudiziale. Questo il prodotto garantito da un avvocato a una società facente parte di una holding specializzata, tra l'altro, negli interventi a carattere ambientale. Una garanzia, quella offerta dal legale, che, in caso di interruzione del rapporto, deve essere ricompensata in maniera totale, non semplicemente col risarcimento dei danni cagionati dal recesso anticipato.Per essere più chiari, la società - stabilisce la Cassazione, con sentenza numero 21521/2011, Seconda Sezione Civile, depositata ieri - ha da rispettare l'accordo contrattuale, versando fino all'ultimo euro stabilito in origine.Anni di lavoro con sorpresa. Quasi sessanta mesi di impegno, praticamente cinque anni, per l'avvocato protagonista della vicenda, con prestazioni professionali giudiziali e stragiudiziali a disposizione di una società. Poi, a metà del rapporto, anche la formalizzazione di un contratto di assistenza per due anni tondi tondi a 84milioni di vecchie lire all'anno. Non male, come accordo La sorpresa, però, arriva quando le quote di controllo della società passano di mano, e la società, all'improvviso, revoca tutti i mandati. Pronta, e consequenziale, la richiesta dell'avvocato oltre 57milioni di lire per l'attività stragiudiziale relativa ai mesi compresi tra la revoca dei mandati e la chiusura dei due anni di contratto. Praticamente, il legale richiede alla società di adempiere l'accordo contrattuale .Si paga ma quanto? La battaglia giudiziaria è serrata e dagli esiti alterni il Tribunale accoglie in pieno la richiesta dell'avvocato la Corte d'Appello, invece, limita il risarcimento ai soli danni cagionati dal recesso anticipato , ovvero poco più di 10mila euro.Per i giudici dell'Appello, difatti, la controversia riguardava l'ammissibilità del recesso ad nutum prima della scadenza e il diritto all'intero compenso nonostante la revoca , e la previsione della durata biennale dell'accordo implicava una stabilità effettiva dell'incarico incompatibile col recesso ad nutum . Tuttavia, dopo il recesso non era stata eseguita alcuna prestazione e non si poteva pretendere l'adempimento contrattuale ma solo riconoscere un danno quantificabile in tre mensilità , corrispondente al tempo occorrente per instaurare altro rapporto professionale di non minore prestigio e redditività .Ricompensa totale. Il risarcimento solo parziale non accontenta, però, l'avvocato. Che decide di presentare ricorso in Cassazione. Obiettivo è vedere compensati anche gli ultimi mesi di lavoro previsti nell'accordo biennale.A sostenere la domanda, poi, la considerazione che il titolo alla base del diritto al compenso era costituito non solo dall'eventuale esecuzione delle prestazioni professionali ma anche dalla mera messa a disposizione della propria struttura professionale di studio . Quindi, a disposizione della società non solo la mente l'opera professionale ma anche il corpo lo studio .Sotto i riflettori finisce, ovviamente, la pronuncia assunta in Appello. E a questo proposito i giudici della Cassazione muovono una critica precisa se, come stabilito in Appello, la previsione della durata biennale dell'accordo implica una stabilità effettiva dell'incarico, incompatibile col recesso ad nutum, allora perché non viene riconosciuto il risarcimento totale?Per rispondere a questo interrogativo, è necessario rifarsi alla giurisprudenza, laddove si è stabilito che l'apposizione di un termine finale determina, in modo vincolante, la durata del rapporto e nel caso di recesso unilaterale dal contratto, da parte del committente, il prestatore ha diritto di conseguire il compenso contrattualmente previsto per l'intera durata del rapporto .Sono evidenti le conseguenze il ricorso dell'avvocato viene pienamente accolto. E la condanna della società - così come stabilito in primo grado - a pagare al legale quasi 30mila euro è ritenuta legittima.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 7 luglio - 18 ottobre 2011, numero 21521Presidente Oddo - Relatore CorrentiSvolgimento del processoCon citazione del 28.10.1998 l'avv. E. M. conveniva davanti al Tribunale di milano la srl Ecoitalia esponendo che, dal 1992 all'ottobre 1997, aveva prestato la sua opera professionale giudiziale e stragiudiziale in favore del gruppo che faceva capo alla holding Green Holding srl già B.F.I. srl, cui appartenevano diverse società tra cui Ecoitalia, Indeco, Ecotecna e Tecnogea srl in data 4.3.1996 aveva concluso con Ecoitalia un contratto di assistenza legale stragiudiziale e giudiziale dal primo giugno 1996 al 31 maggio 1998 con la pattuizione di un compenso annuale di lire 84.000.000 per l'assistenza stragiudiziale, compenso corrisposto fino a febbraio 1997.A seguito del trasferimento delle quote di controllo, con raccomandata 1.10.1997 Ecoitalia aveva revocato tutti i mandati.L'avv. M. per l'attività stragiudiziale dal marzo 1997 a settembre 1997 aveva richiesto d.i. per lire 49.000.000, per detta attività da ottobre 1997 a maggio 1998 si affermava creditore per lire 57.484.000 oltre i danni, per cui chiedeva la condanna della convenuta ad adempiere l'accordo contrattuale ed al pagamento di lire 57.484.000 oltre rivalutazione ed interessi.Riassunta la causa dopo la mancata costituzione delle parti, la convenuta chiedeva il rigetto della domanda ed i danni da lite temeraria.Il Tribunale, con sentenza 6.3.2003, condannava Ecoitalia a pagare curo 29.688,00 e la Corte di Appello di Milano, decidendo sull'appello principale della società e sull'incidentale del M., con sentenza numero 2973/04. in rifonna, condannava Ecoitalia a titolo di danni cagionati dal recesso anticipato alla complessiva somma di euro 10.845,59 oltre accessori, con compensazione di metà delle spese.La Corte, richiamati gli atti, rilevato che la controversia riguardava l'ammissibilità del ricorso ad nutum prima della scadenza cd il diritto all'intero compenso nonostante la revoca del mandato, riteneva applicabili gli articolo 2229 e ss. c.c. richiamava i contrasti di giurisprudenza sul punto e concludeva che la previsione della durata biennale dell'accordo implicasse una stabilità effettiva dell'incarico incompatibile col recesso ad nutum.Tuttavia, dopo il recesso non era stata eseguita alcuna prestazione e non si poteva pretendere l'adempimento contrattuale ma solo riconoscere un danno quantificabile in 3 mensilità. corrispondente al tempo occorrente per instaurare altro rapporto professionale dinon minor prestigio e redditività.Ricorre l'avv. E. M. con due motivi,. resiste Ecoitalia proponendo ricorso incidentale e depositando memoria.Motivi della decisioneli ricorrente, premesse in fatto le conclusioni in appello di Ecoitalia e le proprie, ripota il dispositivo della sentenza di secondo grado, richiama in diritto 1. Il contratto 4.3.1996 ed esiti del giudizio R.G. 1170/02 della Corte di appello di Milano 2 materia del contendere del giudizio R.G. 1649/03, 3. inapplicabilità del recesso ad nutum . lamenta 4. Omessa, insufficiente motivazione della sentenza impugnata riportata parzialmente per concludere che il titolo alla base del diritto al compenso era costituito non solo dall'eventuale esecuzione delle prestazioni professionale, ma anche dalla mera messa a disposizione della propria struttura professionale di studio. 5. Violazione degli articolo 1223 e ss c.c. criticando l'interpretazione della domanda operata dalla corte di merito.Col ricorso incidentale si denuncia violazione 1 degli articolo 2237 e 1362 cc perché è valida la deroga pattizia del diritto di recesso 2 degli articolo 112 e 437 c.p.c. perché la Corte d'appello ha ridotto a mera improprietà formale l'inaccoglibile domanda giudiziale di adempimento contrattuale 3. degli artt 1223 e ss. 2229 e ss cc. e vizi di motivazione circa la liquidazione del danno per equivalente In assenza di qualsivoglia prestazione.Osserva la Corte che stante il principio di autosufficienza del ricorso per cassazione, quanto meno dal contesto dell'atto nel suo complesso. formato dalle premesse e dallo svolgimento dei motivi, id est dalla sola lettura di esso, escluso l'esame di ogni altro documento e della stessa sentenza impugnata., deve necessariamente essere desumibile una precisa cognizione dell'origine e dell'oggetto della controversia, dello svolgimento del processo e delle posizioni assunte dalle parti, delle decisioni adottate e delle ragioni di esse, in modo da consentire al giudice di legittimità un'adeguata comprensione del significato e della portata delle critiche mosse alla pronunzia ex plurimis Cass. 16 settembre 2004 numero 18648, 29 luglio 2004 numero 14474, 21 luglio2004 numero 13550, 19 aprile 2004 numero 7392, 19 luglio 2001 numero 9777 etc. Nella specie, nonostante la carenza della premessa in fatto, che prende le mosse dal giudizio di appello, dall'esposizione dei motivi risulta possibile una chiara e completa visione dell'oggetto del giudizio, donde la possibilità di esaminare il ricorso principale che merita accoglimento.Avendo la Corte di Appello dedotto che la previsione della durata biennale dell'accordo implicasse una stabilità effetti va dell'incarico incompatibile col recesso ad nutum, ne derivava il diritto al risarcimento nella misura correttamente fissata dal giudice di primo grado.Questa Corte ha, invero, statuito che, in mancanza di pattuizioni diverse o di giusta causa, l'apposizione di un termine finale determina in modo vincolante la durata del rapporto e nel caso di recesso unilaterale dal contratto da parte del committente, il prestatore ha diritto di conseguire il compenso contrattualemente previsto per l'intera durata del rapporto Cass. 29.11.2006 numero .25238. Cass. 1.10.2008 numero 24367 .Conseguentemente, pronunziando nel merito, va respinto l'appello di Ecoitalia avverso la condanna al pagamento di euro 29.688,01, disposta dal giudice di primo grado .Quanto al ricorso incidentale, la motivazione della sentenza riportata nei passaggi essenziali dallo stesso contro ricorrente circa la condivisione del principio espresso dal Tribunale che l'apposizione di un termine al rapporto di collaborazione fosse sufficiente ad integrare la deroga pattizia alla facoltà di recesso, la inaccoglibilità di una domanda di inadempimento e la corresponsione di un risarcimento equivalente ad una quota del compenso forfettario annuale, resiste alle critiche mosse sia in ordine alla derogabilità pattizia della disciplina dell'articolo 2237 cc. sia in ordine all'inaccoglibilità della domanda di adempimento contrattuale, sulla quale il contro ricorrente è carente di interesse, mentre, in ordine al danno riconosciuto, la censura resta superata dall'accoglimento del ricorso principale.In particolare, in ordine all'asserito vizio di extrapetizione per essere stata ritenuta proposta una domanda risarciitoria e non soltanto di adempimento, va osservato che essendo stato dedotto l'inadempimento contrattuale ed essendo stati fatti valere i relativi danni, è conseguente ritenere che anche la domanda di condanna ad adempiere l'accordo contrattuale avesse natura risarcitoria al pari delle altre formulate in giudizio.P.Q.M.La Corte accoglie il ricorso principale, rigetta l'incidentale e, decidendo nel merito, rigetta l'appello avverso il capo della sentenza di primo grado che ha condannato Ecoitalia al pagamento di euro 29.688.01.Condanna la resistente alle spese liquidate in euro 2500, di cui 2300 per onorari, oltre accessori.