Integra il reato di cui all’articolo 481 c.p. falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità la condotta del legale che autentichi la firma apocrifa del cliente, essendo sufficiente che l’atto sia idoneo al conseguimento di un qualsiasi effetto giuridicamente apprezzabile.
Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 28505, depositata il 2 luglio 2014. Il caso. La Corte d’appello di Milano condannava due imputati per il reato di cui all’articolo 485 c.p. falsità in scrittura privata , in quanto, su istigazione di uno, l’altro formava falsamente a margine di un atto di precetto la firma del primo. Inoltre, veniva condannato, ai sensi dell’articolo 481 c.p. falsità ideologica in certificati commessa da persone esercenti un servizio di pubblica necessità , il loro avvocato che, durante una causa civile, aveva attestato falsamente che la firma apposta fosse autentica. La querela era stata sporta da un terzo che si trovava in lite con gli imputati e, dopo aver ricevuto l’atto di precetto, aveva notato la difformità della firma da altre apposte ad atti in suo possesso. Gli imputati ricorrevano in Cassazione, lamentando la mancanza di legittimazione del querelante contestando ai giudici di merito di non aver valutato correttamente la sussistenza del dolo. Persona offesa dal reato. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione, innanzitutto, ricordava i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l’interesse pubblico alla genuinità materiale ed alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l’atto sia destinato ad incidere concretamente, per cui egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato. Perciò, nel caso di specie, il era legittima la querela sporta. Falsità in scrittura privata. Per quanto riguarda la sussistenza del dolo, la Cassazione distingueva la posizione degli imputati per i primi due, accusati di falsità in scrittura privata, la Corte sottolineava che in tale reato per la sussistenza del dolo è sufficiente che l’azione del soggetto sia determinata dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, senza che occorra una correlazione tra le due ipotesi. Nel caso di specie, i giudici di merito avevano attestato l’oggettiva esistenza della falsificazione della firma apposta al documento e del vantaggio che sarebbe derivato dalla falsificazione della sottoscrizione. Autenticazione di firma falsa. Invece, sulla posizione dell’avvocato, i giudici di legittimità ritenevano che integri il reato di cui all’articolo 481 c.p. la condotta del legale che autentichi la firma apocrifa del cliente, essendo sufficiente che l’atto sia idoneo al conseguimento di un qualsiasi effetto giuridicamente apprezzabile. Nel caso di specie, il legale aveva autenticato la sottoscrizione non apposta in propria presenza, omettendo i dovuti controlli sull’autenticità della firma in contestazione. Il reato era quindi integrato, essendo sufficiente il dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico della norma incriminatrice. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava tutti i ricorsi.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 27 marzo – 2 luglio 2014, numero 28505 Presidente Lombardi – Relatore De Berardinis Fatto e diritto Con sentenza in data 4.10.12 la Corte di Appello di Milano, in riforma della sentenza emessa dal Tribunale di Lecco, in data 25.10.2010, appellata da L.A. , L.D. e G.L. , riduceva la pena inflitta dal primo giudice per concessione delle attenuanti generiche a L.A. e L.D. a mesi due e giorni venti di reclusione ciascuno, e nei confronti di G.L. , riduceva la pena con le concesse attenuanti, a mesi uno e giorni dieci di reclusione, concedendo ai tre appellanti il beneficio della non menzione. Nella specie si ritenevano i predetti L.A. e D. responsabili - in concorso tra loro - del reato previsto dall'articolo 485 CP. perché, su istigazione del secondo, L.A. formava falsamente a margine dell'atto di precetto nei confronti di La.Ad. , in data 23.11.2006, la firma di L.D. - al G. si addebitava il reato previsto dall'articolo 481 CP., perché egli, nella qualità di avvocato difensore di L.D. , in una causa civile contro La.Ad. , attestava falsamente che la firma apposta da L.A. in sostituzione di L.D. a margine dell'atto di precetto in data 23.11.06, fosse autentica - in Lecco il 23.11.2006 - I fatti erano emersi a seguito di una querela sporta da L.A. , che era in lite con i congiunti, ed aveva ricevuto la notifica del precetto, su richiesta dell'Avv. G. , risultando creditore il padre D. . Il denunciante aveva notato la difformità della firma del padre da altre apposte ad atti che erano in suo possesso. Dal provvedimento si evince che la falsità della sottoscrizione risulta avvalorata da esito di una consulenza disposta dal PM. Preliminarmente il giudice aveva verificato l'esistenza di un interesse di La.Ad. a proporre querela, non essendo stata falsificata la sua sottoscrizione, evidenziando che comunque egli avrebbe potuto subire conseguenze pregiudizievoli derivanti dalla condotta denunciata. Il procedimento si era svolto nelle forme del rito abbreviato. - In ordine agli atti utilizzabili v. fl.4 sentenza , si evidenzia che per L.D. risultavano utilizzabili le prime dichiarazioni, rese in data 9.1.2007, a seguito della denuncia, poiché, al tempo, non risultava attribuita al predetto la condotta di istigazione enunciata in rubrica, e si trattava solo della falsità della firma apposta all'atto di precetto. Diversamente si era ritenuta l'inutilizzabilità delle dichiarazioni rese in sede di sommarie informazioni da L.A. , in quanto costui era stato accusato dal padre, nelle seconde dichiarazioni rese dal predettoci essere autore del falso parimenti si era ritenuta l'inutilizzabilità delle sommarie informazioni rese dal G. , poiché come per L.A. , esse erano state rese in violazione dell'articolo 64 CPP. - la condotta delittuosa degli imputati risultava dimostrata - per L.D. , dalla accertata falsificazione della sua firma, evidenziando che l'imputato aveva in un primo momento affermato di aver sottoscritto tutti gli atti a lui mostrati da ciò la Corte desumeva la consapevolezza che l'imputato aveva circa la condotta di falsificazione realizzata dal figlio come illustrato in sentenza a fl. 6 . per L.A. si riteneva rilevante l'esito della consulenza tecnica disposta dal PM. dalla quale risultava sia la falsità della sottoscrizione di L.D. , sia che la stessa era da attribuire con alto grado di probabilità a L.A. . - Il G. , si riteneva responsabile del reato ascrittogli per avere autenticato la firma che non era stata apposta in sua presenza, avendo comunque l'onere di verificarne l'autenticità essendo in possesso di altri documenti sottoscritti da L.D. . Avverso tale sentenza proponevano ricorso gli imputati. 1 — il difensore di G.L. deduceva - la violazione dell'articolo 530 co. 2 CPP e dell'articolo 42 CP. rilevando che l'imputato aveva affermato di aver ricevuto il precetto presso lo studio e di avere autenticato la firma essendo il L.D. un suo cliente. La difesa censura sul punto la decisione osservando che la Corte non aveva tenuto conto delle circostanze del fatto, rilevanti ai fini della prova dell'elemento psicologico del reato. Il ricorrente rilevava altresì che la precedente firma del L. era del 2003, e censurava la sentenza per non avere valutato rigorosamente la sussistenza del dolo. - L.A. deduceva 1 - mancanza, contraddittorietà, illogicità della motivazione Censurava la valutazione delle prove, per travisamento dell'esito della perizia svolta dal RIS di Parma, rilevando che dall'elaborato si desume una semplice ipotesi di attribuzione della falsità all'imputato. Evidenziava altresì che alcun dato a carico del predetto era derivato dalle dichiarazioni del padre D. . - In secondo luogo rilevava la nullità per inosservanza di norme processuali, evidenziando che la perizia del RIS, deve ritenersi inutilizzabile , in quanto le scritture di comparazione rilasciate da L.A. , erano state eseguite senza l'assistenza di un difensore. Inoltre rilevava che la predetta perizia era un elaborato di parte non essendo stata disposta una consulenza dal Giudice monocratico. Pertanto l'esito di tale indagine avrebbe dovuto essere valutato in riferimento ad ulteriori elementi di riscontro, non costituendo una fonte di prova certa. Censura infine la perizia per mancato rispetto delle regole per l'acquisizione delle scritture di comparazione. 3 - il difensore di L.D. deduceva. Mancanza di prova logica. - in particolare rilevava che la condotta delittuosa ascritta all'imputato riguardava la istigazione alla falsificazione della propria sottoscrizione, evidenziando che al riguardo non vi era alcun elemento di prova desumibile da dichiarazioni dopo aver dato conto che la Corte di appello aveva considerato inutilizzabili le dichiarazioni rese dagli imputati per violazione dell'articolo 64 CPP inoltre evidenziava che anche da quanto aveva dichiarato l'imputato nelle dichiarazioni ritenute utilizzabili , si desumeva che egli aveva affermato di essere autore delle sottoscrizioni, e aveva precisato di avere l'abitudine di apporre firme in modo diverso. Né dalle perizie svolte erano emersi dati idonei a palesare la responsabilità dell'imputato. Per tali motivi i ricorrenti concludevano chiedendo l'annullamento della impugnata Sentenza. I ricorsi sono privi di fondamento. In ordine alla legittimazione del querelante si deve evidenziare il principio sancito da questa Corte, Sez. V - 20.1.2009, numero 2076 – Rv 242361 - per cui i delitti contro la fede pubblica tutelano direttamente non solo l'interesse pubblico alla genuinità materiale e alla veridicità ideologica di determinati atti, ma anche quello del soggetto privato sulla cui sfera giuridica l'atto sia destinato ad incidere concretamente, con la conseguenza che egli, in tal caso, riveste la qualità di persona offesa dal reato. È da premettere inoltre, che secondo quanto è dato desumere dal testo del provvedimento impugnatoci giudice di appello ha reso adeguata motivazione, in riferimento alla sussistenza dei reati contestati condividendo il giudizio di responsabilità formulato in primo grado a carico degli odierni ricorrenti, in base a valutazione esaustiva delle deduzioni svolte dalla difesa degli appellanti, senza incorrere nei richiamati vizi di motivazione. Quanto alle censure articolate nell'interesse di L.A. , si osserva che non emerge il dedotto travisamento della prova, dal momento che, alla stregua del provvedimento de quo, la materiale falsificazione della firma apparentemente apposta da L.D. , non risultava controversa nel giudizio di merito peraltro l'ascrivibilità del falso all'imputato risulta desunta con valide argomentazioni del giudice di appello coerenti con l'esito di indagine tecnica disposta dal PM, e dalla valutazione delle dichiarazioni rese dal genitore, L.D. , nella prima fase delle sommarie informazioni concludendo che il padre D. doveva ritenersi consapevole della condotta assunta dal figlio sul punto giova evidenziare che dalla complessità delle logiche argomentazioni del giudice di merito, si evince chiaramente che sia il predetto ricorrente che il figlio sono animati da comune interesse nell'ambito di una controversia civilistica, alla quale si riferiva l'atto di precetto al quale si riferiva l'imputazione di falso ex articolo 485 CP. - Al cospetto di una motivazione esaustiva sui punti devoluti dalla difesa all'attenzione del giudice di appello, i rilievi del ricorrente sulla presunta mancanza di elementi di prova certa, si rivelano privi di fondamento, limitandosi a contrastare l'assunto accusatorio, unicamente in riferimento alla pretesa assenza di elementi di prova certa, senza individuare dati sui quali sia ravvisabile un sostanziale travisamento della prova individuata nella periziarne il giudice di merito ha interpretato in sintonia con i criteri impartiti dall'articolo 192 CPP A riguardo deve evidenziarsi che, in tema di perizia grafica vale sempre il principio del libero convincimento del giudice si annovera in tal senso Cass. Sez. II, del 19.3.2003, numero 12839 – Rinaldi - RV224744 , onde non è censurabile la valutazione resa in riferimento ad elementi ulteriori rispetto alla consulenza grafica. Né assumono rilevanza le argomentazioni ulteriori svolte dal ricorrente, ove censura la circostanza che le scritture di comparazione non fossero state rilasciate in presenza di coloro che avrebbero eseguito l'indagine peritale. Tali elementi, al pari delle altre deduzioni che censurano le modalità di accertamento della falsificazione, come si desume dalla sentenza, non sono idonee a configurare alcuna nullità, in considerazione della accertata ed indiscussa attribuzione all'imputato delle scritture di comparazione. Pertanto i rilievi difensivi risultano puntualmente superati dalle logiche argomentazioni del giudice di merito, e da ciò deriva la legittimità del giudizio di colpevolezza a carico dell'imputato odierno ricorrente. Per quanto concerne il ricorso proposto da L.D. , deve rilevarsi che sono privi di fondamento i motivi con i quali la difesa deduce la mancanza di prova logica della responsabilità del prevenuto, al quale si addebitava di aver concorso nel delitto di falso come istigatore del figlio A. . Invero, premesso che la difesa da atto che la Corte territoriale ha correttamente ritenuto inutilizzabili le dichiarazioni rese in violazione di legge, ritenendo utilizzabili le dichiarazioni che l'imputato aveva reso in data 9.1.2007, deve osservarsi che il giudizio di colpevolezza dell'imputato, è incensurabile, in quanto basato sulla valutazione globale delle risultanze processuali, ponendo in luce da un lato l'oggettiva esistenza della falsificazione della firma apposta al documento e d'altra parte il coinvolgimento dell'imputato desunto, secondo quanto si rileva globalmente dalla motivazione resa dal giudice di appello, al di là delle dichiarazioni rese in un primo momento dal ricorrente, dalla esistenza di un vantaggio che sarebbe derivato al prevenuto dalla falsificazione della propria sottoscrizione. A riguardo si osserva che la decisione si rivela in sintonia con i canoni giurisprudenziali impartiti da questa Corte, Sez. V del 9.1.1980, numero 371, ove si stabilisce che nel delitto di falsità in scrittura privata per la sussistenza del dolo è sufficiente che l'azione del soggetto sia determinata dal fine di procurare a sé o ad altri un vantaggio o di recare ad altri un danno, senza che occorra una correlazione fra le due ipotesi. 3 - Ugualmente privo di fondamento risulta il ricorso proposto nell'interesse del legale G.L. . In ordine a tale imputato la difesa formula censure non idonee a rivelare la richiamata violazione di legge, riferita agli articolo 530 co. II CPP e 42 CP Invero la Corte territoriale ha valutato correttamente l'esistenza degli elementi costitutivi del reato, atteso che l'imputato, nella qualità di legale, risulta avere autenticato la firma apocrifa del cliente. Sull'argomento va richiamato il principio enunciato da questa Corte, con sentenza Sez. V - del 20.3.2006, numero 9578 - RV234229 - per cui integra il reato di cui all'articolo 481 CP la condotta del legale che autentichi la firma apocrifa del cliente, ritenendosi sufficiente che l'atto sia idoneo al conseguimento di un qualsiasi effetto giuridicamente apprezzabile . Sez. V del 14.6.2005, numero 22496 - RV 231563. Non si rivelano in tal senso fondate le deduzioni del ricorrente che tendono ad escludere l'elemento psicologico del reato, atteso che l'imputato risulta avere autenticato la sottoscrizione non apposta in propria presenza, omettendo, secondo quanto si desume dal testo del provvedimento, i dovuti controlli sulla autenticità della firma in contestazione. In tal senso deve ritenersi integrato il reato di cui si tratta che richiede un dolo generico, inteso come coscienza e volontà del fatto tipico della norma incriminatrice. In conclusione va pronunziato il rigetto dei ricorsi, a cui consegue la condanna di ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali e, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, che si liquidano in complessivi Euro 2.000, 00 oltre accessori di legge. P.Q.M. Rigetta i ricorsi e condanna ciascun ricorrente al pagamento delle spese processuali, nonché, in solido, alla rifusione delle spese sostenute nel grado dalla costituita parte civile, che liquida in complessivi Euro 2.000, 00, oltre accessori di legge.