Etilometro: il risultato della prova deve essere valutato alla luce dei saperi scientifici

L’effettiva possibilità che l’accertamento strumentale risulti inficiato da un particolare fattore di condizionamento è circostanza che impegna ad un approfondimento dell’indagine, ove possibile sul versante tecnico scientifico, certamente con riferimento alle complessive circostanze del fatto, che vanno analizzate tenendo presente l’ipotesi di distorsione e quindi dando conto, con adeguata motivazione, delle ragioni per le quali, nel caso concreto, è da escludere che quella possibilità si sia mutata in fatto.

Il giudice deve valutare l’autorità scientifica dell’esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza, ma anche comprendere soprattutto nei casi più problematici se gli enunciati che vengono proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica. È quanto emerge dalla sentenza numero 22962/2014, depositata il 3 giugno. Il caso. L’imputato veniva tratto a giudizio per rispondere di guida in stato d’ebbrezza. Il risultato della prova alcoolimetrica cui il medesimo era stato sottoposto aveva dato esito positivo. La difesa aveva provato, attraverso una consulenza tecnica, come l’imputato fosse affetto da diabete mellito e come detta patologia, attraverso la liberazione dei chetoni effettuata per via aerea, fosse in grado di far rilevare un livello di alcooli più elevato rispetto a quello relativo a quelli ingeriti proprio a causa del particolare funzionamento del metabolismo delle persone affette dalla patologia indicata. I giudici di prime e seconde cure non avevano dato alcun peso alla prospetta tata tesi difensiva. Ricorsa per cassazione la sentenza per violazione di legge con riferimento alle regole di valutazione della prova e vizio motivazionale proprio in relazione al profilo inerente la natura di prova scientifica dell’etilometro e, quindi, dei sapere necessari ad interpretarne i risultati, il difensore dell’imputato ha ottenuto dalla quarta sezione la pronuncia in commento. Prova scientifica. Il concetto di prova scientifica che l’etilometro debba essere considerato uno strumento tecnico attraverso cui si producono i risultati tipici di una prova caratterizzata dall’avere natura scientifica, a me pare fuori di dubbio. Almeno se vogliamo far riferimento a quanto sostenuto dal professor Dominioni, autorità indiscussa in materia, che così definita così la definisce «in generale può dirsi si tratti di operazioni probatorie per le quali, nei momenti dell’ammissione, dell’assunzione e della valutazione, si usano strumenti di conoscenza attinti alla scienza e alla tecnica, cioè a dire principi e metodologie scientifiche, metodiche tecnologiche, apparati tecnici il cui uso richiede competenze esperte». Il momento della valutazione richiede competenze esperte, che, come la sentenza in commento dimostra, debbono essere necessariamente valutate. Certamente l’etilometro, se correttamente impiegato ed utilizzato, ricordiamoci tutti che lo strumento etilometro come ogni apparecchiatura tecnica è predisposto e soggetto ad un range di funzionamento determinato dalla temperatura dell’ambiente in cui la prova viene effettuata è in grado di fornire un dato che da atto e conto di quali siano le percentuali di alcooli rilevabili attraverso l’emissione aerea di chi al test è sottoposto. Diverso è però conoscere se detti alcooli rilevati chetoni dipendano dall’ingestione di bevande alcoliche oppure, come nel caso in esame, da una patologia del metabolismo diabete mellito . Per conoscere e comprendere la possibile sussistenza di patologie e la loro incidenza sugli esiti dell’esame, deve necessariamente farsi ricorso ad un sapere scientifico. Scienza e diritto. La Quarta Sezione della Corte è, per definizione, la sezione che più di ogni altra si è occupata della questione attinente al rapporto tra scienza e diritto. Per accompagnare il lettore in una rapidissima carrellata occorre far riferimento ad alcune pronunce cardine rese nel sistema di common law cui la nostra giurisprudenza, piuttosto recentemente, ha deciso di ispirarsi. L’esigenza di definire quale dovessero essere i caratteri tipici della prova scientifica, aveva portato all’inizio del secolo scorso ad elaborare la teoria del cosiddetto “commercial market place” che era inteso a rilevare e dar atto del grado di affermazione che un soggetto l’expert fitness – perito aveva raggiunto e conseguito nel mercato. Dunque l’affidabilità della prova scientifica era connessa e connaturata all’affidabilità del perito che si derivava dal grado di affermazione che egli aveva raggiunto. Evoluzione del “commercial market place” può dirsi “intellectual market palce” che facendo sempre riferimento al grado di affermazione raggiunto sul e nel mercato dal perito si riferiva anche alle sue specifiche competenze e conoscenze tecniche. Dunque la scienza era costituita ed incarnata dallo scienziato, o per meglio dire, dal grado di autorevolezza che lo scienziato aveva raggiunto nel mercato in ordine alle sue specifiche competenze. Con una punta di sarcasmo possiamo notare come in molti casi la giurisprudenza, soprattutto quella di merito, spesso si appaghi di verificare la scientificità delle affermazioni formulate dallo scienziato ancora oggi esclusivamente sulla scorta del prestigio personale di questi. Con una sentenza datata 1923 la Circuit Court del Distretto di Columbia Frye v UnitedStates ha provveduto a ridefinire i termini della vicenda formulando la teoria del “general acceptance test”. Ai sensi del quale affinché una prova scientifica possa essere ammessa è necessario che essa sia fondata su un principio la cui validità sia stata riconosciuta dalla generale approvazione della comunità scientifica. Dunque all’uomo ed al suo criterio di ritenuta affidabilità viene sostituito il principio della accettabilità generale della teoria. Sul finire degli anni sessanta e durante il decennio successivo il cosiddetto Frye test cominciò a mostrare i segni dei propri limiti. L’obiezione principale mossa nei suoi confronti era costituita dalla funzione che si finiva con l’attribuire alla teoria generalmente accettata rispetto alla decisione giudiziaria. L’esistenza di una teoria generalmente accettata finiva con privare di una qualsiasi possibilità di valutazione il giudice in ordine allo svolgimento del caso concreto in altre parole la scienza, comunemente accettata, aveva finito con il sostituirsi al Giudice. Lo scienziato affermava un principio condiviso dalla comunità scientifica e questo principio diveniva l’alfa e l’omega della vicenda processuale. Il tutto in un periodo caratterizzato da grandi scoperte e dall’affermazione del genio assoluto di Einstein che aveva bollato la scienza definendola un cimitero di teorie smentite. Entravano in crisi i presupposti fondamentali posti alla base del Frye. Dalle necessità di risolvere pragmaticamente le difficoltà incontrate nel definire i criteri di validità del Frye test dinnanzi ad una scienza in rapida evoluzione e da quella di “scollegare” il funzionamento della giustizia da criteri di scientificità che impedivano l’acquisizione e l’utilizzo di nuove acquisizioni scientifiche necessariamente non ancora divenute patrimonio comune e diffuso di tutta la comunità scientifica, la giurisprudenza nord americana prese ad interrogarsi in tema di ridefinizione epistemologica della prova scientifica. Con la sentenza Daubert, 1993 la Suprema Corte Federale degli Stati Uniti pone alcune questioni che scandiscono un vero e proprio punto di svolta in ordine alla disciplina dell’ammissione della prova scientifica e, evidentemente, circa la sua valutazione. Dalla pronuncia è possibile estrarre ed individuare quattro differenti piani di problemi relativi alla e della prova scientifica il ruolo del Giudice nella sua ammissione enucleazione dei requisiti di ammissibilità criteri per stabilire l’affidabilità dei risultati evidenziazione dei meccanismi processuali idonei a governare al meglio l’assunzione della prova scientifica con le due esclusive finalità di far recepire in modo corretto il “sapere” tecnico al processo e propiziarne la sua valutazione ragionevole e credibile. Come si vede, si tratta dei principi che la Corte di cassazione ha posto alla base, prima ancora della decisione in commento delle notissime pronunce Franzese e Cozzini Il valore della scienza. La quarta sezione della Corte torna ancora una volta sul tema, complesso, del rapporto tra scienza e diritto per ribadire quali caratteristiche debba avere la prova scientifica equali debbano essere le “rules” per considerarne i risultati semplice opinione di un esperto piuttosto che frutto di regole scientifiche accettate ed incontrastabili. Nel primo caso l’opinione è manifestazione di un convincimento proprio e non universalmente riconosciuto, nel secondo invece ci si troverebbe innanzi ad un risultato ottenuto e prodotto dalla rigida e corretta applicazione di principi validati e considerati postulati dalla comunità scientifica. La pronuncia si preoccupa proprio di orientare la scelta del Giudice nell’individuazione della “good science” invitandolo ad un attento ed approfondito esame in tema di conoscenza dell’opinione diffusa nella comunità scientifica di riferimento, dell’autorità scientifica dell’esperto incaricato dal giudice di “tradurre” i saperi scientifici a benefico del giudice stesso e, fondamentale, a tradurli, previa loro metabolizzazione, in una spiegazione degli eventi che deve necessariamente essere connotata da tre requisiti fondamentali. Essa deve essere comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile. Il cammino intrapreso con la sentenza Franzese, proseguito con la pronuncia Cozzini pare destinato a segnare un ulteriore passo in avanti con la pronuncia Zoppolat che, credo, avrà ampia possibilità di citazione. Anche ma non solo per la tipologia di materia trattata.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 18 febbraio – 3 giugno 2014, numero 22962 Presidente Romis – Relatore Dovere Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe la Corte di Appello di Trento, sezione distaccata di Bolzano, ha confermato quella emessa il 13.3.2012 dal Tribunale di Bolzano, con la quale Z.S. era stato dichiarato colpevole della contravvenzione di cui all'articolo 186, comma 2 lett. c e co. 2sexies del d. lgs. 30 aprile 1992, numero 285, commessa il 18.11.2009, e lo aveva condannato alla pena di mesi quattro di arresto ed euro millecinquecento di ammenda, con concessione della sospensione condizionale della pena ed applicazione della sanzione amministrativa accessoria della sospensione della patente di guida per la durata di uno anno, con la confisca dell'autovettura. La Corte di Appello ha ritenuto corretta l'affermazione di responsabilità in quanto il fatto che l'imputato fosse diabetico non aveva determinato l'inattendibilità dell'alcoltest, posto che anche il consulente tecnico della difesa si era espresso in termini congetturali e che il verbalizzante aveva riferito della presenza di sintomatologia dell'ebbrezza alcolica, che lo stesso imputato aveva riferito di aver bevuto tre birre piccole e che questi, pur consapevole dell'esito dell'alcoltest non aveva chiesto di essere sottoposto a prelievo ematico per dimostrare l'assenza dello stato di ebbrezza alcolica. 2. Propone ricorso per cassazione l'imputato, chiedendo l'annullamento della sentenza. Il ricorrente denuncia violazione di legge, con riferimento alle regole di valutazione della prova, e vizio motivazionale, rilevando che - a differenza di quanto asserito dalla Corte di Appello - il consulente della difesa aveva chiarito in termini di certezza scientifica che la patologia della quale era portatore l'imputato diabete mellito insulino-dipendente del primo tipo determina uno stato di iperglicemia tendente alla chetoacidosi, con eliminazione di corpi chetonici attraverso il respiro, nonché sviluppo di alcol etilico nella flora batterica intestinale, concludendo che tali fenomeni determinano sicuramente un'alterazione in eccesso dei valori di alcol nel sangue riscontrati dall'alcoltest valori che andrebbero corretti, secondo una valutazione personale ma verosimile dell'esperto, con una riduzione del 30%, ma che per taluna giurisprudenza di merito determinerebbe la necessità di una riduzione tra il 50 ed il 70%. Il ricorrente contesta che il teste T. abbia riferito di una sintomatologia riconducente all'ebbrezza alcolica, ribadendo che comunque non sono stati osservati i sintomi tipici di un'ebbrezza con valori superiori a 2 g/I così come contesta, facendo riferimento ad alcune deposizioni, che l'imputato non avesse chiesto di essere condotto presso un nosocomio per un approfondimento dell'accertamento. Ma ciò accompagna alla evidenziazione della insussistenza di un obbligo giuridico gravante sull'imputato avente ad oggetto l'esecuzione di prelievo ematico e l'incertezza scientifica in merito alla affidabilità di tale esame nel caso di soggetti portatori della patologia che affligge l'imputato. Lamenta, infine, l'omessa valutazione delle deposizioni dei testi della difesa, che avevano riferito dell'assunzione di un modestissimo quantitativo di bevande alcoliche. In ogni caso, la Corte di Appello avrebbe dovuto concludere per l'avvenuto accertamento dell'ipotesi di cui alla lett. a dell'articolo 186, co. 2 Cod. str. Considerato in diritto 3. Il ricorso è fondato, nei termini di seguito precisati. 3.1. In primo luogo va esplicato che, pur senza farne esplicita menzione, il ricorrente lamenta un sostanziale travisamento della prova dichiarativa consistente nella deposizione del teste T. Orbene, tale censura non può trovare accoglienza nel presente giudizio, perché si verte in ipotesi di `doppia conforme' e non ricorrono le ipotesi che valgono a superare la preclusione che dalla conformità dei giudizi deriva Sez. 4, numero 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636 . La giurisprudenza di questa Corte chiarisce che, in virtù della previsione di cui all'articolo 606, comma primo, lett. e cod. proc. penumero , novellata dall'articolo 8 della L. numero 46 del 2006, costituisce vizio denunciabile in cassazione la contraddittorietà della motivazione risultante dal testo del provvedimento impugnato, ovvero da altri atti del processo indicati nei motivi di gravame e, pertanto, l'errore cosiddetto revocatorio che cadendo sul significante e non sul significato della prova si traduce nell'utilizzo di una prova inesistente per effetto di una errata percezione di quanto riportato dall'atto istruttorio Sez. 5, numero 18542 del 21/01/2011 - dep. 11/05/2011, Carone, Rv. 250168 . Concorre a definire ancor più nitidamente il concetto in esame la precisazione per la quale il vizio di travisamento della prova dichiarativa, per essere deducibile in sede di legittimità, deve avere un oggetto definito e non opinabile, tale da evidenziare la palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto sicché è da escludere che integri il suddetto vizio un presunto errore nella valutazione del significato probatorio della dichiarazione medesima in tal senso Sez. 5, numero 9338 del 12/12/2012 - dep. 27/02/2013, Maggio, Rv. 255087 . Deve comunque trattarsi di un errore idoneo a disarticolare l'intero ragionamento probatorio, rendendo illogica la motivazione per la essenziale forza dimostrativa del dato processuale/probatorio Sez. 1, numero 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207 . Può aggiungersi che non si verte in tema di travisamento della prova quando, trattandosi di prova dichiarativa, l'eventuale errore sul significante non abbia inciso sul significato della prova come quando l'errore su un singolo enunciato non abbia avuto influenza sulla apprensione del senso dell'intera dichiarazione. A ben vedere, anche in tal caso è manchevole quella palese e non controvertibile difformità tra il senso intrinseco della singola dichiarazione assunta e quello che il giudice ne abbia inopinatamente tratto che per la ricordata giurisprudenza integra il vizio in parola. Questa Corte ha posto in correlazione il travisamento della prova, quale vizio deducibile con ricorso per cassazione, e la conformità delle pronunce di primo e secondo grado. Si è così affermato che il vizio del travisamento della prova può essere dedotto con il ricorso per cassazione quando la decisione impugnata abbia riformato quella di primo grado, non potendo, nel caso di cosiddetta doppia conforme , essere superato il limite costituito dal devolutum con recuperi in sede di legittimità, salvo il caso in cui il giudice d'appello, per rispondere alle critiche contenute nei motivi di gravame, abbia richiamato dati probatori non esaminati dai primo giudice Sez. 4, numero 19710 del 03/02/2009 - dep. 08/05/2009, P.C. in proc. Buraschi, Rv. 243636 Sez. 1, numero 24667 del 15/06/2007 - dep. 21/06/2007, Musumeci, Rv. 237207 Sez. 2, numero 5223 del 24/01/2007 - dep. 07/02/2007, Medina ed altri, Rv. 236130 , o il caso in cui entrambi i giudici di merito siano incorsi nel medesimo travisamento delle risultanze probatorie Sez. 4, numero 44756 del 22.10.2013, Buonfine ed altri, numero m. . 4.1. Nella costante interpretazione di questa Corte il reato di guida in stato di ebbrezza determinata dall'uso di bevande alcoliche risulta integrato quando si verifichi uno stato di alterazione psico-fisica, effetto dell'assunzione di bevande alcoliche avente incidenza anche solo concausale e non in quanto si registrino i valori definiti dall'articolo 186, co. 2 lett. b e c Cod. str. Siffatta puntualizzazione non è in contrasto con quelle pronunce per le quali l'esito positivo dell'alcoltest costituisce prova della sussistenza dello stato di ebbrezza, di talchè è onere dell'imputato fornire eventualmente la prova contraria a tale accertamento dimostrando vizi od errori di strumentazione o di metodo nell'esecuzione dell'aspirazione, non essendo sufficiente la mera allegazione di difettosità o assenza di omologazione dell'apparecchio ex multis, Sez. 4, numero 17463 del 24/03/2011, Neri, Rv. 250324 Sez. 4, numero 8591, 16/1/2008, Letteriello, non massimata . Infatti, il principio appena ricordato rimarca l'esistenza di una presunzione normativa di sussistenza dello stato di alterazione psico-fisica derivante dall'uso di bevande alcoliche, la quale può essere superata dalla dimostrazione, incombente sull'imputato, della insussistenza di un effettivo stato di ebbrezza nonostante la misurazione strumentale. Ciò è tanto vero che in altre decisioni si è apertamente esclusa l'esistenza di una 'prova legale', nel senso di unicità delle modalità dimostrative dello stato di ebbrezza. Sicchè - correlativamente - non viene escluso che anche sulla base della sola sintomatologia sia possibile affermare la sussistenza del reato, e quindi il superamento della soglia di accesso al penalmente rilevante [ipotesi sub b dell'articolo 186, co. 2 Cod. str. e sinanche di quella prevista dalla lettera c del medesimo comma Sez. 4, numero 28787 del 09/06/2011 - dep. 19/07/2011, P.G. in proc. Rata, Rv. 250714 Sez. 4, numero 27940 del 07/06/2012 - dep. 12/07/2012, Grandi, Rv. 253598 ]. Per il principio del libero convincimento, per l'assenza di prove legali e per la necessità che la prova non dipenda dalla discrezionale volontà della parte interessata, il giudice può desumere lo stato di alterazione psicofisica, derivante dall'influenza dell'alcool, da qualsiasi elemento sintomatico dell'ebbrezza o dell'ubriachezza tra cui l'ammissione dei conducente, l'alterazione della deambulazione, la difficoltà del movimento, l'eloquio sconnesso, l'alito vinoso, ecc. così come può anche disattendere l'esito fornito dall' etilometro , semprechè del suo convincimento fornisca una motivazione logica ed esauriente. Di conseguenza, lo stato di ebbrezza può essere accertato anche sulla base di una sola prova valida, e persino in astratto senza alcuna prova valida, ma a condizione che il quadro sintomatologico sia adeguato e che il giudice sappia rendere corretta motivazione nel reato di guida in stato di ebbrezza, poiché l'esame strumentale non costituisce una prova legale, l'accertamento della concentrazione alcolica può avvenire in base ad elementi sintomatici per tutte le ipotesi di reato previste dall'articolo 186 cod. strada e, qualora vengano oltrepassate le soglie superiori, la decisione deve essere sorretta da congrua motivazione Sez. 4, numero 30231 del 04/06/2013 - dep. 12/07/2013, Do Nascimento, Rv. 255870 . Resta quindi confermato che l'accertamento giudiziario ha quale traguardo la verifica dell'imputazione, la quale, per corrispondere alla fattispecie tipica, ha al suo nucleo la condotta di guida in stato di alterazione psico-fisica derivata dall'assunzione di bevande alcoliche di grado corrispondente a quelli previsti alle lettere b e c dell'articolo 186, comma 2 Cod. str. 4.2. Siffatta puntualizzazione rende evidente che il giudice non può omettere di prendere in considerazione - ove non manifestamente infondata - l'ipotesi che alla registrazione strumentale di un tasso alcolemico di valore tale da ricondurre all'area del penalmente rilevante non corrisponda un reale stato di alterazione psico-fisica oppure che il sussistente stato di alterazione non sia riconducibile anche solo in via concorsuale all'uso di bevande alcoliche. 5.1. Questa Corte ha in più occasioni tracciato le linee metodologiche alle quali il giudice deve attenersi allorquando l'accertamento imposto dalla contestazione comporti l'ingresso nel procedimento penale di cognizioni di carattere tecnico e/o specialistico. In tali casi, gli apporti degli esperti, quali canali di conoscenza del sapere scientifico, richiamano il giudice non solo ad un'attenta verifica della personale attendibilità del consulente tecnico o del perito ma anche all'accertamento dello stato dell'arte di quel particolare settore dal quale provengono le cognizioni richieste per la soluzione del caso. Come è stato esplicato con estrema efficacia, si tratta di valutare l'autorità scientifica dell'esperto che trasferisce nel processo la sua conoscenza della scienza ma anche di comprendere, soprattutto nei casi più problematici, se gli enunciati che vengono proposti trovano comune accettazione nella comunità scientifica Sez. 4, numero 43786 del 17/09/2010 - dep. 13/12/2010, Cozzini e altri, Rv. 248943, in motivazione . E' in questo senso che il giudice può ancora dirsi peritus peritorum. Come è stato di recente ribadito, il giudice, con l'aiuto degli esperti, individua il sapere accreditato che può orientare la decisione e ne fa uso oculato, metabolizzando la complessità e pervenendo ad una spiegazione degli eventi che risulti comprensibile da chiunque, conforme a ragione ed umanamente plausibile Sez. 4, numero 16237 del 29/01/2013 - dep. 09/04/2013, Cantore, Rv. 255105, in motivazione . E' del tutto evidente che un simile compito deve trovare riscontro in una motivazione che dia conto delle modalità di acquisizione ed elaborazione del sapere scientifico all'interno del processo e del giudizio che con esse si confronta. 5.2. La sentenza impugnata non corrisponde ai principi testè rammentati. La difesa dell'imputato aveva introdotto nel processo, attraverso l'apporto di un esperto, cognizioni di carattere tecnico assumendone la congruenza rispetto al caso in esame e la rispondenza alle conoscenze scientifiche allo stato acquisite in merito al particolare funzionamento del metabolismo delle persone affette da diabete mellito, come l'odierno ricorrente. Più specificamente, si è avanzata la tesi del rilascio di acetone attraverso il respiro, di modo che il valore del tasso alcolico misurato dall'etilometro non corrisponde all'effettivo tasso, all'inverso accertabile attraverso l'esame del sangue. A fronte di tale attività difensiva, la Corte di Appello si è limitata ad asserire che il c.t. della difesa si era espresso in termini congetturali e non di certezza scientifica, riportando un brevissimo inciso, non è esplicitato se della relazione di consulenza eventualmente acquisita o della deposizione dell'esperto può essere inficiato . Un simile modo di rappresentare i contenuti dell'indagine tecnica e l'analisi della medesima compiuta dal giudicante non soddisfa l'onere motivazionale, quale si è definito nel precedente paragrafo. Da un canto la locuzione richiamata dal Collegio distrettuale può avere significati differenti ed opposti a seconda del contesto discorsivo nel quale è stata utilizzata. Per altro e più sostanziale verso, l'effettiva possibilità che l'esito dell'accertamento strumentale risulti inficiato da un particolare fattore di condizionamento è circostanza che impegna ad un approfondimento dell'indagine, ove possibile sul versante tecnico-scientifico, certamente con riferimento alle complessive circostanze del fatto, che vanno analizzate tenendo presente l'ipotesi di distorsione e quindi dando conto, con adeguata motivazione, delle ragioni per le quali, nel caso concreto, è da escludere che quella possibilità si sia mutata in fatto. Nel caso che occupa, il consueto richiamo alla 'sintomatologia dell'ebbrezza alcolica' e all'assunzione di `tre birre piccole' - che pure nella più parte dei casi può risultare risolutivo mentre di nessun valore sul piano dimostrativo è il comportamento dell'imputato, che non assunse iniziative per l'esecuzione di prelievo ematico - non è in grado di integrare una motivazione immune da vizi, perché operato senza tener conto della patologia dell'imputato, mai messa in discussione dalla stessa Corte territoriale. Tale patologia avrebbe richiesto di verificare se i soli due fattori evidenziati come sintomatologici alito alcolico e occhi arrossati , stante la loro non univocità dimostrativa, fossero riconducibili all'ipotesi posta in campo dalla condizione di diabetico dello Z. o, all'inverso, ad una consistente assunzione di alcool. Il che, in presenza di una prova di carattere tecnico, non può avvenire omettendo di interloquire con le argomentazioni provenienti dall'esperto, secondo la metodologia che si è richiamata al superiore paragrafo 5.1. 6. La sentenza impugnata va quindi annullata, con rinvio per nuovo esame alla Corte di Appello di Trento. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata e rinvia per nuovo esame alla Corte di Appello di Trento.