L’imprenditore deve controllare l’operato del professionista che amministra l’azienda

L’operato del professionista deve essere controllato dall’imprenditore. E poi, nel caso di specie, quest’ultimo era consapevole di aver reso impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali.

Per questo la Cassazione ha rigettato, con la sentenza n. 24252 depositata il 4 giugno 2013, il ricorso presentato dall’imprenditore contro la condanna per il reato di bancarotta fraudolenta documentale. La fattispecie. Il legale rappresentante di una s.r.l., dichiarata fallita il 28 settembre 2006, veniva condannato, in entrambi i giudizi di merito, per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. Inutile, poi, si rivela anche il ricorso per cassazione presentato dall’imputato. I Giudici Supremi, infatti, rilevano l’impossibilità di ricostruire le vicende societarie a cagione della mancanza delle scritture contabili e, inoltre, la sussistenza della coscienza e volontà di porre in essere l’irregolarità, non dovuta a mera disattenzione o negligenza. Ma quale diligenza, l’imputato era consapevole di aver reso impossibile la ricostruzione delle vicende patrimoniali. In pratica, l’irregolare tenuta delle scritture contabili da parte dell’imputato, con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio, integra il reato di bancarotta fraudolenta documentale previsto dall’art. 216, comma 1 e 2, L. Fall L’operato del professionista va controllato. Non rileva, inoltre, l’affidamento dell’amministrazione a soggetti estranei, anche perché - concludono gli Ermellini – sull’imprenditore grava, oltre all’onere di un’oculata scelta del professionista incaricato e alla connessa eventuale culpa in eligendo ”, anche quello di controllarne l’operato Cass., n. 32586/2007 .

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 17 aprile – 4 giugno 2013, n. 24252 Presidente Ferrua – Relatore Sabeone Ritenuto in fatto 1. La Corte di Appello di Milano, con sentenza del 18 aprile 2012, ha confermato la sentenza del GIP presso il Tribunale di Milano del 16 aprile 2008, emessa a seguito di rito abbreviato, che aveva condannato H.H.A. , legale rappresentante della I.T.I. Group s.r.l., dichiarata fallita il omissis , per il delitto di bancarotta fraudolenta documentale. 2. Avverso tale sentenza ha proposto ricorso per cassazione l'imputato, a mezzo del proprio difensore, il quale lamenta, quale unico motivo, una violazione di legge e una motivazione illogica circa l'affermazione della propria penale responsabilità, con particolare riferimento alla sussistenza dell'elemento soggettivo. Considerato in diritto 1. Il ricorso è da rigettare. 2. Invero, da un lato, la Corte territoriale ha chiaramente affermato come il ricorrente, formalmente incaricato della gestione della società fallita, non abbia evidenziato alcuna valida giustificazione che dimostrasse un assoluto impedimento all'esercizio dei propri doveri di amministratore, tra i quali la corretta tenuta delle scritture contabili. La Corte territoriale non aveva, poi, bisogno di molte parole per affermare, come in effetti fatto sulla base delle dichiarazioni del Curatore e dello stesso imputato, l'impossibilità di una ricostruzione in maniera esatta delle scritture contabili della società decotta a cagione dell'inesistenza delle stesse presso la sede sociale. A ciò si aggiunga, come in tema di motivazione per relationem il collegamento tra le sentenze di primo e secondo grado risulti perfettamente operato non ravvisandosi alcuna omissione nel ragionamento seguito dalla Corte territoriale per disattendere le doglianze avanzate dagli appellanti. 3. Quanto, invece, alla responsabilità per il reato di bancarotta documentale, in risposta alle doglianze del ricorrente si deve ricordare che la colpa dell'imprenditore è ravvisabile quando egli abbia affidato a soggetti estranei all'amministrazione dell'azienda la tenuta delle scritture e dei libri contabili, perché su di lui grava, oltre all'onere di un'oculata scelta del professionista incaricato e alla connessa eventuale culpa in eligendo , anche quello di controllarne l'operato v. Cass. Sez. V 10 luglio 2007 n. 32586 . E, d'altronde, mentre per la bancarotta fraudolenta documentale prevista dalla L. Fall., articolo 216, comma 1, n. 2, l'elemento psicologico deve essere individuato nel dolo generico, costituito dalla coscienza e volontà della irregolare tenuta delle scritture con la consapevolezza che ciò renda impossibile la ricostruzione delle vicende del patrimonio dell'imprenditore, per la bancarotta semplice prevista dalla L. Fall., articolo 217, comma 2, la condotta deve essere sostenuta indifferentemente dal dolo o dalla colpa, che sono ravvisagli quando l'agente ometta, con coscienza e volontà o per semplice negligenza, di tenere le scritture v. Cass. Sez. V 18 ottobre 2005 n. 6769 . Un'altra differenza tra la previsione dell'articolo 216 e quella della norma successiva è di natura oggettiva mentre l'articolo 216 richiede che i libri siano tenuti in guisa da non rendere possibile la ricostruzione del patrimonio o del movimento degli affari, per l'articolo 217 è sufficiente che l'imprenditore fallito non abbia tenuto i libri e le altre scritture contabili prescritti dalla legge o li abbia tenuti in maniera irregolare o incompleta v. Cass. Sez. V 20 febbraio 2001 n. 6901 e Sez. V 6 ottobre 2011 n. 48523 . Nella specie, la Corte territoriale ha, da un lato, evidenziato l'elemento oggettivo nascente dall'impossibilità di ricostruire le vicende societarie a cagione della mancanza delle scritture contabili e, d'altra parte, la coscienza e volontà della contestata irregolarità, non dovuta a mera disattenzione o negligenza. 4. Dal rigetto del ricorso deriva la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.T.M. La Corte, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.