E' reato picchiare l'avversario nel corso di una partita di pallacanestro

Non assume alcuna rilevanza il fatto che il pugno sia stato sferrato a gioco fermo la violenza, in questo caso, realizza finalità estranee alla competizione.

E' reato picchiare l'avversario nel corso di una partita di pallacanestro. Non assume alcuna rilevanza il fatto che il pugno sia stato sferrato a gioco fermo il gesto violento è qualificabile come lesione personale. Si è così espressa la Quinta sezione Penale della Corte di Cassazione con la sentenza numero 10138 dello scorso 14 marzo.La fattispecie. Durante un incontro di pallacanestro, un giocatore colpiva un componente della squadra avversaria con un pugno sferratogli volontariamente al viso, causandogli la frattura delle ossa nasali. Il Tribunale condannava il cestista picchiatore al risarcimento dei danni, perché responsabile del delitto di lesione volontaria. L'incontro di basket si trasforma in un match di boxe. Ma il giocatore non accetta una simile sconfitta e contro tale decisione ricorre per cassazione a sua discolpa, sostiene di aver sferrato il pugno non a gioco a fermo, ma quando il gioco era ancora attivo conseguentemente ritiene di non poter essere punito per violenza sportiva. Gioco fermo o gioco attivo? Il pugno non è un gesto sportivo. Di diverso avviso la S.C. l'avere colpito con un pugno l'avversario non già per un eccesso agonistico nel contendergli il possesso della palla, ma per finalità estranee alla competizione, comporta il superamento del limite del rischio consentito e si rende penalmente perseguibile, e ciò indipendentemente dal fatto che il gesto violento sia stato compiuto mentre il gioco era fermo a tutti gli effetti, oppure da considerarsi attivo secondo le regole della pallacanestro, ma comunque in un momento anteriore alla rimessa in gioco della palla dopo il fischio dell'arbitro.Non si tratta di illecito sportivo c'è la volontà di ledere l'antagonista. Infatti, è da escludere l'applicabilità della causa di giustificazione non codificata dell'esercizio di attività sportiva, ogni volta che sia ravvisabile nell'agente la consapevole e dolosa intenzione di ledere l'incolumità dell'avversario, approfittando della circostanza del gioco.Al giudice civile spetta quantificare il danno. Infine, relativamente ai criteri di quantificazione del danno, i giudici di legittimità osservano che il Tribunale si è limitato ad emettere una condanna generica, rimettendo al giudice civile ogni questione attinente alla relativa liquidazione basta a giustificare la condanna generica l'avvenuto accertamento della potenziale capacità lesiva del fatto dannoso e del nesso di causalità tra tale fatto e il pregiudizio lamentato, mentre non è necessaria alcuna indagine sulla concreta esistenza di un danno risarcibile.