Rete viaria romana ‘conosciuta’: buche prevedibili, e facilmente evitabili. Niente risarcimento per la caduta in moto

Azzerato completamente l’onere economico, pari a 15mila euro, ricaduto inizialmente sulle spalle del Comune di Roma e della società che si occupa della manutenzione delle strade. L’incidente subito dal conducente di un ciclomotore, e causato da una buca, non è addebitabile alla pubblica amministrazione. Ciò perché la buca era prevedibile, e quindi facilmente evitabile con un minimo di accortezza.

‘Colabrodo’ o ‘groviera’ due definizioni – ma l’elenco potrebbe essere molto più lungo – che sintetizzano perfettamente le condizioni della rete stradale della Capitale. Ne sono testimoni oculari automobilisti e motociclisti, ne sono ‘narratori’ i principali quotidiani di Roma. Situazione assolutamente cristallina, quindi. Proprio per questo, bisogna essere ancora più prudenti alla guida. Anche perché, altrimenti, le lesioni fisiche – e anche morali – frutto di una caduta provocata da una buca stradale non possono essere addebitate alla responsabilità del Comune di Roma. Cassazione, sentenza numero 23919, Terza sezione Civile, depositata oggi Manto traditore. Capitombolo da dimenticare per un uomo fatale, mentre egli è «alla guida del proprio ciclomotore», è una «buca presente nel manto stradale» lungo strada della città di Roma, buca «non visibile», spiega l’uomo, «a causa di un foglio di giornale che la ricopriva». Nessun dubbio sulle lesioni riportate dall’uomo – che è «caduto» e si è «ferito» –, e nessun dubbio, almeno per i giudici del Tribunale, sulla «corresponsabilità» del Comune e della società che ha in carico il «servizio di manutenzione delle strade». Così, Comune e società, per l’appunto, debbono «risarcire i danni subiti» dall’uomo, con un versamento di 15mila euro. Tutto ciò perché «la buca» è stata ritenuta «imprevedibile». Ma questa ottica viene completamente sovvertita dai giudici di Appello, i quali, invece, affermano che «la buca» fatale «era ampiamente prevedibile». Conseguenze? Facilmente immaginabili respinta, in toto, la domanda di risarcimento avanzata dall’uomo. Prudenza. E la prospettiva delineata in secondo grado viene condivisa anche dai giudici della Cassazione, i quali considerano non fondata l’opposizione proposta dall’uomo, e finalizzata a vedere sancita la responsabilità del Comune di Roma per il brutto incidente di cui è rimasto vittima. Elemento decisivo, come evidenziato già in Corte d’Appello, è la certezza che «il ragazzo, che guidava il motorino, fosse ben a conoscenza dell’esistenza di buche nella strada da lui percorsa», quindi egli «avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitarle», sottolineano i giudici. Ciò comporta che «il conducente del motorino, a conoscenza dell’esistenza di buche», e quindi capace di «evitarle», avrebbe dovuto dimostrare – cosa non avvenuta, in questa vicenda – la «non visibilità» e la «non prevedibilità» della buca ‘fatale’. Proprio per questo, ossia per la «concreta possibilità» per il motociclista «di percepire o prevedere, con l’ordinaria diligenza, la situazione di pericolo occulto», è da «escludere la responsabilità» del Comune. Difatti, chiariscono i giudici in conclusione, rigettando definitivamente la domanda di risarcimento presentata dall’uomo, «quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista» – come nel caso della rete stradale di Roma – «e superata attraverso l’adozione di normali cautele», tanto più rilevante «deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente», tenuto dalla persona danneggiata, «nel dinamismo causale del danno».

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 18 settembre – 22 ottobre 2013, numero 23919 Presidente Berruti – Relatore D’Amico Svolgimento del processo R.D.G. convenne in giudizio, dinanzi al Tribunale di Roma, il Comune della stessa città esponendo che, mentre era alla guida del proprio ciclomotore, era caduto e si era ferito a causa di una buca presente sul manto stradale, non visibile a causa di un foglio di giornale che la ricopriva. Il D.G. chiese pertanto che il Comune di Roma fosse condannato al risarcimento di tutti i danni da esso istante subiti a causa del sinistro. Il Comune si costituì chiedendo il rigetto della domanda attrice e provvide a chiamare in causa l’appaltatore del servizio di manutenzione delle strade al fine di ottenere la condanna di quest’ultimo a manlevarlo dall’eventuale obbligazione risarcitoria. Il Tribunale accolse la domanda spiegata da R.D.G. e, ritenuta la concorrente responsabilità del Comune di Roma e della S.C.C., li condannò in solido a risarcire i danni subiti dall’attore che liquidò in € 15.165,14 oltre interessi legali. Il Tribunale rigettò la domanda di manleva spiegata dal Comune di Roma contro la suddetta società, ma pronunciandosi in ordine ai rapporti interni fra tali parti, distribuì nella misura dal 50% per ciascuna la colpa del sinistro. Propose appello il Comune di Roma lamentando che erroneamente il Tribunale aveva ritenuto imprevedibile la buca a causa della quale il D.G. era caduto e che lo stesso aveva male interpretato il contratto di appalto stipulato tra esso Comune e la S.C.C. La Corte d’Appello, in riforma della impugnata sentenza, ha rigettato tutte le domande spiegate da R.D.G. che propone ricorso per cassazione. Resiste con controricorso il Comune di Roma. Motivi della decisione Con il ricorso R.D.G. denuncia «Violazione o falsa applicazione delle norme di diritto ex articolo 360 numero 3 c.p.comma con riguardo agli articolo 2051 c.comma 115 e 116 c.p.comma - Vizio di motivazione ex articolo 360 numero 5 c.p c - Motivazione apparente». Sostiene parte ricorrente che la motivazione dell’impugnata sentenza si presenta in contrasto con il principio della corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato di cui all’articolo 112 c.p.comma ed è comunque insufficiente, avendo omesso il Collegio di motivare correttamente sulla mancata applicazione dell’articolo 2051 c.c. Afferma ancora il D.G. che, nel costituirsi in appello, egli ha anzitutto chiesto di confermare la responsabilità del Comune di Roma, sia in forza dell’articolo 2043 c.comma che dell’articolo 2051 c.c. La Corte d’appello ha invece motivato l’impugnata decisione solo con riferimento all’articolo 2043 c.comma con conseguente error in procedendo per cui sussiste il potere di questa Corte di cassazione di esaminare direttamente gli atti di causa. Il D.G. critica ancora l’impugnata sentenza perché quest’ultima, al fine di escludere l’applicazione dell’articolo 2051 c.c., non poteva semplicemente fare ricorso a principi generali ma avrebbe dovuto accertare in concreto le condizioni di utilizzo del bene al fine di stabilire se fosse possibile o meno un controllo della P.A. su di esso. Secondo il ricorrente, stante la sua esplicita domanda in sede di appello, era obbligo del giudice, prima di procedere alla determinazione della responsabilità della P.A. in forza esclusivamente dell’articolo 2043 c.c., esaminare e motivare in ordine alla “possibilità di custodia/controllo del bene da parte del Comune e solo in caso di acclarata effettiva impossibilità di custodia da parte della stessa P.A. con riguardo alle condizioni di utilizzo/dimensioni della strada, escludere l’applicazione dell’articolo 2051 c.comma in favore dell’articolo 2043 c.c. In altri termini, prosegue parte ricorrente, il Collegio ha respinto la richiesta di risarcimento ai sensi dell’articolo 2043 c.c., senza alcun riferimento alle concrete condizioni del luogo in cui si è verificato il sinistro, al fine di determinare l’effettiva possibilità di controllo da parte della P.A. e pertanto l’applicabilità dell’articolo 2051 c.c. Prosegue parte ricorrente che il Collegio ha omesso di esaminare la domanda diretta all’applicazione dell’articolo 2051 c.comma e che il diniego dell’applicazione del suddetto articolo non è stato supportato da alcuna motivazione idonea ad indicare come, in relazione all’estensione e all’uso del luogo in cui si è verificato il sinistro de quo, fosse impossibile per la P.A. ogni controllo. Il motivo è infondato. E’ giurisprudenza consolidata di questa Corte che il giudizio sulla pericolosità delle cose inerti non può prescindere da un modello relazionale, per cui la cosa deve essere vista nel suo normale interagire col contesto dato talché una cosa inerte può definirsi pericolosa quando determini un alto rischio di pregiudizio nel contesto di normale interazione con la realtà circostante. Pertanto se il contatto con la cosa provochi un danno per l’abnorme comportamento del danneggiato, difetta il presupposto per l’operare della presunzione di responsabilità di cui all’articolo 2051 c.c., atteggiandosi in tal caso la cosa come mera occasione e non come causa del danno Cass., 4 novembre 2003, numero 16527, in motivazione . In particolare sostiene questa Corte che, in tema di danno da insidia stradale, la concreta possibilità per l’utente danneggiato di percepire o prevedere con l’ordinaria diligenza la situazione di pericolo occulto vale ad escludere la configurabilità dell’insidia e della conseguente responsabilità della P.A. per difetto di manutenzione della strada pubblica, dato che quanto più la situazione di pericolo è suscettibile di essere prevista e superata attraverso l’adozione di normali cautele da parte del danneggiato, tanto più incidente deve considerarsi l’efficienza del comportamento imprudente del medesimo nel dinamismo causale del danno, sino a rendere possibile che detto comportamento interrompa il nesso eziologico tra fatto ed evento dannoso Cass., 16 maggio 2013, numero 11946 . Facendo applicazione del suddetto criterio relazionale al caso in esame deve rilevarsi come il ragazzo che guidava il motorino fosse ben a conoscenza dell’esistenza di buche sulla strada da lui percorsa per cui avrebbe dovuto tenere un comportamento idoneo ad evitarle. La Corte d’appello ha comunque affrontato sia il problema dell’applicabilità dell’articolo 2051 c.comma alla custodia esercitata dagli enti pubblici territoriali sulle strade demaniali, sia quello relativo al valore da attribuire alla non visibilità e non prevedibilità dei dissesti del manto stradale. Sotto quest’ultimo profilo, con accertamento di merito non sindacabile in sede di legittimità in quanto congruamente motivato, la Corte d’Appello ha rilevato che la buca in corrispondenza della quale il D.G. è caduto era ampiamente prevedibile e che tanto risulta sia dalle dichiarazioni rilasciate da quest’ultimo ai Vigili Urbani, sia dal verbale degli stessi, sia da quanto dichiarato dal teste F. In conclusione nel caso in esame non opera la presunzione di responsabilità di cui all’articolo 2051 c.comma in quanto, essendo il conducente del motorino a conoscenza dell’esistenza di buche, ben avrebbe potuto evitarle. In seguito a tale conoscenza gravava su di lui la prova della non visibilità e non prevedibilità. Detto onere non è stato da lui adempiuto Cass., 26 aprile 2013, numero 10096 . Parte ricorrente formula altresì «Istanza di pronuncia delle Sezioni Unite ex articolo 374 c.p.c.». Sostiene al riguardo il D.G. che esiste un conflitto tra pronunce sulla questione relativa all’applicabilità alla P.A. dell’articolo 2051 c.comma e chiede pertanto che questa Suprema Corte si pronunci sulla seguente questione «Se l’applicabilità dell’articolo 2051 c.comma nei confronti della P.A. o del gestore non sia automaticamente esclusa allorquando sia stato accertato in concreto sia che il bene demaniale o patrimoniale da cui sia originato l’evento dannoso risulti adibito ad un uso generale, sia che lo stesso si presenti di notevole estensione e che tali caratteristiche ricorrano entrambe». Alla luce della più recente giurisprudenza di questa Corte il suddetto conflitto non sussiste in quanto si afferma ormai costantemente che l’ente proprietario di una strada aperta al pubblico transito si presume, ai sensi dell’articolo 2051 c.c., responsabile dei sinistri riconducibili alle situazioni di pericolo connesse in modo immanente alla struttura o alle pertinenze della strada stessa, indipendentemente dalla sua estensione, salvo che dia la prova che l’evento dannoso era imprevedibile e non tempestivamente evitabile o segnalabile Cass., 12 aprile 2013, numero 8935 Cass., 18 ottobre 2001, numero 21508 . Per tutte le ragioni che precedono il ricorso deve essere rigettato, con condanna di parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che si liquidano come in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente alle spese del giudizio di cassazione che liquida in € 1.700,00 di cui € 1.500,00 per compensi.