I fratelli del de cuius non riescono ad estromettere dalla famiglia la sgradita cognata

Gli eredi non possono annullare il matrimonio contratto dal de cuius in stato di assoluta incapacità di intendere e di volere se l’azione non è stata già esercitata dallo stesso prima della morte.

Lo stabilisce la Corte di Cassazione con sentenza numero 14794, depositata il 30 giugno 2014. Il caso. Due fratelli ricorrevano in Cassazione avverso la sentenza della Corte d’appello che, confermando la sentenza di primo grado, aveva rigettato la loro domanda di annullamento del matrimonio contratto, a loro insaputa, dal loro fratello defunto, in stato di assoluta incapacità di intendere e di volere, poiché affetto da gravi patologie. I ricorrenti deducevano vizio di motivazione e violazione di legge per aver i giudici di merito escluso la loro legittimazione ad agire, sul presupposto dell’inapplicabilità dell’articolo 428 c.c. atti compiuti da persona incapace di intendere o di volere . In subordine, eccepivano l’illegittimità costituzionale, per violazione dell’articolo 3 Cost., degli articolo 120 incapacità di intendere e di volere e 127 c.c. intrasmissibilità dell’azione , se interpretati nel senso di precludere agli eredi l’impugnazione del matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacità di intendere e volere. Intrasmissibilità dell’azione impugnatoria regola ed eccezione. L’articolo 127 c.c. dispone un’eccezione al principio generale espresso nella rubrica – intrasmissibilità degli atti -, in linea con la natura di atto personalissimo che è proprio del matrimonio e, contemporaneamente, stabilisce anche un preciso limite alla possibilità che soggetti terzi, anche se qualificati come gli eredi, siano ammessi ad impugnare il matrimonio contratto da uno dei coniugi che sia affetto da vizi della volontà e incapacità di intendere e volere. Tale possibilità, infatti, sussiste solamente nel caso in cui l’azione sia stata già esercitata dal coniuge il cui consenso o la cui capacità di intendere e volere risulti viziata in questo caso l’azione è trasmissibile agli eredi qualora il giudizio sia «già pendente alla morte dell’attore». Poiché il nostro ordinamento attribuisce importanza al matrimonio come atto personalissimo di volontà che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, viene ammessa la trasmissibilità dell’azione impugnatoria in capo agli eredi come eccezione alla regola del carattere personale della stessa. Il riconoscimento all’erede del diritto di proseguire l’azione impugnatoria già iniziata dal coniuge costituisce meramente uno strumento di realizzazione di un interesse del de cuius e, solo indirettamente, dello stesso erede all’eliminazione dell’altro coniuge dal novero dei legittimari. Vulnus normativo? I ricorrenti evidenziano come potrebbe venirsi a creare un vuoto normativo se si escludesse la legittimazione piena ed autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio del de cuius, in mancanza di un giudizio impugnatorio già introdotto dal coniuge in vita. Tuttavia, secondo la Corte di Cassazione non si tratta di un vuoto normativo, bensì di una precisa scelta del legislatore che trova giustificazione nel fatto che il coniuge incapace di intendere e di volere è legalmente capace e, quindi, titolare esclusivo del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio articolo 120 c.c. , a differenze del coniuge interdetto il cui matrimonio può essere impugnato «da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo» articolo 119 c.c. . Il bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al proprio matrimonio e l’interesse degli eredi a far valere l’incapacità del medesimo allo scopo di ottenere l’annullamento del matrimonio, è rimesso alla valutazione del legislatore, il quale ha ritenuto preminente l’esigenza di tutela della autodeterminazione e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. Il paventato vulnus, inoltre, può essere scongiurato alla luce di una interpretazione sistematica di tutti quegli indici normativi presenti nel nostro ordinamento che ridimensionano la portata assoluta del divieto di intervento nel compimento di atti personalissimi da parte di terzi es. articolo 411, ultimo comma, c.c. . Infine, la Corte di Cassazione supera il prospettato dubbio di legittimità costituzionale degli articolo 120 e 127 c.c. aderendo ad un’interpretazione evolutiva che offre alla persona coniugata o in procinto di contrarre matrimonio gli strumenti per esercitare, direttamente o indirettamente, il diritto fondamentale di autodeterminarsi nella scelta consapevole di impugnare il matrimonio e, in via preventiva, di contrarlo in condizioni di piena libertà e senza condizionamenti. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigetta il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 30 maggio – 30 giugno 2014, numero 14794 Presidente Luccioli – Relatore Lamorgese Svolgimento del processo La Corte di appello di Roma, con sentenza 30 novembre 2011, ha rigettato il gravame proposto da T.A. e T.C. avverso la sentenza del Tribunale di Roma che aveva rigettato la loro domanda di annullamento del matrimonio contratto, in data 18 giugno 2002, dal loro fratello T.S. , deceduto il omissis , con C.L. , che affermavano essere stato contratto, a loro insaputa, in stato di assoluta incapacità di intendere e volere del loro congiunto in quanto affetto da gravi patologie e con il contributo decisivo e in malafede della C. , che svolgeva l'attività di collaboratrice domestica in casa del defunto. La corte, condividendo la valutazione del primo giudice che aveva dichiarato il difetto di legittimazione ad agire degli attori, sul presupposto della inapplicabilità dell'articolo 428 c.c. in tema di annullamento degli atti negoziali compiuti da persona incapace d'intendere e volere, ha ritenuto applicabile la norma speciale di cui all'articolo 127 c.c. che prevede la intrasmissibilità dell'azione per l'impugnazione del matrimonio, salvo che il giudizio sia già pendente alla morte del coniuge-attore ma T.S. non aveva proposto alcuna azione per l'annullamento del proprio matrimonio, con la conseguenza che non si era realizzato il presupposto previsto dall'articolo 127 per poter riconoscere la legittimazione ad agire in capo agli eredi. Costoro ricorrono avverso questa sentenza sulla base di due motivi cui resiste la C. I. ricorrenti hanno prodotto una memoria. Motivi della decisione Preliminarmente, va dichiarata la inammissibilità della memoria dei ricorrenti ex articolo 378 c.p.c. perché tardivamente depositata il 26 maggio 2014, senza rispettare il termine di non oltre cinque giorni prima dell'udienza di discussione del 30 maggio 2014, giorno da cui il termine dev'essere computato ma senza includerlo nel computo, mentre è da considerare come dies ad quem il giorno terminale del computo a ritroso che deve essere computato in base al principio generale di cui agli articolo 155 c.p.c. e 2963 c.c. v. Cass. numero 17021/2003, numero 1926/1998 e poiché il quinto giorno era domenica 25 maggio , stanti le proroghe previste dall'articolo 155, commi 4 e 5, c.p.c., l'ultimo giorno utile per il deposito della memoria era il 23 maggio venerdì . I ricorrenti deducono vizi di motivazione nel primo motivo e violazione di legge nel secondo motivo per avere i giudici del merito escluso la loro legittimazione ad agire sul presupposto che non si fosse verificata alcuna trasmissione mortis causa dell'azione di annullamento del matrimonio del loro congiunto, senza considerare che costui non aveva potuto proporre in vita alcuna azione di annullamento perché in stato di incapacità di intendere e volere e impedito fisicamente ciò imporrebbe l'applicazione della norma generale di cui all'articolo 428 c.c. e il conseguente riconoscimento della loro legittimazione ad agire, essendo eredi ed interessati all'annullamento di un matrimonio che era pregiudizievole all'integrità del nucleo familiare e ai loro interessi patrimoniali. Eccepiscono, in subordine, l'illegittimità costituzionale degli articolo 120 e 127 c.c. se interpretati nel senso, asseritamente irragionevole e quindi in violazione del parametro dell'articolo 3 Cost., di precludere agli eredi l'impugnazione del matrimonio contratto dal loro congiunto in stato di incapacità di intendere e volere. Entrambi i motivi sono infondati. L'articolo 127 c.c. prevede una eccezione al principio generale che è espresso nella rubrica intrasmissibilità dell'azione in modo coerente con la natura di atto personalissimo che è propria del matrimonio e, allo stesso tempo, stabilisce anche un preciso limite alla possibilità che soggetti terzi, seppur qualificati come gli eredi, siano ammessi ad impugnare il matrimonio contratto da uno dei coniugi che sia affetto da vizi della volontà articolo 122 e 123 c.c. o da incapacità di intendere e volere articolo 120 c.c. . Tale possibilità sussiste, infatti, solo nel caso in cui l'azione sia stata già esercitata dal coniuge il cui consenso o la cui capacità di intendere e volere risulti viziata, nel qual caso l'azione è trasmissibile agli eredi qualora il giudizio sia già pendente alla morte dell'attore rimane comunque impregiudicata la legittimazione all'impugnazione da parte degli eredi nei casi - diversi da quello in esame - in cui la legge la riconosca a tutti coloro che abbiano un interesse legittimo e attuale, a norma degli articolo 117 e 119 c.c. . L'ordinamento attribuisce importanza al matrimonio come atto di volontà che presuppone la piena consapevolezza del suo significato, la quale viene a mancare in tutti i casi in cui la sfera volitiva e cognitiva del coniuge sia pregiudicata da cause di qualunque natura, temporanee o permanenti è utile ricordare che la Corte costituzionale, con sentenza numero 32/1971, dichiarò la incostituzionalità dell'articolo 16 della legge numero 847 del 1929, recante disposizioni per l'applicazione del Concordato fra la Santa Sede e l'Italia, nella parte in cui non prevedeva l'impugnazione della trascrizione del matrimonio nel caso in cui uno degli sposi fosse in stato di incapacità naturale al momento del matrimonio in forma concordataria . Ed è per questo che è ammessa la trasmissibilità dell'azione impugnatoria che può essere solo proseguita dagli eredi, ma si tratta di una eccezione al principio del carattere personale della stessa che fa escludere la possibilità di una interpretazione estensiva o analogica dell'articolo 127 c.c Se ne ha conferma nell'orientamento di questa corte che ha escluso la legittimazione degli eredi del coniuge deceduto a proporre la domanda di delibazione della sentenza ecclesiastica dichiarativa della nullità del matrimonio religioso, ai sensi dell'articolo 8 dell'Accordo firmato in Roma il 18 febbraio 1984, che ha modificato il Concordato lateranense del 1929, trattandosi di un potere che spetta esclusivamente a coloro i quali, secondo l'ordinamento italiano, sono legittimati a promuovere l'azione di impugnazione del matrimonio prevista dal codice civile v. Cass. numero 22514/2004, numero 17595/2003 . I ricorrenti lamentano il vuoto normativo che verrebbe a crearsi se si escludesse la legittimazione piena e autonoma degli eredi ad impugnare direttamente il matrimonio del de cuius, in mancanza di un giudizio impugnatorio già introdotto dal coniuge in vita. Non si tratta tuttavia di un vuoto normativo, ma di una precisa scelta del legislatore che trova giustificazione nel fatto che il coniuge incapace di intendere e di volere è legalmente capace e, quindi, esclusivo titolare del potere di decidere se impugnare il proprio matrimonio articolo 120 c.c. , a differenza del coniuge interdetto il cui matrimonio può essere impugnato da tutti coloro che abbiano un interesse legittimo oltre che dal tutore e dal pubblico ministero articolo 119 c.c. . La previsione che esclude l'impugnabilità da parte dello stesso coniuge incapace quando vi sia stata coabitazione per un anno dopo che egli abbia recuperato la pienezza delle facoltà mentali articolo 120, comma 2, c.c. costituisce ulteriore segnale del carattere personale della scelta impugnatoria, in quanto integrata dalla presunzione legale di rinnovazione del consenso matrimoniale per effetto della coabitazione. Si deve quindi escludere l'importazione in ambito matrimoniale dell'articolo 428 c.c. che disciplina il regime di impugnazione degli atti negoziali compiuti da persona incapace di intendere e volere, trovando applicazione le norme speciali in tema di invalidità del matrimonio le quali, tra l'altro, non danno rilevanza allo stato soggettivo dell'altro coniuge, a differenza di quanto previsto per i contratti il cui annullamento presuppone la malafede dell'altro contraente, a norma dell'articolo 428 c.c. . Il bilanciamento tra il diritto personalissimo del soggetto di autodeterminarsi in ordine al proprio matrimonio, proponendo l'azione di impugnazione, e l'interesse degli eredi a far valere l'incapacità del medesimo allo scopo di ottenere l'annullamento del matrimonio, con indubbi riflessi nei loro confronti sia sul piano personale che su quello patrimoniale, è rimesso alla valutazione del legislatore, che in modo non irragionevole ha ritenuto preminente l'esigenza di tutela della autodeterminazione e, quindi, della dignità di colui che, non interdetto, ha contratto matrimonio. La proposta questione di legittimità costituzionale è quindi manifestamente infondata, stante la ragionevolezza della scelta legislativa che è sottesa agli articolo 120 e 127 c.c., ma sono necessarie alcune precisazioni. Il riconoscimento all'erede del diritto di proseguire l'azione impugnatoria già iniziata dal coniuge costituisce uno strumento di realizzazione di un interesse del de cuius e, solo indirettamente, dello stesso erede all'eliminazione dell'altro coniuge dal novero dei legittimari. Condivisibili esigenze di tutela del de cuius hanno indotto una dottrina ad invocare l'intervento del legislatore per rivedere la regola dell'articolo 127 c.c., al fine di consentire l'impugnativa degli eredi nei casi in cui il coniuge poi deceduto sia ancora in termini per promuovere l'impugnazione di un matrimonio che, altrimenti, resterebbe inattaccabile. In effetti, l'interesse del de cuius potrebbe rimanere pregiudicato qualora l'ordinamento non apprestasse alcun rimedio in presenza di uno stato di incapacità non legale persistente e qualora sopraggiunga la morte prima che il coniuge abbia recuperato la pienezza delle facoltà necessarie a comprendere il significato giuridico e sociale dell'impegno matrimoniale assunto e, quindi, ad autodeterminarsi consapevolmente. Si pensi ai casi in cui la sentenza d'interdizione non arrivi in tempo o il giudizio di interdizione non sia nemmeno introdotto, anche tenuto conto dell'evoluzione giuridica e sociale che ha limitato il ricorso all'interdizione anche in situazioni che potrebbero giustificarla in astratto a favore di uno strumento di assistenza meno afflittivo come l'amministrazione di sostegno, che sacrifica nella minor misura possibile la capacità di agire della persona bisognosa, nonché maggiormente idoneo a soddisfare le esigenze di chi si trovi nella impossibilità, anche parziale o temporanea, di provvedere ai propri interessi, in ragione dell'età avanzata o in condizioni di infermità o precarietà. Se in tali situazioni il matrimonio fosse inattaccabile, davvero potrebbe risultare vulnerato il diritto della persona di effettuare la scelta di contrarre matrimonio in modo libero e consapevole, la cui importanza è riconosciuta dalla Convenzione di New York del 13 dicembre 2006, ratificata dall'Italia con legge 3 marzo 2009 numero 18 sulla tutela delle persone con disabilità cui dev'essere assicurata la libertà di compiere le proprie scelte , nel rispetto delle proprie volontà e preferenze scevre da ogni conflitto di interesse e da ogni influenza indebita , e potrebbero rimanere inattuati i principi di dignità della persona articolo 2 Cost. e di pienezza della tutela giurisdizionale articolo 24 Cost. che dev'essere assicurata a tutti i cittadini articolo 3 Cost. . Un simile vulnus può essere, tuttavia, scongiurato o limitato, alla luce di una interpretazione sistematica ed evolutiva che ammetta la possibilità per l'amministratore di sostegno, qualora nominato ed esclusi i casi di conflitto di interessi , di coadiuvare o affiancare la persona bisognosa nella espressione della propria volontà, preservandola da eventuali pressioni o ricatti esterni, anche relativamente al compimento di atti personalissimi, come ritenuto da una giurisprudenza di merito avanzata che lo ha autorizzato, previo intervento del giudice tutelare, a proporre ricorso per separazione personale o per cessazione degli effetti civili del matrimonio del beneficiario. Numerosi sono, in effetti, gli indici normativi che possono essere valorizzati nel senso di un ridimensionamento della portata assoluta del divieto di intervento nel compimento di atti personalissimi da parte di terzi si pensi all'articolo 411, ult. comma, c.c. che consente al giudice tutelare, nel provvedimento di nomina dell'amministratore o in uno successivo, di stabilire che determinati effetti, limitazioni o decadenze previsti per l'interdetto o l'inabilitato si estendano al beneficiario dell'amministrazione di sostegno all'articolo 4, comma 5, della legge numero 898/1970 che, nell'interpretazione data da questa corte Cass. numero 9582/2000 , consente la nomina di un curatore speciale per proporre la domanda di divorzio all'articolo 13 della legge numero 194/1978 che ammette la richiesta di interruzione della gravidanza manifestata dal tutore della donna interdetta all'articolo 6 della Convenzione di Oviedo sui diritti dell'uomo e sulla biomedicina del 4 aprile 1997 che ammette il consenso del rappresentante ai trattamenti sanitari in caso di incapacità del paziente, ecc. Inoltre, questa corte ha avuto occasione di precisare che il carattere personalissimo del diritto alla salute dell'incapace comporta che il riferimento all'istituto della rappresentanza legale non trasferisce sul tutore, il quale è investito di una funzione di diritto privato, un potere incondizionato di disporre della salute della persona in stato di totale e permanente incoscienza [ .] la rappresentanza del tutore è sottoposta a un duplice ordine di vincoli egli deve, innanzitutto, agire nell'esclusivo interesse dell'incapace e, nella ricerca del best interest, deve decidere non al posto dell'incapace né per l'incapace, ma con l'incapace v. Cass. numero 21748/2007 . In conclusione, il prospettato dubbio di legittimità costituzionale degli articolo 120 e 127 c.c. può essere superato aderendo ad una interpretazione evolutiva e di sistema che offra alla persona coniugata o in procinto di contrarre matrimonio gli strumenti per esercitare, direttamente o indirettamente, il diritto fondamentale di autodeterminarsi nella scelta consapevole di impugnare il matrimonio e, in via preventiva, di contrario in condizioni di piena libertà e senza condizionamenti dovendosi rilevare che, nella specie, l'impugnato matrimonio è stato contratto da persona legalmente capace e non sottoposta ad amministrazione di sostegno . Il ricorso è quindi rigettato. Sussistono giusti motivi per compensare le spese del giudizio, in considerazione della novità delle questioni trattate. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso compensa le spese del giudizio. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi.