E' legittima l'ordinanza di sgombero dell'immobile utilizzato come abitazione quando le condizioni costruttive non ne consentono una adeguata areazione. E non è necessaria nemmeno la comunicazione formale di avvio del procedimento quando i proprietari hanno avuto, comunque, la possibilità di interloquire con il Comune.
Lo ha deciso il Consiglio di Stato, con la sentenza numero 2703, depositata il 27 maggio 2014. Il fatto. L’ordinanza, emessa sulla scorta di una relazione della competente U.S.L. ai sensi degli articolo 221 e 222 del T.U.LL.SS., si fondava sulla circostanza che i locali dell’unità interessata, ispezionati unitamente al personale della Polizia Municipale e dell’Ufficio Tecnico comunale, presentavano caratteristiche di inadeguata aerazione ed illuminazione, non idonee a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente. L’immobile, per giunta sovraffollato in quanto abitato da circa 10 persone, si trovava complessivamente in pessime condizioni igienico-sanitarie, rivelando anche «un odore nauseabondo causato dall’insufficiente aerazione», con conseguente pregiudizio per la salute degli occupanti. In primo grado, tuttavia, il Tar aveva accolto il ricorso avverso il provvedimento, in quanto sarebbe mancata la previa comunicazione di avvio del relativo procedimento ed aveva rilevato anche che i riscontrati vizi costruttivi dell’immobile aeroilluminazione insufficiente avrebbero potuto indurre un diniego del condono edilizio a suo tempo per esso richiesto, ma, essendosi ormai formato al riguardo il silenzio-assenso, non avrebbero potuto giustificare l’impugnato ordine di sgombero. Ciò in quanto la nuova destinazione d'uso era “magazzino”. Relativamente all'immobile interessato dal provvedimento il Collegio ha negato che si fosse formato il silenzio assenso in relazione alla tempistica e alla relativa disciplina di riferimento ed ha, quindi, accolto il ricorso del Comune in relazione al fatto che l’Amministrazione si era limitata a vietarne senz’altro l’uso abitativo «salvo il ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza e di sicurezza prescritte e previo rilascio delle eventuali autorizzazioni comunali» , senza fare alcun cenno, nel proprio provvedimento, alla sanatoria formalmente allora ancora pendente, e senza preventivamente annullare la licenza d’uso in tesi scaturita dal preteso condono edilizio in realtà mai in alcun modo assentito . Per quanto riguarda la comunicazione di avvio del procedimento, secondo il Collegio, pur non integrando gli estremi di un’ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’articolo 50 del d.lgs. numero 267/2000, costituiva comunque un atto di natura urgente, stante la rilevanza del valore salute umana con esso tutelato, ed attesa anche la condizione di abusività emersa. L’ordinanza interdiceva, infatti, l’uso abitativo di un immobile che non solo non era mai stato riconosciuto abitabile, e tuttavia proprio ad uso abitativo era stato adibito ma era risultato, in concreto, inidoneo a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente in punto di aerazione ed illuminazione, oltre che in pessime condizioni igienico-sanitarie. Come tale, l’atto risultava a rigore sottratto, ai sensi dell’articolo 7 della legge numero 241/1990, alla necessità di un previo contraddittorio procedimentale che l’articolo esclude in presenza di «ragioni di impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento» . Partecipazione informale. Peraltro, il Comune ha dimostrato che i proprietari dell'immobile, assenti in sede di sopralluogo, erano stati, nelle more, convocati presso gli uffici della Polizia Municipale e resi edotti in merito agli accertamenti compiuti e ai provvedimenti che sarebbero stati adottati per l’immobile, con il risultato di essere posti comunque in grado, pur in difetto di una formale comunicazione di avvio del procedimento, di esprimere le proprie osservazioni. Ed è pacifico, in giurisprudenza, che l'omissione della formalità appena detta non infici la validità dell’azione amministrativa tutte le volte in cui una conoscenza dell’avvio del procedimento sia comunque intervenuta, sì da ritenere raggiunto in concreto lo scopo cui la comunicazione tendeva C.d.S., IV, numero 3458/2013 numero 4925/2012 . Peraltro, afferma anche la sentenza, il provvedimento impugnato integrava un vero e proprio atto dovuto. Di conseguenza, ad escludere che la mancanza indicata potesse essere ritenuta viziante rileva anche il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha ispirato il disposto dell’articolo 21 octies, comma 2, della legge numero 241/1990, per i casi in cui il contenuto del provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato cfr. ad es. C.d.S., IV, numero 3083/2012 VI, numero 3416/2011 numero 1588/2008 .
Consiglio di Stato, sez. V, sentenza 29 aprile – 27 maggio 2014, numero 2703 Presidente Maruotti – Relatore Gaviano Fatto e diritto I sigg.ri Enzo Butera e Michele Piccolo hanno proposto il ricorso numero 597 del 2002 al T.A.R. per il Piemonte avverso l’ordinanza del Sindaco di Venaria Reale numero 25 del 12 febbraio 2002, con la quale era stato imposto il divieto di uso e d’abitazione dell’unità immobiliare di proprietà del primo, e gestita dal secondo, ubicata nello stesso Comune al piano seminterrato dello stabile di via Sciesa 18. L’ordinanza, emessa sulla scorta di una relazione della competente U.S.L. ai sensi degli articolo 221 e 222 del T.U.LL.SS., si fondava sulla circostanza che i locali dell’unità interessata, ispezionati unitamente al personale della Polizia Municipale e dell’Ufficio Tecnico comunale, presentavano caratteristiche di inadeguata aerazione ed illuminazione, non idonee a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente. L’immobile, per giunta sovraffollato in quanto abitato da circa 10 persone, si trovava complessivamente in pessime condizioni igienico-sanitarie, rivelando anche “un odore nauseabondo causato dall’insufficiente aerazione”, con conseguente pregiudizio per la salute degli occupanti. Il Comune intimato non si costituiva in giudizio. Il Tribunale adìto - con la sentenza numero 1118 del 29 maggio 2002 in epigrafe, emessa in forma semplificata - accoglieva il ricorso. Il Tar ha ritenuto che sarebbe mancata la previa comunicazione di avvio del relativo procedimento ed ha rilevato che i riscontrati vizi costruttivi dell’immobile aeroilluminazione insufficiente avrebbero potuto indurre un diniego del condono edilizio a suo tempo per esso richiesto, ma, essendosi ormai formato al riguardo il silenzio-assenso, non avrebbero potuto giustificare l’impugnato ordine di sgombero. La sentenza formava oggetto d’appello da parte del Comune soccombente, che in sintesi deduceva che - nella specie la comunicazione di avvio del procedimento non era dovuta, e, ad ogni modo, la possibilità di un contraddittorio era stata comunque assicurata - sulla domanda di sanatoria edilizia relativa all’immobile non si è formato il silenzio-assenso, poiché essa è stata presentata tardivamente, come rilevato dall’Amministrazione con il provvedimento del 3 aprile 2002, che ha respinto l’istanza di condono ed è rimasto inoppugnato. Nel secondo grado gli appellati non si costituivano in giudizio. Infine, l’Amministrazione con la sua conclusiva memoria rappresentava che nelle more del giudizio l’unità immobiliare era stata acquistata, nell’ambito di una procedura esecutiva, dal sig. Claudio Marchetto, quale locale da adibire a deposito. Alla pubblica udienza del 29 aprile 2014 la causa è stata trattenuta in decisione. 1 La Sezione ritiene preliminarmente utile un accenno alle sopravvenienze che hanno interessato l’immobile in rilievo, al fine di circoscrivere nel tempo la rilevanza della presente controversia. Dalla produzione del Comune appellante, e segnatamente dalla lettura del decreto di trasferimento del Tribunale di Torino del 15 maggio 2009 emesso nell’ambito di una procedura di esecuzione immobiliare svolta a carico del sig. Butera, si desume che l’unità in questione è stata ormai acquistata dal sig. Claudio Marchetto quale “locale ad uso magazzino”, come bene strumentale per la sua impresa individuale. Lo stesso decreto di trasferimento avverte che l’immobile, in forza del regolamento di condominio, “può avere esclusiva destinazione a magazzino-laboratorio, e devono pertanto intendersi non ammissibili usi diversi”. Tanto premesso, l’appello comunale è fondato. 2 Occorre invero porre subito in risalto l’erroneità del presupposto, a base della sentenza di prime cure, che sulla domanda di condono edilizio presentata a suo tempo per il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile dalla sua precedente proprietaria la Gerace s.r.l. si fosse formato il silenzio-assenso ai sensi dell’articolo 35 della legge numero 47 del 1985. 2a L’Amministrazione, con provvedimento del 3 aprile 2002 comunicato all’odierna parte appellata ma rimasto inoppugnato, ha difatti respinto tale domanda di sanatoria in ragione della tardività della sua presentazione, in applicazione del comma 6 dell’articolo 40 della legge numero 47/1985 “Nella ipotesi in cui l'immobile rientri nelle previsioni di sanabilità di cui al capo IV della presente legge e sia oggetto di trasferimento derivante da procedure esecutive, la domanda di sanatoria può essere presentata entro centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile purchè le ragioni di credito per cui si interviene o procede siano di data anteriore all'entrata in vigore della presente legge” . Il precedente proprietario aveva acquistato l’immobile come locale ad uso magazzino, in sede di espropriazione immobiliare, in data 2 settembre 1989, ma aveva presentato la propria domanda di sanatoria per il mutamento di destinazione d’uso in questione solo il 9 maggio 1990, e perciò oltre il termine di centoventi giorni dall'atto di trasferimento dell'immobile. 2b La tardività della domanda di sanatoria comportava l’insussistenza dei presupposti per la formazione su di essa del silenzio-assenso ex articolo 35 della legge numero 47/1985. Il pertinente comma 18 dell’articolo, infatti, si apre con un’indicazione che tiene “Fermo il disposto del comma 1 dell’articolo 40”, e questo a sua volta evidenzia, in apertura, la necessità che la presentazione della domanda di sanatoria avvenga entro il termine perentorio per essa previsto. Né può dubitarsi della natura perentoria del termine dettato per la presentazione della domanda di condono dall’articolo 40 comma 6, alla stessa stregua di quanto espressamente dispone il primo comma dell’articolo 35 della legge. D’altra parte, gli effetti del diniego emesso in data 3 aprile 2002 non possono essere posti in contestazione nel presente giudizio ed evidenziano che – per la verifica della legittimità dell’atto impugnato in primo grado - non può comunque considerarsi sussistente il condono del manufatto. 2c In difetto di sanatoria edilizia, viene di riflesso meno la possibilità, per gli attuali appellati, di invocare la norma dell’articolo 35, comma 14, legge numero 47/1985 sull’abitabilità ex lege discendente dall’ottenimento del condono “A seguito della concessione o autorizzazione in sanatoria viene altresì rilasciato il certificato di abitabilità o agibilità anche in deroga ai requisiti fissati da norme regolamentari, qualora le opere sanate non contrastino con le disposizioni vigenti in materia di sicurezza statica, attestata dal certificato di idoneità di cui alla lettera b del terzo comma e di prevenzione degli incendi e degli infortuni” , abitabilità che il Giudice di prime cure aveva invece posto a base della propria pronuncia. 2d L’immobile, pertanto, non aveva mai conseguito sotto alcuna forma l’abitabilità. Risulta pertanto legittimo il provvedimento impugnato in primo grado, per il fatto che l’Amministrazione si è limitata a vietarne senz’altro l’uso abitativo “salvo il ripristino delle condizioni igienico-sanitarie e di sicurezza e di sicurezza prescritte e previo rilascio delle eventuali autorizzazioni comunali” , senza fare alcun cenno, nel proprio provvedimento, alla sanatoria formalmente allora ancora pendente, e senza preventivamente annullare la licenza d’uso in tesi scaturita dal preteso condono edilizio in realtà, come si è visto, mai in alcun modo assentito . 3 Il Comune appellante ha contestato fondatamente anche l’esistenza dell’ulteriore vizio ascrittogli, costituito dall’omessa comunicazione di avvio del procedimento sfociato nell’ordinanza impugnata. 3a Il provvedimento in discussione, pur non integrando gli estremi di un’ordinanza contingibile ed urgente ai sensi dell’articolo 50 del d.lgs. numero 267/2000, costituiva comunque un atto di natura urgente, stante la rilevanza del valore salute umana con esso tutelato, ed attesa anche la condizione di abusività emersa. L’ordinanza interdiceva, infatti, l’uso abitativo di un immobile che non solo non era mai stato riconosciuto abitabile, e tuttavia proprio ad uso abitativo era stato adibito ma era risultato, in concreto, inidoneo a soddisfare i requisiti minimi stabiliti dalla normativa vigente in punto di aerazione ed illuminazione, oltre che in pessime condizioni igienico-sanitarie. Come tale, l’atto risultava a rigore sottratto, ai sensi dell’articolo 7 della legge numero 241/1990, alla necessità di un previo contraddittorio procedimentale che l’articolo esclude in presenza di “ragionidi impedimento derivanti da particolari esigenze di celerità del procedimento” . 3b Occorre poi aggiungere, in punto di fatto, che i sigg.ri Butera e Piccolo, non figurando presenti in occasione del sopralluogo, risultano essere stati, nelle more, convocati presso gli uffici della Polizia Municipale in data 23 gennaio 2003 -come già il relativo verbale preannunziava - e sono stati resi edotti in merito agli accertamenti compiuti e ai provvedimenti che sarebbero stati adottati per l’immobile, con il risultato di essere posti comunque in grado, pur in difetto di una formale comunicazione di avvio del procedimento, di esprimere le proprie osservazioni. Ed è pacifico, in giurisprudenza, che l'omissione della formalità appena detta non infici la validità dell’azione amministrativa tutte le volte in cui una conoscenza dell’avvio del procedimento sia comunque intervenuta, sì da ritenere raggiunto in concreto lo scopo cui la comunicazione tendeva cfr. a puro titolo esemplificativo C.d.S., IV, 25 giugno 2013, numero 3458 17 settembre 2012, numero 4925 . 3c Osserva peraltro la Sezione, infine, che nel quadro delineato nel precedente paragrafo 3a il provvedimento impugnato integrava un vero e proprio atto dovuto. Di conseguenza, ad escludere che la mancanza indicata possa essere ritenuta viziante rileva anche il consolidato orientamento giurisprudenziale che ha ispirato il disposto dell’articolo 21 octies, comma 2, della legge numero 241/1990, per i casi in cui il contenuto del provvedimento finale non sarebbe potuto essere diverso da quello in concreto adottato cfr. ad es. C.d.S., IV, 25 maggio 2012, numero 3083 VI, 7 giugno 2011, numero 3416 14 aprile 2008, numero 1588 . Pertanto anche questa censura dell’originaria ricorrente va respinta. 4 In conclusione, l’appello del Comune di Venaria Reale risulta fondato e va accolto, sicché, in riforma della sentenza appellata, il ricorso di primo grado numero 597 del 2002 deve essere senz’altro respinto non potendo lo scrutinio della Sezione estendersi al motivo d’incompetenza assorbito dal T.A.R. in mancanza di una sua rituale riproposizione . Le spese dei due gradi del giudizio sono liquidate secondo la soccombenza dal seguente dispositivo. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale Sezione Quinta , definitivamente pronunciando sull'appello in epigrafe numero 6854 del 2003, lo accoglie, e per l’effetto, in riforma della sentenza appellata, respinge il ricorso di primo grado numero 597 del 2002. Condanna i ricorrenti in primo grado, in solido tra loro, al rimborso al Comune di Venaria Reale delle spese processuali del presente appello, che liquida nella misura di euro quattromila, oltre gli accessori di legge. Ordina che la presente sentenza sia eseguita dall'autorità amministrativa.