La configurabilità del delitto di sequestro di persona prescinde dalla durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve.
Lo stabilisce la Corte di Cassazione nella sentenza numero 21314, depositata il 26 maggio 2014. Il caso. Il tribunale di Reggio Calabria, in sede di riesame, disponeva la misura degli arresti domiciliari nei confronti di un uomo, accusato di lesioni aggravate e di sequestro di persona ai danni della convivente. L’imputato ricorreva in Cassazione, contestando l’idoneità della sua condotta a limitare la libertà della donna, che, dopo essere stata legata con una fascetta alla gamba, si era poi liberata agevolmente. Idoneità della condotta. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ricordava che la configurabilità del delitto di sequestro di persona prescinde dalla durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche ad un tempo breve. Nel caso di specie, la donna, dopo essere stata colpita ripetutamente, era stata legata al letto e solo dopo mezz’ora era riuscita a liberarsi. Di conseguenza, il fatto che la vittima si fosse poi liberata non dimostrava affatto che l’azione fosse caratterizzata da un’originaria ed assoluta inidoneità a privare la donna della libertà personale. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 16 aprile – 26 maggio 2014, numero 21314 Presidente Dubolino – Relatore De Marzo Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 21/11/2013 il Tribunale di Reggio Calabria, decidendo sulla richiesta di riesame proposta nell'interesse di E.M., ha sostituito la misura della custodia cautelare in carcere con quella degli arresti domiciliari. A carico del M. il Tribunale ha ritenuto la sussistenza di gravi indizi di colpevolezza in ordine ai delitti di lesioni aggravate e di sequestro di persone in danno della compagna convivente L.B 2. Il M. ha proposto ricorso per cassazione, affidato ad un unico, articolato motivo, con il quale si lamentano vizi motivazionali e violazione degli articolo 273 cod. proc. penumero e 605 cod. penumero , in particolare criticando la conclusione del Tribunale in ordine alla idoneità della condotta posta in essere a limitare la libertà della donna, nonostante che gli stessi giudici avessero riconosciuto che la fascetta legata alla gamba della vittima era posta al contrario, in modo che quest'ultima si era riuscita a liberare agevolmente. Sotto altro profilo, si critica l'ordinanza per avere trascurato di esaminare quanto dal medesimo indagato riferito in sede di interrogatorio, ossia che la fascetta era stata posta in maniera tale che la vittima se ne liberasse, come del resto era stato confermato dalla stessa persona offesa. In senso contrario, non rileva l'elemento soggettivo, giacché la valutazione dei profili oggettivi deve necessariamente precedere quelli di natura psicologica. Considerato in diritto 1. Il ricorso è infondato. Premesso che la configurabilità del delitto di sequestro di persona prescinde dalla durata dello stato di privazione della libertà, che può essere limitato anche a un tempo breve Sez. 5, numero 19548 del 17/04/2013, M., Rv. 256746 , osserva la Corte che, secondo l'incontestata ricostruzione dei fatti operata dal giudice della cautela, la vittima, dopo essere stata colpita con calci e pugni, era stata legata ad un letto con una catena, assicurata, da un lato, con un lucchetto e, dall'altro lato, con una fascetta di plastica bianca. Solo dopo mezz'ora la donna, approfittando del atto che l'aggressore aveva fissato la fascetta al contrario, era riuscita a liberarsi. Ne discende che le argomentazioni sull'inidoneità dell'azione a determinare il fine della costrizione della libertà personale sono infondate, giacché, secondo quanto rappresentato nello stesso ricorso, il fatto che la vittima sia alfine riuscita a liberarsi non dimostra affatto, anche a tacer delle condizioni in cui la donna si trovava per effetto delle violenza sofferte in precedenza, che l'azione posta in essere dall'indagato fosse caratterizzata da un'originaria e assoluta inidoneità della stessa a rendere impossibile o estremamente difficile il risultato della privazione della libertà personale. La tesi difensiva che vorrebbe corroborare tale assunto, alla luce della direzione soggettiva della volontà soggettivo dell'indagato, è poi assolutamente smentita dalle risultanze processuali. Del resto, una volontà diversa da quella di privare la donna della libertà non è razionalmente spiegata dal ricorrente, che non illustra le diverse ragioni della condotta. Egli, pur non negando le violenze, ha giustificato la condotta come uno scherzo - del tutto incomprensibile, vista il comportamento precedente - o come finalizzata ad evitare che la donna facesse danni - ciò che invece ha un senso, solo se la limitazione della libertà era perseguita come un effettivo obiettivo. 2. Alla pronuncia di rigetto consegue, ex articolo 616 cod. proc. penumero , la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.