I trattamenti previdenziali integrativi non sono retribuzione in senso stretto

La natura retributiva «in senso ampio» dei trattamenti previdenziali integrativi erogati dal datore di lavoro consente l’apposizione di limiti alla loro erogazione da parte dell’autonomia collettiva, poiché la previsione dell’articolo 36 Cost. riguarda soltanto la retribuzione «in senso stretto».

E’ quanto ribadito dalla Corte di Cassazione, nella sentenza numero 13399 del 29 maggio 2013. Il caso . Il Tribunale di Palermo accoglieva l’opposizione che una nota società del settore energia promuoveva contro il decreto ingiuntivo ricevuto dal coniuge superstite di un suo ex dipendente, relativo al pagamento di consistenti somme a titolo di detrazione della «quota di reversibilità in favore dell’ex coniuge», operata in sede di capitalizzazione della pensione integrativa istituita con accordo sindacale del 16 aprile 1986. Il Tribunale riteneva che l’intimante potesse essere considerato «reversionario» solo se convivente con l’ex dipendente al momento della risoluzione del rapporto, circostanza che, nel caso di specie, documentalmente non ricorreva. Infondata era poi l’eccezione di tardività dell’opposizione formulata dallo stesso intimante, mossa sul presupposto del mancato deposito del ricorso entro i 40 giorni successivi alla notifica del decreto ingiuntivo effettuata presso una sede secondaria della società nel Comune di Palermo . A questo proposito, il Tribunale riteneva che tale notifica fosse giuridicamente inesistente, poiché effettuata presso una sede cessata da lunghi anni. Conseguentemente, il dies a quo per l’opposizione decorreva dalla notifica del decreto ingiuntivo presso la sede legale della società, rispetto alla quale l’opposizione risultava tempestiva. Questa pronuncia, sia per gli aspetti di merito che per quelli processuali, veniva integralmente confermata dalla Corte di Appello. La notifica fatta in una sede sbagliata è inesistente . Contro la pronuncia di Appello l’intimante ricorreva alla Corte di Cassazione lamentando, con un primo motivo, che i Giudici di merito non avessero debitamente considerato la riorganizzazione che aveva coinvolto la società. In tale contesto, la sede palermitana doveva ritenersi ancora sede secondaria della convenuta ed il soggetto che aveva ricevuto la notifica - attesa la procura a lui rilasciata - suo institore, con conseguente abilitazione a ricevere gli atti giudiziari e perfezionamento della notifica . Motivo che tuttavia non viene condiviso dalla Cassazione, la quale ritiene corretto il ragionamento con cui la Corte di Appello considerava cessata tale unità locale ben prima della notifica del decreto ingiuntivo, con successivo subingresso della compagine sociale di diversa società ancorché dalla prima controllata . Ê irrilevante che in tale sede vi fosse un’altra società appartenente al medesimo gruppo . Risultava quindi irrilevante che la società fosse rimasta proprietaria dell’immobile di Palermo, così come irrilevante risultava la circostanza che la società controllata si fosse accollata gli oneri relativi al trattamento di previdenza integrativa dei dipendenti in quiescenza, trattandosi di accordo con efficacia limitata ai soli rapporti interni tra le due società. L’articolo 36 Cost. non si applica ai trattamenti previdenziali integrativi. Con un ulteriore motivo, il ricorrente lamentava l’errore della sentenza impugnata nella parte in cui non aveva considerato applicabile alla fattispecie l’articolo 13 della Legge numero 74/1987 in tema di diritto alla pensione di riversibilità a carico degli enti pubblici previdenziali . Anche questo motivo non viene condiviso dalla Corte la quale, richiamando un suo autorevole precedente a sezioni unite Cass. SS.UU. numero 974/1997 , afferma che «i trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura di retribuzione differita ma, in relazione alla loro funzione previdenziale, sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa». Da tale principio discende che questi trattamenti risultano esclusi dalla nozione di retribuzione proporzionata e sufficiente recata dall’articolo 36 Cost. – che «presiede soltanto alle erogazioni corrispettive in senso stretto» - e quindi, a differenza della retribuzione «in senso stretto», ben possono essere sospesi o anche cancellati, fatti salvi i diritti c.d. quesiti al verificarsi delle condizioni previste dalla contrattazione collettiva.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 21 febbraio - 29 maggio 2013, numero 13399 Presidente Miani Canevari – Relatore Berrino Svolgimento del processo A seguito di opposizione a decreto ingiuntivo proposta dall'Enel spa nei confronti dell'ex dipendente A.S.A. , dal quale aveva ricevuto l'intimazione di pagare l'importo di Euro 144.091,99, corrispondente alla detrazione della quota di reversibilità in favore dell'ex coniuge I.G.R. operata in sede di capitalizzazione della pensione integrativa istituita dall'accordo sindacale del 16/4/1986, il giudice del lavoro del Tribunale di Palermo revocò il decreto opposto dopo aver accertato l'infondatezza della pretesa monitoria. Tale sentenza è stata confermata dalla Corte d'appello di Palermo, investita dall'impugnazione di A.S.A. , con sentenza del 12/2 - 20/3/2009. La Corte ha spiegato che era infondata la censura con la quale il predetto A. aveva dedotto l'inammissibilità dell'opposizione per sua tardiva proposizione oltre il termine di 40 giorni di cui all'articolo 641, comma 1, c.p.c. dalla notifica avvenuta il 29/10/2002 presso la sede palermitana dell'Enel invero, secondo la Corte tale notifica era da considerare inesistente, essendo stata eseguita presso una sede locale della società cessata sin dall'1/10/1999, epoca in cui era subentrata nella titolarità l'Enel Distribuzione spa inoltre, la predetta notifica era avvenuta nelle mani di un soggetto dipendente di Enel Distribuzione spa sfornito dei poteri institori, mentre la sede legale della ex datrice di lavoro era a Roma, ove correttamente era stato notificato in data 4/1/2002 il decreto ingiuntivo, per cui rispetto a quest'ultima notifica non era decorso il termine per l'opposizione. Quanto al merito della questione la Corte ha precisato che in base all'accordo sindacale del 26/7/2000, per effetto del quale la capitalizzazione della pensione integrativa aziendale doveva avvenire secondo i calcoli attuariali riferiti alla data del 31/10/2000, il coniuge dell'ex dipendente poteva essere considerato reversionario ai fini del calcolo della pensione integrativa solo se in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 4 del precedente accordo sindacale del 16/4/1986, tra i quali rientrava quello della convivenza a carico dell'ex dirigente, circostanza, questa, non sussistente nella fattispecie, dal momento che alla data di risoluzione del rapporto del 31/8/1993 l'appellante era già separato giudizialmente dalla moglie sin dal lontano 6/7/1982. Per la cassazione della sentenza propone ricorso A.S.A. , il quale affida l'impugnazione a sei motivi di censura. Resiste con controricorso l'Enel s.p.a Entrambe le parti depositano memoria ai sensi dell'articolo 378 c.p.c Motivi della decisione 1. Col primo motivo il ricorrente denunzia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 13 del d.lgs. numero 79/1999 e dell'articolo 46 cod. civ., in relazione all'articolo 360, comma 1, nnumero 1 e 3 c.p.c., dolendosi della decisione con la quale la Corte territoriale ha ritenuto inesistente la notifica del decreto ingiuntivo effettuata presso la sede palermitana della società Enel s.p.a., inesistenza che aveva consento al giudicante di considerare ammissibile l'opposizione svolta dalla società con riferimento alla notifica dell'intimazione successivamente eseguita presso la sede legale di Roma, e formula al riguardo il seguente quesito di diritto Dica la Corte se la notifica dell'atto ingiuntivo presso la sede di fatto OMISSIS è legittima ed efficace, in considerazione sia del disposto dell'articolo 13 del d.lgs numero 79/99 - il quale in attuazione della Direttiva CEE 96/92 ha riformulato l'assetto societario dell'Enel s.p.a. attribuendole funzione di società controllante rispetto ad Enel Distribuzione s.p.a., - sia del mandato conferito da Enel S.p.A. al procuratore sig. ing. V.S. , pieno, efficace e perenne, così che i poteri allo stesso assegnati possano definirsi institori quali individuati ed indicati dagli articolo 2203 e 2204 c.c. . 2. Col secondo motivo ci si duole della violazione e falsa applicazione degli articolo 145, comma 1, 115 e 641 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c., chiedendosi di accertare se la preposizione institoria dell'ing. V. era idonea a qualificare la sede della diversa società Enel Distribuzione spa come sede effettiva dell'Enel spa e se la consegna in tale sede della notifica a soggetto dichiaratosi addetto alla ricezione degli atti poteva ritenersi legittima, ai sensi dell'articolo 145 c.p.c. e dell'articolo 46, comma 2, cod. civ., ed efficace a far decorrere il termine di cui all'articolo 641 c.p.c. per la proposizione dell'opposizione a decreto ingiuntivo. 3. Attraverso il terzo motivo, col quale si lamenta, ai sensi dell'articolo 360 nnumero 3 e 5 c.p.c., la violazione e falsa applicazione dell'articolo 13, comma 3, del d.lgs. numero 79/1999, degli articolo 4, comma 2, e 4 dell'atto di conferimento dell'1/10/1999 e degli articolo 77, 81 e 145 c.p.c., si sostiene che la rappresentanza processuale in capo all'ing. V. rendeva regolare la notifica eseguita presso la sede di fatto della società Enel spa in Palermo ed abilitava il medesimo a proporre legittimamente l'opposizione a decreto ingiuntivo, sia per l'Enel s.p.a. che per L'Enel Distribuzione s.p.a., in forza dei poteri institori concessigli. I primi tre motivi possono esaminarsi congiuntamente in quanto attengono a questioni tra loro connesse. Ebbene, gli stessi sono infondati. Invero, com'è stato correttamente spiegato nella sentenza impugnata con motivazione congrua ed immune da vizi di carattere logico-giuridico, non scalfita dalle odierne censure, la notifica del decreto ingiuntivo oggetto di causa presso la sede secondaria della società Enel s.p.a. in Palermo non poteva ritenersi validamente eseguita per le seguenti ragioni - Anzitutto, tale unità locale dell'azienda era cessata in data 1/10/99 come da visura camerale del 26/4/2005 , con conseguente subingresso della diversa compagine societaria Enel Distribuzione spa inoltre, il soggetto destinatario dell'intimazione era l'Enel s.p.a., la cui sede legale era in XXXX, mentre la notifica era venuta a XXXXXXX a mani di soggetto non più dipendente dell'Enel s.p.a d'altra parte, era irrilevante che l'Enel s.p.a fosse proprietaria dell'immobile sito in XXXXXXX, essendo la sua sede legale in XXXX, ove era stata effettuata validamente la seconda notifica del decreto di cui trattasi egualmente, era ininfluente che la società Enel Produzione s.p.a. si fosse accollata gli oneri relativi al trattamento di previdenza integrativa dei dirigenti in quiescenza, trattandosi di accollo avente solo rilevanza interna tra le società, così come non poteva aver rilievo il fatto che l’ing. V. , quale direttore dell'Enel Produzione s.p.a., fosse stato insignito di poteri di rappresentanza, posto che il soggetto debitore destinatario dell'ingiunzione di pagamento era solo la compagine societaria Enel s.p.a. che aveva in concreto erogato ad A.S.A. le somme a titolo di riscatto della pensione integrativa aziendale in base all'accordo sindacale del 26 luglio 2000 intervenuto solo tra Enel s.p.a. e FNDAI, per la cui differenza il medesimo A. , che l'aveva pretesa sulla base della contestata detrazione, aveva agito in sede monitoria. Ne consegue che è corretta la decisione della Corte territoriale con la quale, ai fini della verifica della tempestività dell'opposizione al decreto ingiuntivo ad opera della società Enel s.p.a., è stata ritenuta utile solo la notifica di tale provvedimento avvenuta in data 4/11/2002 presso la sede legale di Roma della stessa società intimata. 4. Col quarto motivo il ricorrente si duole della violazione e falsa applicazione dell'articolo 650 c.p.c., in relazione all'articolo 13, comma 3, del d.lgs. numero 79/99, oltre che in relazione all'atto di conferimento dell'1/10/99 ed alle procure dell'8/6/20 rep. nnumero 11391, 11392/3818 e 3819, nonché della violazione e falsa applicazione degli articolo 645, 115, 153 e 145 c.p.c., in relazione all'articolo 360, comma 1, nnumero 3 e 5 c.p.c In concreto, il ricorrente sostiene che la mera irregolarità della notifica legittimamente eseguita presso la sede della società in Palermo non avrebbe impedito il decorso del termine per l'opposizione ex articolo 645 c.p.c., per cui non poteva non essersi verificata la tardività o l'improcedibilità della stessa in assenza dei presupposti di cui all'articolo 650 c.p.c. per l'ammissibilità della sua tardiva proposizione. Il medesimo aggiunge che era da considerare, semmai, inesistente la notifica eseguita a XXXX, in quanto consegnata a società diversa, non riconducibile a quelle previste dall'articolo 13 del d.lgs. numero 79/99, in una sede estranea a quella legale dell'Enel s.p.a., ad indirizzo diverso da quello indicato dal notificante e ad un soggetto non identificato e non abilitato a riceverla. Ne conseguiva, secondo tale prospettazione difensiva, l'improcedibilità dell'opposizione ed il formarsi del giudicato sul decreto ingiuntivo. Il motivo è infondato per la semplice ragione che l'accertamento da parte dei giudici di merito della inesistenza giuridica della prima notifica presso la sede palermitana che non era la sede legale della debitrice, come in precedenza illustrata, rende superflua l'attuale prospettazione della questione della decorrenza dei termini per la proposizione dell'opposizione in relazione a tale notifica quanto alla supposta inesistenza della seconda notifica presso la sede legale di Roma si osserva che è corretto il rilievo del giudice d'appello, come tale immune da vizi di natura logico-giuridica, in ordine alla considerazione che di ciò poteva aver ragione di dolersi solo la società destinataria della notifica che, invece, proponendo la relativa opposizione ha dimostrato di essere venuta a conoscenza dell'intimazione e di avere interesse a contrastarla. 5. Col quinto motivo, denunziandosi la violazione e falsa applicazione dell'articolo 4 dell'accordo del 16/4/1986 ex articolo 1418 c.c. e dell'articolo 13 della legge numero 74/87, si sostiene che alla data del 31/10/2000 non poteva ritenersi vigente l'articolo 4 dell'accordo del 1986 nella parte in cui escludeva il coniuge divorziato con diritto ad assegno dal suo autonomo diritto di reversionario, per cui si dissente dalla decisione della Corte territoriale di escludere dal calcolo dell'importo del riscatto questo diritto senza aver tenuto conto dell'innovazione introdotta con l'articolo 13 della legge 6/3/1987 numero 74, norma, questa, che i giudici di merito hanno, invece, ritenuto inapplicabile nella fattispecie, in quanto relativa a pensione di reversibilità a carico degli enti previdenziali pubblici. A conclusione della doglianza il ricorrente formula i seguenti quesiti di diritto Possono le parti, in materia di previdenza privata, assumere requisiti per l'individuazione dei soggetti titolari delle pensioni di reversibilità difformi da quelli previsti dalla disciplina pubblicistica, così incidendo su diritti indisponibili di natura previdenziale? Lo ius superveniens articolo 13 L. numero 74/87 incide su posizioni di diritto sostanziale e relative al trattamento pensionistico privato, così obbligando le parti a conformarsi all'innovato dettato normativo in materia pensionistica? . Osserva la Corte che la questione di fondo che tali quesiti introducono è rappresentata sostanzialmente dalla natura delle pensioni integrative erogate da fondi aziendali e previste dalla contrattazione collettiva, e, quindi, dai limiti che rispetto ad esse trova l'autonomia collettiva. Tale questione è stata in passato affrontata dalle sezioni unite di questa Corte, con sentenza numero 974 dell'1/2/1997, all'esito della quale è stato affermato il seguente principio I trattamenti pensionistici integrativi aziendali hanno natura giuridica di retribuzione differita, ma, in relazione alla loro funzione previdenziale che spiega la sottrazione alla contribuzione previdenziale dei relativi accantonamenti, disposta - in via di interpretazione autentica dall'articolo 12 della legge 30 aprile 1969 numero 153 - dall'articolo 9 bis del D.L. 29 marzo 1991 numero 103, aggiunto dalla legge di conversione 1 giugno 1991 numero 166 , sono ascrivibili alla categoria delle erogazioni solo in senso lato in relazione di corrispettività con la prestazione lavorativa. Ne discende la non operatività del criterio di inderogabile proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro, e, più in generale - con particolare riferimento alle pensioni aggiuntive rispetto al trattamento previdenziale obbligatorio -, della garanzia dell'articolo 36 Cost., in relazione all'articolo 2099 cod. civ. Ne consegue, in primo luogo, che l'autonomia privata non subisce, in linea generale, limiti alla determinazione del quantum dovuto e dei presupposti e requisiti di erogazione di dette pensioni, e, in secondo luogo, che non può ritenersi pertinente - con particolare riferimento alla sospensione del trattamento integrativo in caso di svolgimento di determinate attività lavorative - il vincolo di destinazione delle somme allo scopo pensionistico, posto dall'articolo 2117 cod. civ. . Per quel che qui interessa nella suddetta sentenza delle Sezioni unite di questa Corte si è precisato che è configurabile una distinzione tra la parte strettamente corrispettiva della retribuzione, che è intangibile, e l'altra parte su cui può invece incidere l'autonomia collettiva. Infatti, con le sentenze 3 marzo 1983 numero 1590 e 25 febbraio 1981 numero 1158 si era già affermata la legittimità della clausola del contratto aziendale che eliminava alcune indennità dalla base retributiva imponibile ai fini dei trattamenti pensionistici integrativi, con la precisazione che il computo degli emolumenti corrispettivi continuativi vale necessariamente per l'imponibile ai fini della previdenza obbligatoria, mentre per quella integrativa volontaria la base di computo è rimessa all'autonomia delle parti. E, ancora, con la sentenza 5 febbraio 1983 numero 989, si è ritenuta legittima la riduzione da parte dell'autonomia collettiva del trattamento di quiescenza erogato da un fondo integrativo, allorché si verifichino aumenti della pensione INPS. Nella citata sentenza numero 974/1997 si è, quindi, affermato che la natura retributiva in senso ampio dei trattamenti integrativi erogati dal datore di lavoro consente l'apposizione di limiti da parte dell'autonomia collettiva, nel senso che la previsione dell'articolo 36 Cost. presiede soltanto alle erogazioni corrispettive in senso stretto, sicché se si riconosce la funzione previdenziale dei trattamenti integrativi, pur aventi tale natura, e si ritiene che rispetto ad essi il parametro di sufficienza al fini di un'esistenza libera e dignitosa è rappresentato dai livelli di trattamento assicurati dal secondo comma dell'articolo 38 Cost., detti trattamenti ben possono essere sospesi al verificarsi delle relative condizioni poste dall'autonomia collettiva. La decisione della Corte d'appello di Palermo, oggetto della presente impugnazione, si è correttamente uniformata ai suddetti principi nel momento in cui, dopo aver richiamato il contenuto dell'accordo sindacale del 20 luglio 2000 sul fatto che la capitalizzazione della pensione integrativa doveva avvenire secondo i calcoli attuariali riferibili alla data del 31 ottobre 2000, ha ritenuto che il coniuge del ricorrente poteva essere considerato reversionario solo se in possesso dei requisiti previsti dall'articolo 4, comma quarto, dell'accordo sindacale del 16 aprile 1986. Infatti, la Corte ha richiamato tale norma collettiva ai sensi della quale la prestazione pensionistica integrativa era reversibile a favore del coniuge convivente e dei figli a carico alla data della risoluzione del rapporto di lavoro secondo i criteri e le proporzioni previste dal regolamento INPDAI, giungendo alla conclusione che all'epoca della risoluzione del rapporto il ricorrente era già separato giudizialmente da tempo dalla moglie, per cui non gli competeva la quota di reversibilità invocata in sede monitoria. Alla luce delle considerazioni fin qui svolte si deve, pertanto, ritenere infondato il quinto motivo del presente ricorso. 6. Con l'ultimo motivo il ricorrente deduce la violazione degli articolo 91 e 93 c.p.c. ritenendo che la soccombenza dell'Enel avrebbe dovuto indurre il giudicante a condannarla alle spese di lite. Tale motivo è palesemente infondato, avendo la Corte territoriale applicato correttamente il principio dell'accertata soccombenza del ricorrente, il cui appello era stato respinto, nel momento in cui ha deciso di porre a suo carico le spese del secondo grado di giudizio. Pertanto, il ricorso va rigettato. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza del ricorrente e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 3000,00 per compensi professionali e di Euro 50,00 per esborsi, oltre accessori di legge.