Introdurre un marchio «regionale» di qualità può indurre il consumatore a preferire prodotti contrassegnati da tale marchio rispetto ad altri similari, producendo, quantomeno indirettamente o in potenza, effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci.
Lo ha affermato la Corte Costituzionale con la sentenza numero 66/13, depositata il 12 aprile. Un marchio di qualità per i prodotti laziali. La questione sollevata dal Presidente del Consiglio dei Ministri ha per oggetto la legge della Regione Lazio numero 1/2012, recante disposizioni per il sostegno dei sistemi di qualità e tracciabilità dei prodotti agricoli e agroalimentari. Tali disposizioni, infatti, istituiscono un marchio regionale collettivo di qualità, per assicurare ai consumatori la qualità dei prodotti agricoli ed agroalimentari e incentivare la valorizzazione e la promozione della cultura enogastronomica tipica regionale. Il contrasto con il TFUE. La previsione, però, contrasterebbe con il diritto UE, e in particolare con gli articolo 34-36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea TFUE - che vietano agli Stati membri restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente - e, di conseguenza, con l’articolo 117, comma 1 Cost., che richiede, nell’esercizio della potestà legislativa, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. Da ultimo, la norma sarebbe in conflitto anche con l’articolo 120, comma 1, Cost., in quanto la misura potrebbe ostacolare la libera circolazione delle merci anche all’interno del mercato nazionale. Un provvedimento per tutelare il consumatore? La Regione Lazio si è difesa sostenendo che la legge impugnata ha essenzialmente finalità di tutela del consumatore e non introdurrebbe alcuna discriminazione tra i prodotti laziali e quelli provenienti da altre Regioni o da altri Stati membri, non istituendo alcun legame tra marchio e territorio. Possibili effetti restrittivi. Secondo la Consulta, la legge impugnata, introducendo un marchio «regionale» di qualità, è senza dubbio idonea a indurre il consumatore a preferire prodotti contrassegnati da tale marchio rispetto ad altri similari e a produrre, quantomeno indirettamente o in potenza, effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci. Le argomentazioni della Regione sono prive di fondamento, in quanto la tutela del consumatore è riservata alla competenza esclusiva dello Stato e non spetta alla Regione Lazio certificare la qualità dei prodotti, tanto in Italia quanto in altri Stati europei. Per questi motivi, la Corte Costituzionale dichiara l’illegittimità costituzionale della legge impugnata.
Corte Costituzionale, sentenza 8 - 12 aprile 2013, numero 66 Presidente Mazzella – Redattore Morelli Sentenza Visto l’atto di costituzione della Regione Lazio udito nell’udienza pubblica del 12 marzo 2013 il Giudice relatore Mario Rosario Morelli uditi l’avvocato dello Stato Giuseppe Albenzio per il Presidente del Consiglio dei ministri e l’avvocato Francesco Saverio Marini per la Regione Lazio. Ritenuto in fatto Il Presidente del Consiglio dei ministri ha proposto questione di legittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 28 marzo 2012, numero 1, recante «Disposizioni per il sostegno dei sistemi di qualità e tracciabilità dei prodotti agricoli e agroalimentari. Modifica alla legge regionale 10 gennaio 1995, numero 2 Istituzione dell’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio – ARSIAL e successive modificazioni», e segnatamente dei suoi articoli 1, commi 1 e 2 sia nella sua totalità che con riferimento alla lettera c , 2, 3, comma 1, lettere a , b , c ed e , 6, 9 e 10. Dette disposizioni – istitutive e disciplinatorie come, del resto, l’intero articolato della sopra citata legge di un «marchio regionale collettivo di qualità, per garantire l’origine, la natura e la qualità nonché la valorizzazione dei prodotti agricoli ed agroalimentari» − si porrebbero, infatti, secondo il ricorrente, in conflitto con il diritto dell’Unione europea e particolarmente con gli articoli da 34 a 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea TFUE , che vengono evocati con riferimenti alla giurisprudenza comunitaria, e, quindi, violerebbero l’articolo 117, primo comma, Costituzione, oltreché in contrasto con l’articolo 120 della Costituzione. Costituitasi, la Regione Lazio ha eccepito l’infondatezza della questione, sostenendo che la legge impugnata non introdurrebbe alcuna discriminazione tra i prodotti laziali e quelli provenienti da altre Regioni o da altri Stati membri «non istituendo alcun legame tra marchio e territorio». Sia il Presidente del Consiglio che la Regione Lazio hanno anche depositato memoria ad ulteriore illustrazione dei rispettivi assunti. Considerato in diritto 1.― Il Presidente del Consiglio dei ministri impugna una serie di disposizioni della legge della Regione Lazio 28 marzo 2012, numero 1, recante «Disposizioni per il sostegno dei sistemi di qualità e tracciabilità dei prodotti agricoli e agroalimentari. Modifica alla legge regionale 10 gennaio 1995 numero 2 Istituzione dell’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio – ARSIAL e successive modificazioni», e ne denuncia il contrasto con l’articolo 117, primo comma, della Costituzione, in relazione agli articoli da 34 a 36 del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea TFUE , e con l’articolo 120, primo comma, della Costituzione. Nei suoi articoli 1, commi 1 e 2, lettera c , 2, 3, comma 1, lettere a , b , c ed e 6, 9 e 10 – cui il ricorrente, in particolare, riferisce il dubbio di illegittimità costituzionale – la citata legge regionale, al fine dichiarato sub articolo 1 di «assicurare ai consumatori la qualità dei prodotti agricoli ed agroalimentari» e di incentivare «la valorizzazione e la promozione della cultura enogastronomica tipica regionale», rispettivamente, disciplina – l’istituzione di un «marchio regionale collettivo di qualità», demandando alla Giunta regionale di individuare, con propria deliberazione, le tipologie di prodotti da ammettere all’uso del marchio e l’adozione dei rispettivi disciplinari di produzione articolo 1, commi 1 e 2, 2 – i criteri e le modalità di concessione del marchio ed i casi di sua sospensione, decadenza e revoca, e le modalità d’uso articolo 3, comma 1, lettere a , b , c ed e 9 – la concessione di contributi in relazione all’istituendo marchio regionale articolo 1, comma 2, lettera c , 6 e 10 . 2.— L’istituzione e la conseguente disciplina di un siffatto marchio collettivo di qualità, da parte della Regione Lazio, si porrebbe, appunto, secondo il ricorrente, in conflitto con il diritto dell’Unione europea – in relazione a quanto disposto, fra l’altro, dagli articolo 34 e 35 del TFUE, che fanno divieto agli Stati membri di porre in essere restrizioni quantitative all’importazione e all’esportazione, nonché qualsiasi misura di effetto equivalente – e, quindi, in violazione dell’articolo 117, primo comma, della Costituzione, che richiede, nell’esercizio della potestà legislativa, il rispetto dei vincoli derivanti dall’ordinamento comunitario. E contrasterebbe, altresì, con l’articolo 120, primo comma, Cost., «in quanto la misura adottata dalla Regione Lazio potrebbe ostacolare la libera circolazione delle merci, anche all’interno del mercato nazionale, inducendo i consumatori a preferire i prodotti laziali rispetto a quelli provenienti da altre Regioni». Nessuno specifico riferimento argomentativo è, invece, svolto rispetto all’articolo 36 del TFUE. 3.― Sostiene, in contrario, la Regione resistente che il marchio in questione, da essa adottato per precipue finalità di tutela del consumatore, non incorra nella violazione degli evocati parametri costituzionali e delle correlate norme comunitarie, non essendo esso idoneo ad orientare l’interesse generale dei consumatori in direzione preferenziale di prodotti del territorio laziale. E ciò per la sua «natura del tutto neutra», rispetto alla provenienza geografica del prodotto, posto che ne «possono fruire tutti gli operatori del settore, sia che abbiano stabilimento nella Regione Lazio, sia che svolgano la propria attività economica in altra Regione italiana o, più in generale, nel territorio degli Stati membri». 4.— La questione è fondata. Nella giurisprudenza della Corte di giustizia – che conforma in termini di diritto vivente le disposizioni degli articoli da 34 a 36 del TFUE, ed alla quale occorre far riferimento agli effetti della loro incidenza, come norme interposte, ai fini dello scrutinio di costituzionalità in relazione al parametro dell’articolo 117 Cost. sentenza numero 191 del 2012 – la «misura di effetto equivalente» alle vietate restrizioni quantitative è costantemente intesa in senso ampio e fatta coincidere con «ogni normativa commerciale degli Stati membri che possa ostacolare, direttamente o indirettamente, in atto o in potenza, gli scambi intracomunitari» Corte di giustizia, sentenze 6 marzo 2003, in causa C-6/2002, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica Francese 5 novembre 2002, in causa C-325/2000, Commissione delle Comunità europee contro Repubblica federale di Germania 11 luglio 1974, in causa 8-1974, Dassonville contro Belgio . Orbene, la legge della Regione Lazio qui impugnata –introducendo un marchio «regionale» di qualità destinato a contrassegnare, sulla base di disciplinari, ed in conformità a criteri, dalla stessa stabiliti, determinati prodotti agricoli ed agroalimentari a fini, anche dichiaratamente, promozionali della agricoltura e cultura gastronomica del Lazio – è innegabilmente idonea a indurre il consumatore a preferire prodotti assistiti da siffatto marchio regionale rispetto ad altri similari, di diversa provenienza, e, conseguentemente, a produrre, quantomeno «indirettamente» o «in potenza», gli effetti restrittivi sulla libera circolazione delle merci, che anche al legislatore regionale è inibito perseguire per vincolo comunitario. In contrario, non rilevano né la finalità di tutela del consumatore né il carattere per altro solo virtuale di ultraterritorialità del marchio – su cui fa leva la difesa della resistente – poiché, in relazione ad entrambi tali profili, la Regione non indica, e neppure ha, alcun suo titolo competenziale. Quanto al primo profilo, infatti, la tutela del consumatore attiene alla materia del diritto civile, riservata alla competenza esclusiva dello Stato sentenza numero 191 del 2012, cit. e, quanto al secondo, non spetta alla Regione Lazio di certificare, come pretende, la “qualità” di prodotti sull’intero territorio nazionale e su quello di altri Stati europei. E ciò a prescindere dalla considerazione che l’istituzione, da parte di un soggetto pubblico, di un marchio in funzione del perseguimento di una politica di qualità non lo esclude dal campo di applicazione della normativa di tutela degli scambi Corte di giustizia, sentenza 5 novembre 2002, in causa C-325/2000, cit. . In riferimento al precetto dell’articolo 117, primo comma, Cost. sui vincoli, all’esercizio della potestà legislativa di Stato e Regioni, derivanti dall’ordinamento comunitario la questione è, dunque, fondata, con riferimento a tutte le norme specificamente censurate, assorbito rimanendo il profilo ulteriore di violazione dell’articolo 120, primo comma, Cost. 5.— La declaratoria di illegittimità va estesa a tutte le disposizioni della legge impugnata avuto riguardo alla loro stretta interconnessione. per questi motivi LA CORTE COSTITUZIONALE dichiara la illegittimità costituzionale della legge della Regione Lazio 28 marzo 2012, numero 1, recante «Disposizioni per il sostegno dei sistemi di qualità e tracciabilità dei prodotti agricoli e agroalimentari. Modifica alla legge regionale 10 gennaio 1995, numero 2 Istituzione dell’Agenzia regionale per lo sviluppo e l’innovazione dell’agricoltura del Lazio – ARSIAL e successive modificazioni».