Confermata anche in terzo grado la decisione del Gip prima e del Tribunale poi di non adottare misure cautelari nei confronti dell’uomo finito sotto accusa per violenza sessuale. Decisiva la ‘catalogazione’ dell’episodio come di “minore gravità”. Eppure il crimine è stato perpetrato sotto gli occhi della figlia della vittima
Violenza sessuale, corredata da lesioni personali, e perpetrata, per giunta, dinanzi agli occhi della figlia della vittima. Ciò non basta, però, per considerare davvero grave l’abominio compiuto. Conseguenze? Riconosciuta l’ipotesi del «fatto di minore gravità», ed esclusa la possibilità di applicare una “misura cautelare” ad hoc nei confronti del violentatore. Cass., sent. numero 11123/2014, Terza Sezione Penale, depositata oggi Fatto lieve. Accusa gravissima ai danni di un uomo egli è sul banco degli imputati per «violenza sessuale» ai danni di una donna. Conseguente è la richiesta della emissione di una «misura cautelare» ad hoc, ma prima il Giudice delle indagini preliminari e poi il Tribunale rispondono in maniera negativa. Come si spiega questa decisione? Con una semplice constatazione i giudici hanno «ritenuto di qualificare il reato di violenza sessuale nella sua forma attenuata» – «caso di minore gravità», per intenderci – e di «non ravvisare esigenze cautelari». Pronta la reazione del Procuratore della Repubblica, il quale contesta duramente la valutazione del Gip e del Tribunale, richiamando due elementi decisivi, a suo dire primo, la vittima «dovette resistere all’aggressione e si procurò lesioni guaribili in cinque giorni» secondo, all’episodio della violenza assistette, purtroppo, la figlia della vittima, e «la bambina fu considerata, dai medici che visitarono la madre, molto spaventata». Nonostante tutto, però, per i giudici del ‘Palazzaccio’ è corretta la catalogazione dell’episodio di «violenza sessuale» come fatto di «minore gravità». Per essere espliciti, «la presenza di modeste lesioni e il fatto che» alla violenza «abbia assistito la figlia» della vittima, secondo i giudici, «non costituiscono circostanze, da sole, impeditive di una riconduzione del fatto alla connotazione più lieve del reato contestato», posto che tale «valutazione deve avere riguardo al bene tutelato dalla disposizione» ossia «la libertà sessuale della vittima».
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 13 febbraio – 7 marzo 2014, numero 11123 Presidente Teresi – Relatore Marini Ritenuto in fatto 1. Con ordinanza del 23/7/2013 il Tribunale di Ancona ha rigettato l'appello proposto dal Pubblico ministero avverso l'ordinanza emessa in data 5/6/203 dal Giudice delle indagini preliminari del Tribunale di Macerata che ha respinto la richiesta di emissione di misura cautelare nei confronti dell'indagato in relazione ai reati previsti dagli articolo 609-bis e 582-585 cod. penumero , commessi nel mese di agosto 2011. Il Tribunale ha ritenuto di qualificare il reato di violenza sessuale nella sua forma attenuata ai sensi del comma 3 dell'articolo 609-bis cod. penumero e di non ravvisare esigenze cautelari attuali che giustifichino l'emissione della misura. 2. Avverso tale decisione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Macerata propone ricorso in sintesi lamentando a. errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero in relazione alla applicazione dell'ipotesi attenuata prevista dal comma 3 dell'articolo 609-bis cod. penumero , per avere il Tribunale omesso di considerare la contestazione della circostanza aggravante ex articolo 61, numero 5, cod. penumero e la circostanza che la bambina fu considerata dai medici, che visitarono la madre persona offesa, molto spaventata per avere, altresì, omesso di considerare che la persona offesa dovette resistere all'aggressione e si procurò lesioni guaribili in 5 giorni, così che risulta erroneamente valutata l'applicabilità della circostanza prevista dal comma 3 dell'articolo 609-bis cod. penumero b. errata applicazione di legge ex articolo 606, lett. b cod. proc. penumero e vizio di motivazione ai sensi dell'articolo 606, lett. e cod. proc. penumero con riferimento alle esigenze cautelari il Tribunale ha erroneamente valutato le risultanze in atti che rivelano ben 8 ricoveri dell'indagato, anche in relazione a un episodio di minacce, e che rivelano come non vi sia certezza che egli segua la terapia prescrittagli il Tribunale ha inoltre ignorato le motivazioni dell'ordinanza del Giudice delle indagini preliminari con cui è stata rigettata la richiesta ex articolo 282-ter avanzata dal Pubblico ministero e ignorato che l'indagato, tornato in Italia, vive ancora nello stesso stabile in cui abita la persona offesa. Considerato in diritto 1. Osserva la Corte che il primo motivo è manifestamente infondato. Nessun palese errore si ravvisa nella qualificazione dei fatti ai sensi del comma 3 dell'articolo 609-bis cod. penumero la presenza di modeste lesioni e il fatto che al fatto abbia assistito la figlia della persona offesa non costituiscono circostanze da sole impeditive di una riconduzione del fatto alla connotazione più lieve del reato contestato, posto che detta valutazione deve avere riguardo al bene tutelato dalla disposizione la libertà sessuale della vittima . In altri termini, il giudizio operato dal Tribunale non appare in contrasto con la legge e contiene una valutazione che in presenza di idonea motivazione è sottratta all'intervento del giudice di legittimità. 2. Quanto al secondo motivo di ricorso, va osservato che la richiesta di misura è stata formulata a circa due anni dai fatti e che risulta che successivamente a questi l'indagato abbia intrapreso cure specifiche e si sia recato a fini di cura anche nel Paese di origine, con la conseguenza che correttamente il Tribunale ha considerato non provata l'attualità delle esigenze cautelari. 3. Alla luce delle considerazioni fin qui esposte il ricorso deve essere respinto. P.Q.M. Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.