Casus belli il ‘pezzo’ pubblicato da «Il Fatto Quotidiano» e relativo, tra l’altro, alla gestione di un canale del digitale terrestre. A lamentarsi è l’editrice, citata a più riprese nel resoconto giornalistico, fondato su parti di intercettazioni telefoniche. Non regge, però, l’ipotesi della diffamazione prioritaria è la tutela del diritto di critica.
Collage di brogliacci, pezzi di intercettazioni telefoniche messe insieme obiettivo è ricostruire la vicenda in maniera verosimile, e poi trarne riflessioni ad hoc. Chiarissima la linea di azione seguita dal giornalista, linea di azione assolutamente legittima, che, difatti, gli consente di evitare ogni ipotetico addebito sul delicato fronte della «diffamazione». Ciò perché, nonostante le proteste della persona protagonista del ‘pezzo’, è da salvaguardare il «diritto di critica», che non può esigere un rispetto assoluto della «verità». Cass., sent. numero 9399/2014, Quinta Sezione Penale, depositata oggi ‘Pezzo’. Scottanti le pagine de «Il Fatto Quotidiano», con particolare riferimento a un articolo – firmato da Fabrizio D’Esposito, e pubblicato a maggio 2012 – con cui si puntano i ‘riflettori’ sulla gestione del canale ‘Abc’ sulla piattaforma del digitale terrestre. Ad apparire, metaforicamente, in primo piano è l’editrice Ilaria Sbressa, che, difatti, contesta la legittimità del ‘pezzo’ giornalistico, sostenendo di aver visto lesa la propria «reputazione». Conseguenziale è la battaglia giudiziaria, che, però, si conclude subito il Gip del Tribunale di Roma, difatti, opta per il «non doversi procedere» nei confronti di D’Esposito. Irrilevanti gli elementi messi sul tavolo dal legale della donna, il quale sostiene che il ‘pezzo’ ha lasciato intendere, «contrariamente al vero», che «il canale ‘Abc’ fosse di proprietà dell’ex ministro Renato Brunetta che l’attribuzione della banda per la trasmissione del canale ‘Abc’ era stata ottenuta attraverso metodi illegali che non esistevano le condizioni per ottenere finanziamenti dalla Banca Popolare di Milano che l’acquisizione della frequenza era stata effettuata per poi poterla restituire allo Stato dietro corresponsione di 2milioni di euro». Critica e verità. Ma la querelle non è affatto chiusa. Ultimo capitolo è quello in Cassazione, dove il legale della Sbressa ribadisce la tesi della «portata diffamatoria» del ‘pezzo’, evidenziando il fatto che «erano riportate circostanze non vere», tali da ledere la «reputazione» della donna. A corredo, poi, viene anche evidenziato, in negativo, lo «strumentale collegamento ed arbitrario ‘collage’ di brogliacci di intercettazioni telefoniche, effettuato dal giornalista, previa estrapolazione ed accorpamento dei contenuti». Logica la visione proposta dal legale ci si trova di fronte a «fatti frutto di elaborazioni ed interpretazioni soggettive ed arbitrarie dei contenuti di captazioni telefoniche», non corrispondenti alla «verità» e utilizzati per una interpretazione ad hoc da parte del giornalista. Ma questa obiezione viene respinta dai giudici del ‘Palazzaccio’, i quali condividono in pieno l’ottica adottata dal Gip. Detto in maniera chiara anche ipotizzando una «valenza diffamatoria», è prioritaria la tutela del «diritto di critica», che non può esigere il «rispetto assoluto della verità della notizia riferita, essendo sufficiente la mera veridicità». Ciò esclude ogni ipotesi di «strumentale distorsione». A dare forza a questa decisione, rimarcano i giudici, anche la considerazione che «l’onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all’esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo».
Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 5 dicembre 2013 – 26 febbraio 2014, numero 9399 Presidente Ferrua – Relatore Bruno Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza indicata in epigrafe il Gip del Tribunale di Roma, pronunciando ai sensi dell'articolo 425 c.p.p., dichiarava non doversi procedere nei confronti di F.d'E. in ordine al reato di diffamazione a lui ascritto per essere il fatto non punibile in quanto scriminato dal diritto di cronaca e di critica nonché nei confronti di A.P. in ordine al reato di omesso controllo a lui ascritto, perché il fatto non sussiste. In particolare, il D'E. era imputato del reato di agli articolo 595 e 13 legge numero 47/1948 per avere redatto e pubblicato sul Fatto Quotidiano edito in Roma, del 31.5.2012, un articolo a sua firma dal titolo Le pressioni di Romani a BPM e la TV di B. - L'editrice S., moglie di un big di Mediaset, cercava prestiti facili il cui contenuto deve intendersi integralmente riportato e con il quale veniva offesa la reputazione di S.I. in proprio e quale amministratore delegato del consorzio ALPHABET in particolare scrivendo «il destinatario della lettera è infatti la società consortile a responsabilità limitata Alphabet con sede in Roma. L'amministratore delegato si chiama I.S., classe 1972. Il canale ABC, numero 33 del digitale terrestre, diventa senza banda, la tv della pubblica amministrazione, messa su per propagandare il ministero dell'energico R.B.». Ed inoltre «Questo il passaggio sui due, S. e R., per ottenere finanziamenti senza requisiti dalla BPM. L'AD di Alphabet vuole € 500.000 e tormenta C. che a sua volta ha ricevuto una sollecitazione da R. che gli avrebbe fatto pelo e contropelo per il fatto che la pratica di finanziamento della S. é bloccata da un mese. Mancano appunto le condizioni. Ed ancora il canale ABC non riuscirà mai a partire». Ed infine «Del resto lo stesso R., con il suo vecchio piano del dividendo digitale, avrebbe garantito più di due milioni in caso di restituzione allo Stato del canale 33». In sostanza, facendo intendere contrariamente al vero che il canale ABC fosse di proprietà dell'ex ministro R.B., che l'attribuzione della banda per la trasmissione del canale ABC era stata ottenuta attraverso metodi illegali, che non esistevano le condizioni per ottenere finanziamenti dalla Banca Popolare di Milano e che l'acquisizione della frequenza del canale 33 era stata effettuata per poi poterla restituire allo Stato dietro corresponsione di due milioni di euro. A.P., dal canto suo, era accusato del reato di cui agli articolo 57, 595 cod. penumero e 13 legge numero 47/48 per avere, nella qualità di direttore responsabile del Fatto Quotidiano edito in Roma, omesso il doveroso controllo sul contenuto dell'articolo Le pressioni di R. a BPM e la TV di B.-l'editrice S., moglie di un big di Mediaset cercava prestiti facili articolo riportato al capo a con cui si offendeva la reputazione di S.I. in proprio e nella qualità di Amministratore Delegata del consorzio Alphabet . Avverso l'anzidetta pronuncia l'avv. E.V., difensore e procuratore speciale della parte civile, I. S., ha proposto ricorso per cassazione, affidato alle ragioni di censura di seguito indicate. 2. Con il primo motivo d'impugnazione la ricorrente eccepisce violazione dell'articolo 606 lett. e cod. proc. penumero per mancanza, contraddittorietà o manifesta illogicità della motivazione. Lamenta, in particolare, che il giudicante aveva omesso di motivare in ordine alla portata diffamatoria dell'articolo in oggetto, nel quale erano riportate circostanze contrarie al vero. In particolare, si era sostenuto che il canale ABC fosse di proprietà dell'ex ministro B. che l'attribuzione per la banda di trasmissione del canale ABC fosse stata ottenuta attraverso metodi illegali che non esistessero le condizioni per ottenere finanziamenti presso la BPM e che la frequenza del canale 33 fosse stata acquisita al solo scopo di cederla poi allo Stato, dietro corresponsione di € 2.000.000,00. Del tutto illogicamente si era ritenuto che tali inveritiere affermazioni non fossero lesive della reputazione della parte civile. Con il secondo motivo si denuncia identico vizio di legittimità per erronea applicazione della scriminante del diritto di critica, di cui, in realtà, erano stati travalicati i limiti ad esso immanenti, segnatamente quello della verità della notizia. Con il terzo motivo si denuncia violazione di legge, ai sensi dell'articolo 606 lett. c cod. proc. penumero , con riferimento all'inutilizzabilità delle intercettazioni nonché difetto di motivazione al riguardo, ai sensi dell'articolo 606 lett. e dello stesso codice di rito. Si duole, in particolare, che il giudicante abbia ritenuto di dover scriminare la condotta degli imputati palesemente diffamatoria, pur in presenza di uno strumentale collegamento ed arbitrario collage di brogliacci di intercettazioni telefoniche effettuato dal giornalista, previa estrapolazione ed accorpamento dei contenuti. L'articolista si era eretto a giudice penale non limitandosi a riprodurre il testo di un provvedimento giudiziario il preteso esercizio del diritto di cronacacritica si era trasformato in un pseudo-processo da parte dei giornalista nei confronti della parte civile, totalmente estranea ai fatti. La motivazione della sentenza impugnata era manifestamente illogica e carente nella parte in cui aveva omesso di verificare se i fatti descritti fossero veri e non fossero in realtà frutto di elaborazioni ed interprettazioni soggettive ed arbitrarie dei contenuti di captazioni telefoniche. 2. Il ricorso si colloca ai limiti dell'ammissibilità, sostanziandosi di prospettazioni squisitamente di merito in ordine alla vicenda fattuale diffusamente trasfusa nel riprodotto capo d'imputazione. La stessa impugnazione è, comunque, priva di fondamento, in quanto la struttura motivazionale dei provvedimento impugnato offre compiuta giustificazione delle ragioni per le quali è stata, ragionevolmente, esclusa l'utilità dell'approfondimento dibattimentale dei fatti oggetto di causa. Il Gip ha, infatti, motivatamente ritenuto che il contenuto dell'articolo in questione, anche ad ipotizzarne la valenza diffamatoria nei confronti della persona offesa, fosse comunque scriminato dall'esercizio del diritto di critica, che, in ogni caso, non poteva considerarsi esorbitante rispetto ai limiti ad esso notoriamente immanenti, secondo pacifica l'interpretazione di questo giudice di legittimità. Del resto, proprio perché si è ritenuto configurabile la scriminante della critica, non era esigibile un rispetto assoluto della verità della notizia riferita, essendo sufficiente la mera veridicità, con esclusione di ogni strumentale distorsione. Si tratta, invero, di apprezzamento prettamente di merito, logicamente e coerentemente giustificato e, dei tutto, conforme ad indiscusso insegnamento di questa Corte di legittimità Sez. 5, Sentenza numero 43403 del 18/06/2009, Rv. 245098, secondo cui in tema di diffamazione, per la sussistenza dell'esimente dell'esercizio del diritto di critica è necessario che quanto riferito non trasmodi in gratuiti attacchi alla sfera personale del destinatario e rispetti un nucleo di veridicità, in mancanza del quale la critica sarebbe pura congettura e possibile occasione di dileggio e di mistificazione, fermo restando che l'onere del rispetto della verità è più attenuato rispetto all'esercizio del diritto di cronaca, in quanto la critica esprime un giudizio di valore che, in quanto tale, non può pretendersi rigorosamente obiettivo . 3. Per quanto precede, il ricorso dev'essere rigettato con le consequenziali statuizioni dettate in dispositivo. P.Q.M. Rigetta il ricorso a condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali.