L’istituto islamico della “Kafala” permette alla zia di far venire in Italia la nipote in modo illegale

La Corte di Cassazione accoglie il ricorso di una straniera che, mediante un documento di identità contraffatto, ha fatto entrare illegalmente in Italia sua nipote. Ciò al fine di rispettare il c.d. istituto islamico della “Kafala”, e quindi poter crescere ed educare la figlia di sua sorella.

Sul tema la Suprema Corte con la sentenza numero 22734/21, depositata il 9 giugno. Il GUP del Tribunale di Civitavecchia riteneva una straniera responsabile di aver compiuto atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio italiano della nipote, mediante un documento di identità contraffatto riproduzione non conforme sia nel supporto che nelle tecniche di stampa e la condannava alla reclusione di due anni e quattro mesi, oltre che 10mila euro di multa. La Corte d’Appello di Roma confermava la decisone appellata. Il difensore dell’accusata ricorre in Cassazione deducendo, tra i vari motivi, la mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606, lett. e c.p.p. inerente l’esistenza dell’istituto islamico della “Kafala” attraverso il quale l’imputata si era impegnata a crescere e curare l’educazione della minore, figlia della sorella. E ciò avrebbe dovuto escludere la configurabilità del reato contestato, in quanto la giurisprudenza non lo ravvisa nella condotta del genitore che porta con sé il figlio minore in modo irregolare. La doglianza è fondata in quanto la Corte territoriale ha erroneamente ritenuto che il rapporto tra l’imputata e la minore non scalfisse il valore probatorio degli altri elementi acquisiti, omettendo, inoltre, di esaminare la documentazione prodotta dalla difesa relativa all’esistenza del suddetto istituto islamico. Per questi motivi la Suprema Corte annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte d’Appello di Roma.

Corte di Cassazione, sez. I Penale, sentenza 14 aprile – 9 giugno 2021, numero 22734 Presidente Tardio – Relatore Talerico Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 28 marzo 2018, il Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale di Civitavecchia riteneva B.F. responsabile dei reati alla medesima ascritti ai capi A reato di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 12, comma 3, lett. d , perché compiva atti diretti a procurare illegalmente l’ingresso nel territorio dello Stato di C.K.K. , provenendo con volo da Tunisi in compagnia della stessa, esibendo documento di identità belga, intestato alla minore, contraffatto, reato aggravato dall’utilizzo di servizio internazionale di trasporto e B reato di cui all’articolo 497 bis c.p., comma 2, perché veniva sorpresa in possesso di un titolo di soggiorno francese valido per l’espatrio che risultava essere stato dalla stessa contraffatto tramite la sostituzione dell’effige fotografica e, conseguentemente la condannava, unificati gli stessi sotto il vincolo della continuazione, concesse circostanze attenuanti generiche, operata la riduzione per la scelta del rito, alla pena di anni due, mesi quattro di reclusione ed Euro 10.000,00 di multa. 2. Con pronuncia resa in data 12 ottobre 2018, la Corte di appello di Roma assolveva l’imputata dal reato di cui al capo B della rubrica perché il fatto non sussiste, essendo risultata accertata, nel corso del giudizio, l’autenticità del titolo di soggiorno francese per l’effetto, rideterminava la pena inflittale, in relazione al residuo delitto, in anni due di reclusione ed Euro 8.000,00 di multa, confermando nel resto la decisione appellata. L’impugnata sentenza, al fine di confermare la penale responsabilità dell’imputata in ordine al reato sub A , metteva in rilievo che era stato accertato che la predetta, il OMISSIS , era sbarcata all’aeroporto di OMISSIS , unitamente alla minore, C.K.K. , con volo proveniente da Tunisi e che, a seguito dei controlli, era stata trovata in possesso di una carta di identità apparentemente rilasciata dalle autorità belghe, intestata alla suddetta minore e recante la foto della stessa che, però, era risultata essere totalmente contraffatta, trattandosi di una riproduzione non conforme, sia nel supporto che nelle tecniche di stampa. Precisava che quanto sostenuto dalla difesa nell’atto di impugnazione l’imputata sarebbe stata affidataria della minore, in virtù dell’istituto islamico della Kafala, regolarmente dichiarata dall’Autorità Giudiziaria algerina con decisione riconosciuta come autentica dall’Ambasciata della Repubblica Algerina Democratica e Popolare presso la Repubblica Italiana, per cui si sarebbe assunta l’obbligo di protezione e cura della stessa non scalfiva il valore probatorio degli altri elementi a carico della B. perché era ragionevole ritenere che ove effettivamente fosse stata avviata la procedura di Kafala - peraltro l’atto prodotto è in lingua francese - l’imputata non avrebbe avuto necessità di esibire un documento totalmente falso apparentemente intestato alla minore che non avevano pregio le ulteriori argomentazioni svolte nell’atto di appello in ordine alla circostanza che Roma OMISSIS dovesse costituire un mero scalo, dovendo il viaggio proseguire vero la Turchia, in quanto l’imputata e la bambina erano in possesso di un biglietto aereo per un volo diretto a Roma OMISSIS . Aggiungeva che era stata la stessa imputata, nel corso delle dichiarazioni spontanee rese all’udienza dinnanzi al Giudice dell’udienza preliminare in data 28.3.2018, ad ammettere di avere sbagliato, di avere avuto fiducia in una persona e che in un momento di stress aveva trovato questa soluzione per avere un pò di soldi pur rendendosi conto che non era stata la soluzione migliore . Non ricorrevano, infine, secondo la Corte territoriale, i presupposti per ritenere la sussistenza della causa di giustificazione di cui all’articolo 54 c.p. e neppure la ricorrenza dell’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., numero 1. 3. Avverso detta sentenza, il difensore di fiducia dell’imputata, avvocato Giuseppe De Nicola, ha proposto ricorso per cassazione formulando sei distinti motivi di impugnazione. 3.1. Con il primo motivo, la ricorrente ha denunciato mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in punto di rigetto della richiesta di rinnovazione delle spontanee dichiarazioni da parte dell’imputata travisamento della prova . Premesso che nell’atto di appello la difesa aveva contestato le conclusioni tratte dalle dichiarazioni spontanee rese dall’imputata il 28.3.20018, verbalizzate in forma riassuntiva e non corretta, e che, a sostegno di ciò, in data 30.7.2018 era stata depositata una lettera proveniente dall’imputata nella quale la predetta spiegava lo svolgersi della vicenda chiarendo la portata reale delle spontanee dichiarazioni in precedenza rese, è stato osservato che la Corte territoriale avrebbe rigettato la richiesta di rinnovazione delle spontanee dichiarazioni con motivazione assolutamente illogica e contraria alle esigenze di giustizia che, inoltre, alla luce delle contestazioni mosse dalla difesa, la Colte avrebbe potuto riconoscere l’erronea interpretazione data a dette dichiarazioni dalla sentenza di primo grado e, in ogni caso, spiegare le ragioni della ritenuta correttezza della valutazione già operata dal Giudice dell’Udienza preliminare. 3.2. Con il secondo motivo, la ricorrente ha denunciato mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in ordine all’affermazione della penale responsabilità dell’imputata per il delitto di cui al D.Lgs. numero 286 del 1998, articolo 12, comma 3, di cui al capo A dell’accusa mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in punto di esistenza della kafala mancata assunzione di prove decisive ex articolo 606 c.p.p., lett. d . Secondo il ricorso, l’imputata attraverso l’istituto islamico della kafala si era impegnata a crescere e curare l’educazione della minore, figlia della sorella, e tali circostanze avrebbero dovuto fare escludere la configurabilità del reato contestato, alla stregua della giurisprudenza che non lo ravvisa nella condotta del genitore che porta con sé irregolarmente il figlio minore in ogni caso, a fronte delle specifiche doglianze difensive, documentalmente supportate, la Corte territoriale si sarebbe limitata ad affermare che quanto sostenuto nell’atto di appello, secondo cui l’imputata era affidataria della minore in virtù di un atto di kafala, non scalfisce il valore probatorio degli altri elementi l’imputata, invero, il 30 luglio 2018 aveva depositato, tra i vari documenti, la copia dell’ Acte de kafala con espressa istanza di traduzione che la Corte avrebbe omesso di prendere in considerazione, affermando, in maniera del tutto censurabile, che peraltro l’atto è in lingua francese . 3.3. Con il terzo motivo, la ricorrente ha denunciato mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in punto di mancato riconoscimento della causa di giustificazione in relazione all’articolo 54 c.p. . Secondo il ricorso, la motivazione della sentenza al riguardo è del tutto insufficiente, non avendo la Corte territoriale dato risposta alle censure difensive e non avendo esamina documentazione prodotta, attestante la sussistenza dell’istituto islamico della kafala, che imponeva all’imputata di non abbandonare la minore a lei affidata. 3.4. Con il quarto motivo, la ricorrente ha denunciato mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in punto di applicazione dell’aggravante di cui al comma 3 bis D.Lgs. numero 286 del 1998 . 3.5. Con il quinto motivo, la ricorrente ha denunciato mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in punto di mancata concessione dell’attenuante in relazione all’articolo 62 c.p., numero 1 , evidenziando che la Corte territoriale si sarebbe limitata ad affermare che del pari, alla luce di quanto fin qui esposto, non ricorrono i presupposti per applicare l’attenuante di cui all’articolo 62 c.p., numero 1 , senza alcuna altra specificazione, con conseguente vizio motivazionale. 3.6. Con il sesto motivo, la ricorrente ha denunciato mancanza, contraddittorietà e/o manifesta illogicità della motivazione ex articolo 606 c.p.p., lett. e in punto di diniego della sospensione condizionale della pena in relazione all’articolo 163 c.p. e della non menzione . La Corte territoriale, nel rigettare la concessione dei richiesti benefici, si sarebbe limitata ad affermare che la gravità della condotta posta in essere che ha riguardato una minore di appena due anni e l’utilizzo di un documento falso, denota un inserimento dell’imputata in ambienti criminali più ampi e organizzati, sicché non è possibile formulare una prognosi a lei favorevole in ordine alla futura astensione della stessa dal commettere altri reati della stessa specie del pari una valutazione delle circostanze di cui all’articolo 133 c.p. in particolare della gravità della condotta non consente di concedere il beneficio della non menzione della condanna nel certificato del casellario giudiziale , omettendo, però, di valutare tutte le specifiche circostanze addotte nei motivi di appello e puntualmente documentate l’esistenza della tutela legale sulla bambina da parte dell’imputata il riconoscimento dell’istituto islamico della kafala anche da parte dell’ordinamento italiano il rapporto di parentela tra l’imputata e la minore l’esistenza di un contratto di locazione intestato all’imputata dell’immobile sito in Francia l’esistenza di un rapporto di previdenza sociale a favore dell’imputata in relazione all’attività lavorativa svolta la circostanza che la stessa è madre di una ragazza il periodo di spola tra l’Algeria e la Francia da parte dell’imputata proprio in concomitanza con la nascita e la tutela della minore la pendenza di un procedimento presso il Tribunale per i minorenni finalizzato alla dichiarazione di adottabilità della minore stessa . 4. In data 19 novembre 2019, il difensore dell’imputata ha depositato presso la Cancelleria di questa Corte memoria, con allegata documentazione, ribadendo le censure già svolte nell’atto di ricorso. 5. All’odierna udienza, si è proceduto alla trattazione del processo con contraddittorio scritto, ai sensi del D.L. numero 137 del 2020, articolo 23, comma 8, e successiva proroga il Procuratore generale di questa Corte, Dott. Luigi Orsi, ha concluso, per iscritto, chiedendo l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata il difensore dell’imputata ha concluso, per iscritto, chiedendo l’accoglimento del ricorso. Considerato in diritto 1. Il secondo motivo di ricorso di rilievo assorbente rispetto agli altri merita accoglimento. La Corte territoriale, come in precedenza evidenziato, ha ritenuto che il dedotto rapporto tra l’imputata e la minore zia e nipote , derivante dall’istituto islamico della kafala che, secondo la difesa, avrebbe comportato l’assunzione da parte della prima di precisi doveri di cura, assistenza, educazione nei confronti della seconda e che avrebbe scriminato la condotta posta in essere dalla B. , non scalfiva il valore probatorio degli altri elementi acquisiti. In particolare, la Corte è giunta a questa conclusione in ragione soprattutto dell’impiego da parte dell’imputata di un documento di identità contraffatto della minore. Tuttavia, ha omesso di esaminare la documentazione prodotta dalla difesa relativa all’esistenza dell’indicato istituto islamico, come chiaramente si evince dall’espressione peraltro l’atto è in lingua francese , contenuta nell’impugnata sentenza. Ciò ha comportato un evidente vulnus, in quanto i giudici di merito avrebbero dovuto accertare la validità o meno della dedotta kafala e la sua equiparabilità al rapporto madre/figlio per le importanti conseguenze giuridiche derivanti in caso di esito positivo di detta valutazione. La Corte, in altri termini, avrebbe dovuto accertare - come osservato anche dal Procuratore generale nella sua requisitoria - se in concreto la kafala fosse idonea a escludere la terzietà o estraneità familiare tra l’imputata e la minore come la giurisprudenza di questa Corte ha escluso nell’ambito della relazione genitore - figlio cfr. Cass. Sez. 1, 23872 del 03/06/2010, Rv. 247983, che ha affermato che non integra il reato di favoreggiamento dell’immigrazione clandestina la condotta dello straniero che faccia illegalmente ingresso nel territorio dello Stato portando con sé la propria figlia minorenne . 2. Tale fondamentale esame dovrà essere compiuto, nel giudizio di rinvio, da altra sezione della Corte di appello di Roma. In caso di diffusione del presente provvedimento, occorre omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge. P.Q.M. Annulla la sentenza impugnata con rinvio per nuovo giudizio ad altra sezione della Corte di appello di Roma. In caso di diffusione del presente provvedimento, omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma del D.Lgs. numero 196 del 2003, articolo 52 in quanto imposto dalla legge.