Assemblea condominiale “movimentata”: condannato il condomino per lesioni colpose

L’assurdo episodio si è verificato durante un’assemblea. Il colpevole ha spinto un uomo, facendogli perdere l’equilibrio e facendolo finire addosso a una donna, che è poi caduta a terra, urtando contro un cordolo di marmo e riportando serie lesioni. Secondo i Giudici, la dinamica lo inchioda alle sue responsabilità.

Dalla tragicomica finzione cinematografica del ragionier Fantozzi alla triste realtà delle città d’Italia l’assemblea di condominio può davvero diventare una battaglia fisica, e concludersi addirittura con una condanna. Esemplare la vicenda verificatasi quasi dieci anni fa a Bisceglie, e chiusasi ora in Cassazione con la sanzione penale per un uomo lo chiameremo Saverio che, in preda alla rabbia, durante una riunione condominiale ha spinto un altro uomo lo chiameremo Nanni , facendolo cadere su una donna la chiameremo Giovanna , che a sua volta è finita a terra, urtando contro un cordolo di marmo e riportando serie lesioni. Per i giudici del Palazzaccio è logico parlare, come già fatto in Tribunale prima e in Corte d’appello poi, di lesioni colpose Cassazione, sentenza numero 31633, sezione quarta penale, depositata oggi . L’atteggiamento del condomino. Ricostruita l’assurda dinamica dell’episodio, i giudici ritengono Saverio responsabile senza ombra di dubbio del reato di «lesioni colpose» ai danni di Giovanna, seppur tramite Nanni, che ha fatto quasi da strumento, seppur involontario. Nello specifico, è stato appurato che durante la riunione di condominio Saverio ha provato ad avvicinarsi minacciosamente a Giovanna, ma Nanni ha provato a fare da paciere, cercando di bloccarlo per evitare che la situazione potesse degenerare. Mai intervento si è rilevato più dannoso Saverio ha spintonato Nanni per liberarsi la strada, ma così facendo gli ha fatto perdere l’equilibrio, facendolo «rovinare addosso a Giovanna» che, di conseguenza, «è caduta a terra, urtando contro un cordolo di marmo». Decisivo, anche secondo i Giudici della Cassazione, è il fatto che Saverio «abbia impresso sulla persona di Nanni una forza tale da fargli perdere l’equilibrio» e da farlo finire addosso alla donna. Certo, egli «non voleva provocarne la caduta addosso a Giovanna», tuttavia, osservano i magistrati, «il fatto che Nanni potesse perdere l’equilibrio e rovinare addosso ad altre persone con conseguenze potenzialmente lesive rientrava nei canoni della ordinaria prevedibilità». In sostanza, «la sequenza» alla base della vicenda giudiziaria «è riconducibile ad una condotta materiale sicuramente caratterizzata da un’azione esercizio di forza fisica nei riguardi di una persona da cui è scaturito l’evento lesivo non voluto la caduta addosso ad un’altra persona, rimasta ferita ma non imprevedibile».

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 27 aprile – 11 luglio 2018, numero 31633 Presidente Izzo – Relatore Pavich Ritenuto in fatto 1. La Corte d'appello di Bari, con sentenza resa in data 2 febbraio 2017, ha confermato la sentenza con la quale il Tribunale di Trani, il 31 ottobre 2012, aveva condannato Sa. Ca. per il reato di lesioni colpose in danno di Vi. Gi., così diversamente qualificato il reato di lesioni volontarie a lui originariamente ascritto. Il fatto oggetto del processo si verificava in Bisceglie il 18 settembre 2009, durante un'assemblea condominiale nel corso della quale si accendeva un diverbio tra il Ca. e la Vi. il primo lamentava di essere stato denunciato per abusi edilizi dal marito della seconda quest'ultima faceva per allontanarsi, ma un altro condomino, tale Lo. Ni., le si avvicinava per convincerla a restare nelle fasi seguenti, il Ca. strattonava il Lo. facendogli perdere l'equilibrio e in conseguenza di ciò il Lo. rovinava addosso alla Vi., che cadeva a terra urtando contro un cordolo di marmo e procurandosi così le lesioni di cui in rubrica. Nel giudizio d'appello, la Corte di merito ha disatteso le sollecitazioni dell'imputato appellante, tese a denunciare in primo luogo la violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza di cui all'articolo 521 cod.proc.penumero in secondo luogo a contestare la ricostruzione posta a base della condanna in primo grado, con riferimento all'asserita aggressione al Lo. in terzo luogo a lamentare il mancato riconoscimento della scriminante della legittima difesa nei riguardi dello stesso Lo 2. Avverso la prefata sentenza d'appello ricorre il Ca., tramite il suo difensore di fiducia. Il ricorso, preceduto da un'ampia ricostruzione delle fasi precedenti del giudizio e dalla testuale riproposizione dei motivi d'appello, é in concreto articolato in un unico motivo, teso a lamentare violazione di legge e vizio di motivazione in relazione al fatto oggetto del secondo motivo d'appello che in realtà il Ca. non aveva mai spinto il Lo. addosso alla Vi. e al fatto oggetto del terzo motivo d'appello che il Lo. era stato strattonato dal Ca. al solo ed esclusivo motivo di non vedersi sbarrato il passo, e dunque -sostiene il ricorrente - in presenza della scriminante della legittima difesa. Considerato in diritto 1. Il ricorso, palesemente finalizzato a sollecitare una rivisitazione del materiale probatorio demandata in via esclusiva ai giudici di merito e sottratta al sindacato di legittimità, é inammissibile. La questione se il Lo. fosse stato spinto, spostato o strattonato dal petto, secondo la ricostruzione fornita dalla Vi. , sulla quale si attarda il ricorrente, appare priva di rilievo ai fini della ricostruzione dei fatti e della configurazione del delitto di lesioni colpose in capo al Ca. ciò che conta é che l'odierno ricorrente, nell'intento di permettere a se stesso e alla moglie di avvicinarsi alla Vi. nei cui confronti la moglie dell'odierno ricorrente aveva preso a inveire , abbia impresso sulla persona del Lo. una forza tale da fargli perdere l'equilibrio, farlo cadere addosso alla Vi. e provocare la caduta di quest'ultima. Dalla lettura congiunta delle due sentenze che, trattandosi di doppia conforme, costituiscono come noto un unicum motivazionale emerge che il Lo. si era frapposto fra la Vi. e la moglie del Ca., probabilmente per evitare che quest'ultima aggredisse la Vi. e che il Ca. spostò lateralmente il Lo. per impedire che costui sbarrasse il passo a se stesso e alla moglie e per avvicinarsi alla Vi., esercitando così una violenza causalmente rilevante nel prodursi dell'evento lesivo. Il Ca. sicuramente non voleva provocare la caduta del Lo. addosso alla Vi., ma - che si trattasse di una spinta, oppure di uno strattone per spostarlo lateralmente - il fatto che il Lo. potesse perdere l'equilibrio e rovinare addosso ad altre persone con conseguenze potenzialmente lesive, come poi accadde rientrava all'evidenza nei canoni dell'ordinaria prevedibilità. E' noto infatti che, ai fini dell'apprezzamento dell'eventuale interruzione del nesso causale tra condotta ed evento, il concetto di causa sopravvenuta da sola sufficiente a determinare l'evento si riferisce non solo al caso di un processo causale del tutto autonomo, ma anche a quello di un processo non completamente avulso dall'antecedente, e però caratterizzato da un percorso causale completamente atipico, di carattere assolutamente anomalo ed eccezionale, ossia di un evento che non si verifica se non in casi del tutto imprevedibili a seguito della causa presupposta cfr. Sez. 2, numero 17804 del 18/03/2015, Vasile, Rv. 263581 . All'evidenza non può ravvisarsi alcuna portata interruttiva, nel senso appena indicato, con riguardo alla caduta di una persona addosso a un'altra che si trovi vicino, a causa di uno strattone o di una spinta. Nella sequenza in esame, piuttosto che un'ipotesi di costringimento fisico ex articolo 46, comma 2, cod.penumero ipotesi che non sembra attagliarsi al caso in esame, atteso che essa si riferisce piuttosto alla fattispecie del soggetto coartato che é ridotto a longa manus dell'autore reale , potrebbe semmai ravvisarsi una condotta materiale corrispondente a un reato mai contestato, ossia al delitto di percosse mediante uno strattone o una spinta al Lo. cfr. Sez. 5, numero 51085 del 13/06/2014, Battistessa, Rv. 261451 e/o a quello di violenza privata in danno dello stesso Lo. allo scopo di costringerlo fisicamente a lasciare il passo libero , dalla quale é derivato un evento non corrispondente alla volontà del soggetto attivo e in danno di altra persona le lesioni in danno della Vi. , secondo uno schema per certi versi rapportabile sia all'aberratio ictus con riferimento alla diversità della persona offesa rispetto a quella cui si era rivolta la condotta del soggetto attivo , sia all'aberratio delicti con riferimento all'evento diverso da quello voluto . Nei fatti, la sequenza causale é riducibile a una condotta materiale sicuramente caratterizzata da un'azione esercizio di forza fisica nei riguardi di una persona dalla quale é scaturito l'evento lesivo non voluto la caduta di quest'ultima addosso ad altra persona rimasta ferita ma, per quanto detto, non imprevedibile. Trattasi di una sequenza causale che, pur nella sua peculiarità, risponde ai criteri di imputazione propri della causalità colposa, nei termini e per le ragioni che si sono dianzi riassunti. 2. A maggior motivo é manifestamente infondato il motivo di ricorso in esame nella parte in cui inquadra l'accaduto in un'ipotesi di legittima difesa basti considerare che i requisiti per l'applicazione della esimente della difesa legittima sono la sussistenza e l'attualità del pericolo, l'ingiustizia dell'offesa e la proporzione della difesa ex multis Sez. 1, numero 6811 del 21/04/1994, De Giovanni, Rv. 198115 , e nell'accaduto non é dato ravvisare alcun pericolo attuale di un'offesa ingiusta in danno del Ca., tale da rendere assolutamente necessaria una sua reazione, come quella di spostare il Lo. tanto più che in realtà fu quest'ultimo, in base alla ricostruzione ricavabile dalle sentenze di primo e di secondo grado, a frapporsi fra la Vi. e i coniugi Ca. onde evitare che questi ultimi aggredissero la Vi., data l'ostilità manifestata nei confronti di costei. 3. Anche l'accenno alla violazione del principio di correlazione tra accusa e sentenza in relazione alla riqualificazione del reato di lesioni volontarie originariamente contestato in quello di lesioni colpose é dei tutto privo di fondamento. Sulla questione basterà richiamare l'insegnamento della giurisprudenza apicale di legittimità, secondo la quale l'attribuzione all'esito del giudizio di appello, pur in assenza di una richiesta del pubblico ministero, al fatto contestato di una qualificazione giuridica diversa da quella enunciata nell'imputazione non determina la violazione dell'articolo 521 cod. proc. penumero , neanche per effetto di una lettura della disposizione alla luce dell'articolo Ili, secondo comma, Cost., e dell'articolo 6 della Convenzione EDU come interpretato dalla Corte Europea, qualora la nuova definizione del reato fosse nota o comunque prevedibile per l'imputato e non determini in concreto una lesione dei diritti della difesa derivante dai profili di novità che da quel mutamento scaturiscono Sez. U, numero 31617 del 26/06/2015 - dep. 21/07/2015, Lucci, Rv. 264438 nell'affermare il principio indicato, la Corte ha escluso la violazione dell'articolo 521 cod. proc. penumero in una fattispecie in cui l'imputato era stato condannato in primo grado per il reato di concussione e in appello per quello di corruzione . 4. Alla declaratoria d'inammissibilità consegue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali ed inoltre, alla luce della sentenza 13 giugno 2000, numero 186, della Corte costituzionale e rilevato che, nella fattispecie, non sussistono elementi per ritenere che «la parte abbia proposto il ricorso senza versare in colpa nella determinazione della causa di inammissibilità», il ricorrente va condannato al pagamento di una somma che si stima equo determinare in Euro 2.000,00 in favore della Cassa delle ammende. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso e condanna ii ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro duemila in favore della Cassa delle ammende.