La definitività del decreto di pagamento di cui all’articolo 168 Testo Unico sulle spese di giustizia - d.lgs. numero 115/2012 - per mancata proposizione dell’opposizione al decreto o per il rigetto di questa opera con riferimento al quantum dovuto all’ausiliario che ne beneficia, mentre l’individuazione definitiva dell’obbligato al pagamento delle spettanze dell’ausiliario da considerarsi come parte delle spese giudiziali da ripartire in base al principio della soccombenza opera solo nei rapporti interni tra le parti e non è opponibile all’ausiliario, il quale rimane estraneo alla controversia, e verso il quale le parti, sia quella gravata dalla definitiva imputazione dell’obbligo, sia quella esclusa da tale finale imputazione – sono solidalmente obbligate.
E’ quanto affermato dalla Corte di Cassazione nell’ordinanza numero 17026 depositata il 28 giugno 2018. Il fatto. Un CTU conveniva innanzi al Tribunale territorialmente competente il proprio difensore chiedendone la condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità professionale per il pregiudizio subito dallo stesso a causa della negligenza professionale del convenuto avvocato per non aver egli proposto ricorso per cassazione, anziché un atto di appello dinnanzi alla corte distrettuale, avverso la sentenza resa in primo grado che gli aveva negato il diritto di agire in executivis contro una delle parti processuali per ottenere il proprio compenso liquidato con decreto del giudice che lo aveva nominato quale suo ausiliario nel relativo processo. In particolare, il difensore aveva proposto appello avverso la pronuncia in questione, avvedendosi solo successivamente che l’impugnazione doveva essere proposta con ricorso per Cassazione e non già con atto di appello ex articolo 616 c.p.c. all’epoca vigente pertanto il legale nominato abbandonava il processo di appello a spese compensate. Nel costituirsi in giudizio, il procuratore convenuto ammetteva la propria negligenza professionale e chiamava in giudizio la propria compagnia assicuratrice, al fine di esserne manlevato. Quest’ultima, tuttavia, costituitasi in giudizio, contestava le avverse deduzioni e difese, deducendo la mancata prova del danno subito dall’attore. Il Tribunale adito rigettava la domanda in ragione della mancata prova del danno subito dell’attore, nonostante l’errore professionale commesso dall’avvocato aggiungeva inoltre, che il ricorso per Cassazione, non proposto non avrebbe avuto serie chance di successo, poiché il provvedimento di accoglimento dell’opposizione era da condividersi. Successivamente, il CTU proponeva gravame avverso la sentenza di rigetto ponendo in evidenza sia la definitività nei confronti del CTU, del decreto di liquidazione del soggetto tenuto all’anticipazione della spesa, che al quantum dovuto, stante la mancata opposizione ai sensi dell’articolo 168 d.lgs. numero 115/2002. La corte distrettuale adita rigettava l’appello confermando integralmente la sentenza di primo grado e condannando l’appellante a rifondere le spese di giudizio. Il CTU proponeva pertanto, ricorso per cassazione. Gli Ermellini, hanno dichiarato fondato il primo motivo di ricorso proposto dal CTU ricorrente, sulla scorta del quale quest’ultimo deduceva violazione e falsa applicazione di norme di legge e del codice di rito per aver il giudice di prime cure affermato che il decreto di liquidazione del compenso del CTU era stato implicitamente revocato dalla sentenza che aveva definito il giudizio e posto le spese a carico del soccombente e che il ricorrente avrebbe potuto far valere il vincolo di solidarietà nei confronti di entrambe le parti e quindi, ottenere in un successivo giudizio un nuovo titolo di pagamento nei confronti della parte processuale a carico della quale era stata posta la spesa. Aggiungeva, inoltre, il CTU ricorrente che, ove il decreto di liquidazione avesse dovuto ritenersi implicitamente revocato con la sentenza definitiva, la statuizione definitiva sulle spese avrebbe – per assurdo – comunque precluso ogni ulteriore iniziativa del ricorrente non più munito di titolo esecutivo l’interpretazione inoltre, dell’articolo 168 d.lgs. numero 115/2001 fornita dai giudici di prime cure, oltre tutto, imponeva all’ausiliario l’onere di richiedere all’Autorità Giudiziaria l’emissione di un nuovo titolo di pagamento e di iniziare una seconda esecuzione nei confronti dello stesso debitore, in netto contrasto con gli articolo 3, 24 e 111 Costituzione. Il Collegio di legittimità evidenzia che il decreto di pagamento di cui all’articolo 168 Testo Unico sulle spese di giustizia d.lgs. numero 115/2012 assolve alla funzione di quantificare il credito dell’ausiliario di giustizia, il quale per tale via viene dotato di un titolo esecutivo di valore giudiziale. L’articolo 53 disp. att. c.p.c. attribuisce al decreto di pagamento in questione natura di titolo esecutivo nei confronti del soggetto individuato come parte tenuta ad anticiparne la corresponsione. Ma lo stesso Collegio richiama anche l’orientamento consolidato di legittimità secondo cui in tema di compenso dovuto al CTU, il decreto di liquidazione che pone lo stesso a carico di entrambe le parti o di una di esse non è implicitamente assorbito dalla regolamentazione delle spese di lite ex articolo 91 c.p.c., in quanto quest’ultima norma attiene al diverso rapporto tra la parte vittoriosa e soccombente sicchè ove non sia espressamente modificato dalla sentenza in sede di regolamento delle spese di lite, resta fermo e vincolante nei confronti della parte vittoriosa, salvi i rapporti interni tra la medesima e la parte soccombente. I Giudici, affermando inoltre, che, essendo la funzione - liquidatoria del decreto de quo del tutto differente dalla funzione riparatoria ed interna alla lite – della statuizione delle spese di consulenza contenute nella pronuncia definitiva attratte dalla disciplina della soccombenza , non può condividersi l’affermazione del giudice di appello per il quale la parte vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese infatti quest’ultima, ove corrisponda l’onorario del consulente, può rivalersi nei confronti del soccombente. Concludendo. Ne consegue, prosegue il Collegio, che contrariamente a quanto assunto dalla Corte di merito nel giudizio di responsabilità in esame, la sentenza che ha accolto l’opposizione a precetto effettuata dalla parte processuale onerata a pagare l’ausiliario del giudice in base al decreto provvisorio e al principio di solidarietà sopra indicato, aveva concrete possibilità di essere impugnata innanzi alla Corte di legittimità. Pertanto, lo stesso Collegio conclude affermando che l’errore commesso dal difensore nel proporre l’impugnazione innanzi ad un giudice funzionalmente incompetente a deliberare l’appello è stata sicura fonte di danno per il CTU assistito da detto procuratore legale.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, ordinanza 17 gennaio – 28 giugno 2018, numero 17026 Presidente Chiarini – Relatore Fiecconi Svolgimento in fatto 1. Il presente giudizio origina da una controversia in cui, con atto di citazione notificato in data 23/02/2009, Br. Go. conveniva avanti al Tribunale di Mantova l'avv. Ca. Al. Ma., chiedendone la condanna al risarcimento dei danni a titolo di responsabilità professionale per la somma di Euro 41.767,09, per il pregiudizio subito dall'attore a causa della negligenza professionale del convenuto avvocato, per non aver egli proposto ricorso per cassazione, anziché un atto di appello innanzi alla corte distrettuale, avverso la sentenza numero 542/2006 del Tribunale di Mantova che gli aveva negato il diritto di agire in executivis contro il Banco Popolare di Verona e di Novara per ottenere il compenso quale CTU, liquidato con decreto del giudice che lo aveva nominato. Più precisamente, con sentenza numero 542/2006 il Giudice del Lavoro del Tribunale di Mantova aveva accolto l'opposizione all'esecuzione proposta dal Banco Popolare di Verona e Novara avverso l’ atto di precetto notificato, mediante il quale il Consulente intendeva dare esecuzione al decreto di liquidazione del compenso nei confronti del Banco Popolare di Verona e Novara, tenuta ad anticipare la spesa giudiziale, sull'assunto che il titolo esecutivo, provvisoriamente posto a carico della banca, era venuto meno una volta che la banca era risultata vittoriosa nel giudizio di merito e le spese erano state poste a carico dell'altra parte in base al principio della soccombenza. L'avv. Ma. proponeva appello avverso tale pronuncia, avvedendosi solo successivamente che l'impugnazione doveva essere proposta con ricorso per Cassazione, e non anche con atto di appello, alla luce dell'articolo 616 cod. proc. civ. all'epoca vigente pertanto, il legale nominato abbandonava l'appello a spese compensate. 2. In ragione di tale vicenda processuale, Br. Go., con atto di citazione del 19 marzo 2011, instaurava una controversia nei confronti dell'avv. Ca. Al. Ma. innanzi al Tribunale di Mantova, per ottenere il risarcimento del danno in ragione della sua responsabilità professionale, ritenendo che la condotta del professionista, a causa della proposizione di un errato mezzo d'impugnazione, avesse leso la sua legittima aspettativa di ottenere l'annullamento della sentenza di primo grado, errata nei presupposti di fondo. Nel costituirsi in giudizio l'avv. Ma. ammetteva la propria negligenza professionale e chiamava in causa la Fondiaria Sai S.p.a., per esserne manlevato, la quale, contestando le avverse deduzioni e difese, deduceva la mancata prova del danno subito dall'attore, nonché, in via subordinata, evidenziava che la garanzia assicurativa prevedeva una franchigia del 10% con minimo assoluto di Euro 1.032,91. Con sentenza numero 1189/2010, depositata in data 09/11/2010, il Tribunale di Mantova rigettava la domanda attorea, compensando le spese tra le parti, in ragione della mancata prova del danno subito dall'attore, nonostante l'errore professionale commesso dall'avvocato aggiungeva, inoltre, che il ricorso in Cassazione, non proposto, non avrebbe avuto serie chances di successo, poiché il provvedimento di accoglimento dell'opposizione era da condividersi infine, chiariva che la liquidazione dei compensi al CTU, effettuata dal giudice in corso di causa, ha valore meramente temporaneo e configura un titolo esecutivo provvisorio fino alla sentenza definitiva, ferma restando la natura solidale anche dopo la liquidazione finale delle spese dell'obbligazione di pagamento di tali compensi a carico di entrambe le parti, che avrebbe consentito al consulente tecnico creditore di ottenere un decreto ingiuntivo e dunque un nuovo titolo nei confronti di entrambe le parti del giudizio. 3. Br. Go. proponeva appello innanzi alla Corte d'appello di Brescia avverso la sentenza numero 1189/2010, ponendo in evidenza la definitività, nei confronti del CTU, del decreto di liquidazione emesso in corso di causa, sia con riferimento all'individuazione del soggetto tenuto all'anticipazione della spesa, che al quantum dovuto , stante la mancata opposizione ai sensi dell'articolo 168 D.Lgs. numero 115/2002, non essendo tale provvedimento suscettibile di essere travolto dalla sentenza che definisce il giudizio. Nel giudizio si costituivano l'avv. Ma. Ca. Al., il quale si rimetteva alla decisione della Corte e chiedeva, in via subordinata, di essere manlevato dalla Compagnia assicuratrice, e la Fondiaria Sai s.p.a. quest'ultima sosteneva l'infondatezza dell'appello e chiedeva la conferma della decisione di primo grado. In data 28/2/2014 veniva depositata la sentenza numero 304/2014 con la quale la Corte d'Appello di Brescia rigettava l'appello e confermava integralmente la sentenza di primo grado, condannando l'appellante a rifondere le spese di giudizio. 4. Avverso la sentenza numero 304/2014, Br. Go. propone ricorso innanzi a questa Corte con atto notificato in data 10/04/2015, deducendo due motivi di ricorso. La Fondiaria Sai s.p.a., oggi Unipol Sai Assicurazioni s.p.a., con atto in data 22/05/2015 ha partecipato al giudizio chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile ovvero, in ogni caso, respinto. Il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale è intervenuto in data 28 dicembre 2017, depositando conclusioni scritte ex articolo 380 bis 1, cod. proc. civ. con le quali ha chiesto l’ accoglimento del ricorso. Ragioni della decisione 5. In relazione alla vicenda sopra riportata nei suoi tratti essenziali, il giudice di secondo grado, delibando il merito dell'appello, assumeva che i l'appellante avrebbe dovuto individuare le possibilità di successo, sotto il profilo della violazione di legge, del ricorso in cassazione che, per sua natura, essendo un giudizio di legittimità, ha caratteristiche diverse dall'appello ii il decreto di liquidazione emesso in corso di causa, ex articolo 168 D.Lgs. numero 115/2002, è 7. Con il secondo motivo, ai sensi dell'articolo 360 numero 4 cod. proc. civ., il ricorrente denuncia la violazione degli articolo 132 numero 4, 167 e 345 cod. proc. civ., e, ai sensi dell'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ., la violazione degli articolo 1227, comma 2, e 2697 cod. civ , sull'assunto che la Corte di merito non avrebbe dato ragione dell'affermata mancata prova del danno e del motivo per il quale il ricorrente avrebbe dovuto dimostrare di aver preventivamente escusso il Ro., circostanza rilevata dal terzo chiamato soltanto nel giudizio d'appello, in via del tutto inammissibile. 8. I motivi vanno trattati congiuntamente in quanto logicamente connessi. 9. Questa Corte ha già avuto modo di statuire che il decreto di pagamento di cui all'articolo 168 Testo Unico sulle spese di giustizia di cui al D.Lgs. 115/2012 assolve alla funzione di quantificare il credito dell'ausiliario di giustizia, il quale per tale via viene dotato di un titolo esecutivo di valore giudiziale Cassazione, sezione 2, 20.971-2017 Cass. numero 6766-2012 Sez. 2, Sentenza numero 23586 del 15/09/2008 . L'individuazione dell'obbligato al pagamento non viene prevista dalla menzionata norma, a differenza del previgente articolo 11, comma 4, legge numero 319 del 1980 ove era espressamente menzionata l'esecutività provvisoria del titolo nei confronti della parte a carico della quale era posto il pagamento , ma ' dall'articolo 53 disp. att. del cod. proc. civ., che attribuisce al decreto di pagamento natura di titolo esecutivo nei confronti del soggetto individuato come parte tenuta ad anticiparne la corresponsione. Pertanto la definitività del decreto di pagamento, per mancata proposizione dell'opposizione al decreto o per il rigetto di questa, opera con riferimento al quantum dovuto all'ausiliario che ne beneficia, mentre l’ individuazione definitiva dell'obbligato al pagamento delle spettanze dell'ausiliario da considerarsi come parte delle spese giudiziali da ripartire in base al principio della soccombenza opera solo nei rapporti interni tra le parti, e non è opponibile all'ausiliario, il quale rimane estraneo alla controversia, e verso il quale le parti, sia quella gravata dalla definitiva imputazione dell'obbligo, sia quella esclusa da tale finale imputazione - in quanto totalmente vittoriosa - sono solidalmente obbligate v. Sez. 6 - 3, Sentenza numero 25179 del 08/11/2013, che ha affermato che < < in tema di compenso dovuto al consulente tecnico d'ufficio, il decreto di liquidazione che pone lo stesso a carico di entrambe le parti o di una di esse non è implicitamente assorbito dalla regolamentazione delle spese di lite ex articolo 91 cod. proc. civ., in quanto quest'ultima attiene al diverso rapporto tra parte vittoriosa e soccombente sicché, ove non sia espressamente modificato dalla sentenza in sede di regolamento delle spese di lite, resta fermo e vincolante anche nei confronti della parte vittoriosa, salvi i rapporti interni tra la medesima e la parte soccombente> > . La Corte intende pertanto dare continuità al suddetto principio di diritto. 10. Perciò il danno generatosi per la mancata impugnazione della sentenza che ha affermato principi contrari a quanto indicato da tempo dalla Corte di legittimità è nel non aver potuto ottenere coattivamente dal soggetto originariamente onerato, e nei cui confronti sussisteva il titolo esecutivo anche dopo l'emanazione del provvedimento decisorio definitivo, la somma riconosciuta quale compenso per l'attività giudiziaria svolta. Deve in proposito ritenersi che, essendo la funzione - liquidatoria del decreto di liquidazione del tutto differente dalla funzione - ripartitoria e interna alla lite - della statuizione delle spese di consulenza contenute nella pronuncia definitiva attratte dalla disciplina della soccombenza , non può condividersi l’ affermazione del giudice di secondo grado secondo il quale, procedendo nei confronti della parte risultata vittoriosa, in quanto tenuta in via provvisoria, non è stata rispettata la regola per cui la parte vittoriosa non può essere condannata al pagamento delle spese infatti, quest'ultima, ove corrisponda l'onorario del consulente, può rivalersi nei confronti del soccombente. Ne consegue che la sentenza del tribunale di Mantova che ha accolto l'opposizione a precetto effettuata dalla banca opposta, onerata a pagarlo in base al decreto provvisorio e al principio di solidarietà sopra indicato, aveva concrete possibilità di essere impugnata innanzi a questa Corte con esito fausto per l'impugnante. Pertanto, l'errore commesso dal legale del ricorrente nel proporre l'impugnazione innanzi a un giudice funzionalmente incompetente a delibare l'appello è stata sicura fonte di danno per la parte assistita da detto procuratore legale, contrariamente a quanto assunto dalla Corte di merito nel giudizio di responsabilità in esame. 11. La Corte pertanto accoglie il primo motivo di censura, ritenendo assorbito il secondo motivo, e per l'effetto cassa la sentenza con rinvio alla Corte d'appello di Brescia affinché decida, in diversa composizione, il merito della questione alla luce dei principi sopra indicati, e provveda anche sulla regolazione delle spese di questo giudizio. P.Q.M. I. Accoglie il ricorso in relazione al primo motivo d'impugnazione, ritenuto assorbito il secondo motivo II. Per l'effetto, cassa la sentenza numero 304/2014 del 26 febbraio 2014 della Corte d'appello di Brescia, e rinvia il procedimento alla medesima Corte per il merito della questione, anche in relazione alla regolazione delle spese di questo giudizio. Così deciso in Roma il 17 gennaio 2018