La falsa attestazione del pubblico dipendente della sua presenza in ufficio, risultante dal cartellino marcatempo o dai fogli di presenza, rappresenta una condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore l’amministrazione ed integra dunque il reato di truffa.
Sul tema la Corte di Cassazione con la sentenza numero 20130/18, depositata l’8 maggio. La vicenda. In riforma della sentenza di prime cure, la Corte d’Appello di Torino dichiarava l’imputato colpevole per truffa ex articolo 640, comma 2, c.p All’imputato veniva contestato, in qualità di dipendente pubblico, di essersi assentato dal luogo di lavoro per circa 6 ore falsando le indicazioni del cartellino. Il difensore ricorre per la cassazione della pronuncia dolendosi per la mancata rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale in appello, nonché per l’omessa considerazione dell’esiguità del danno erariale inferiore ai 100 euro . Rinnovazione dell’istruttoria dibattimentale. La Corte di legittimità afferma, in primo luogo, l’inapplicabilità nel caso di specie del principio secondo cui in caso di ribaltamento in appello del giudizio assolutorio il collegio è tenuto a rinnovare l’istruttoria dibattimentale. L’affermazione della responsabilità da parte della Corte torinese è infatti fondata sull’interpretazione dell’apprezzabilità economica del danno erariale cagionato dal ricorrente e sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, non su una diversa lettura del materiale probatorio. Sussistenza del reato. Fermo ciò, il Collegio ricorda che la giurisprudenza di legittimità ha già avuto modo di affermare che la falsa attestazione del pubblico dipendente della sua presenza in ufficio, risultante dal cartellino marcatempo o dai fogli di presenza, rappresenta una condotta fraudolenta oggettivamente idonea ad indurre in errore l’amministrazione ed integra dunque il reato di truffa. La fattispecie è inoltre aggravata laddove il dipendente si allontani dal luogo di lavoro senza far risultare i periodi di assenza mediante timbratura, sempre che tali periodi siano economicamente apprezzabili. Il discrimen tra rilevanza penale o meno sta dunque nella valutazione dell’entità economica del danno erariale cagionato. Sul punto la sentenza impugnata ha però specificato che oltre all’aspetto economico, assume rilevanza anche «l’evidente e grave tradimento del rapporto fiduciario necessariamente esistente tra il pubblico dipendente e l’Amministrazione sua datrice di lavoro». Nel complesso, l’argomentazione della pronuncia impugnata in merito alla sussistenza ed apprezzabilità economica del danno erariale, oltre che al dolo dell’imputato per la ripetitività degli errori nelle varie annotazioni di presenza e all’impossibilità di applicare la causa di non punibilità di cui all’articolo 131-bis c.p., viene condivisa dagli Ermellini in quanto congrua e coerente. Il ricorso viene rigettato e il ricorrente condannato al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 11 aprile – 8 maggio 2018, numero 20130 Presidente Davigo – Relatore Coscioni Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 31 marzo 2017, la Corte di Appello di Torino, in riforma della sentenza di primo grado del giudice dell’udienza preliminare, emessa a seguito di rito abbreviato, dichiarava G.M. colpevole del reato di truffa ex articolo 640 comma 2 cod.penumero . 1.1 Avverso la sentenza ricorre per Cassazione il difensore di G. , eccependo che in appello non solo non era stata svolta alcuna attività istruttoria aggiuntiva, ma neppure era intervenuta una diversa analisi degli elementi probatori, essendosi la Corte di appello semplicemente limitata ad esprimere un parere contrario, non offrendo i necessari passaggi argomentativi uniti ad una ragionata valutazione di elementi probatori eventualmente pretermessi o all’evidenziazione di aspetti cruciali non considerati dal giudice di primo grado, senza assolvere all’obbligo di motivazione rafforzata non solo il dolo era stato rilevato leggendo al contrario le risultanze probatorie, ma neppure era dato sapere a quanto ammontasse il danno erariale, da ritenersi comunque irrilevante alla luce del lavoro straordinario effettuato dal ricorrente e mai ricompensato. 1.2 Il difensore lamenta poi come la Corte di appello aveva omesso di motivare su quale incidenza aveva potuto avere, ai fini della credibilità della ricostruzione offerta dall’imputato e condivisa dal tribunale, il lungo lasso di tempo trascorso. 1.3 Il difensore osserva che la Corte territoriale era pervenuta alla conclusione che anche un importo economico sicuramente esiguo era economicamente apprezzabile, senza indicare a quanto ammontava il danno e senza considerare che le circa sei ore di cui al capo di imputazione, tenendo presente la durata del tragitto dalla barriera autostradale di omissis all’ufficio di 30 minuti per l’accusa, 15 minuti per la difesa e per il giudice di primo grado erano comunque dimezzate sul punto la Corte di appello non si pronunciava, limitandosi a parlare di meri scostamenti, senza considerare che il danno erariale si collocava ben al di sotto di 100 Euro la Corte giustificava la particolare severità nel definire apprezzabile il danno patrimoniale in base alla estrema facilità con la quale il pubblico ufficiale può aumentarsi il suo stipendio , con una illazione che andava manifestamente oltre agli elementi probatori emersi. 1.4 Il difensore eccepisce come la Corte di appello aveva ritenuto prova della colpevolezza dell’imputato la mancanza di un alibi per gli episodi rimasti in contestazione, in contrasto con l’articolo 27 della Costituzione, e affermato, contrariamente al vero, che gli scostamenti risultavano sempre in danno dell’amministrazione ed in favore dell’imputato, posto che la documentazione prodotta e i testimoni sentiti dimostravano che le ore svolte a titolo gratuito dall’imputato erano ben più numerose di quelle in contestazione non si poteva poi non convenire che la presenza di scostamenti negli orari di servizio potesse essere frutto di una mera disattenzione dell’imputato nella compilazione del registro presenze ulteriore contraddittorietà della motivazione della sentenza impugnata era costituita dall’aver negato valore alla cd. compensazione operata dal ricorrente, quanto l’episodio del 25 novembre 2011, per cui G. era stato assolto, costituiva manifesta applicazione del suddetto criterio. 1.5 n difensore eccepisce che la Corte di appello si era pronunciata per la colpevolezza di G. in violazione del principio dell’onere della prova, essendo stato provato soltanto che in determinati giorni e determinate ore G. si trovava al casello di omissis , ma neppure tale dato era certo, visto che le tessere autostradali potevano essere prestate ad altri in caso di smagnetizzazione neppure era stato provato, ogni oltre ragionevole dubbio, che l’imputato non stesse svolgendo incombenze di servizio 1.6 I difensore osserva che anche l’esclusione di una eventuale pronuncia ex articolo 131 bis cod.pen non era assolutamente adeguata e sbrigativamente ricondotta alla reiterazione del comportamento, senza un minimo di analisi degli episodi contestati, della loro durata e della loro sporadicità. 1.7 Il difensore rileva infine che la determinazione della pena e l’aumento di essa stimato in virtù del vincolo della continuazione, raddoppiata e non motivata, rappresentasse un’ulteriore lacuna della motivazione, vista anche l’omissione dell’attenuante di cui all’articolo 62 numero 4 cod.penumero . Considerato in diritto 2. Il ricorso è infondato. 2.1 Preliminarmente deve essere precisato che nel caso in esame non ricorrono i presupposti per applicare il principio di diritto affermato dalle Sezioni unite di questa Corte nelle sentenze Dasgupta e Patalano, in forza delle quali in caso di ribaltamento in appello del giudizio assolutorio, il collegio del gravame è tenuto a rinnovare l’istruttoria dibattimentale, qualora pervenga ad una valutazione della prova dichiarativa ritenuta decisiva, differente da quella compiuta dal giudice di primo grado è stato infatti precisato che Non sussiste l’obbligo di procedere alla rinnovazione della prova testimoniale decisiva per la riforma in appello dell’assoluzione, quando la deposizione è valutata in maniera del tutto identica sotto il profilo contenutistico, ma il suo significato probatorio viene diversamente apprezzato nel rapporto con le altre prove . Sez. 3, numero 19958 del 21/09/2016 - dep. 27/04/2017, Chiri, Rv. 26978201 . Nel caso in esame, l’obbligo di rinnovazione non ricorre, in quanto l’affermazione di responsabilità, in riforma della precedente pronuncia assolutoria, è fondata sulla interpretazione della apprezzabilità economica del danno erariale cagionato e sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato, e non su una valutazione del materiale probatorio diversa da quella del giudice di primo grado. Passando al merito del ricorso, questa sezione ha precisato che la falsa attestazione del pubblico dipendente circa la presenza in ufficio riportata sui cartellini marcatempo o nei fogli di presenza, è condotta fraudolenta, idonea oggettivamente ad indurre in errore l’amministrazione di appartenenza circa la presenza su luogo di lavoro e integra il reato di truffa aggravata ove il pubblico dipendente si allontani senza far risultare, mediante timbratura del cartellino o della scheda magnetica, i periodi di assenza, sempre che siano da considerare economicamente apprezzabili. Sez. 2, sentenza numero 5837 del 17/01/2013, Brignone, Rv.255201 Sez. 5, sentenza numero 8426 del 17/12/2013, Rapicano Rv.258987 si tratta di valutare quindi, quando un danno sia economicamente apprezzabile. Sul punto, la Corte territoriale ha richiamato la seconda delle sentenze di questa Corte sopra citate, nella parte in cui afferma che apprezzabile non è sinonimo di rilevante , per cui non si deve soltanto tenere conto dell’aspetto economico del danno, in quanto viene richiamato anche l’ evidente e grave tradimento del rapporto fiduciario necessariamente esistente tra il pubblico dipendente e l’Amministrazione sua datrice di lavoro pag. 7 . Trattasi di motivazione congrua e coerente, che sfugge pertanto al sindacato di legittimità si deve infatti rilevare la natura meramente fattuale delle censure proposte, in quanto con esse il ricorrente propone una mera rivalutazione del compendio probatorio, non consentita in questa sede, stante la preclusione, per il giudice di legittimità, di sovrapporre la propria valutazione delle risultanze processuali a quella compiuta nei precedenti gradi di merito, e considerato che, in tal caso, si demanderebbe alla Cassazione il compimento di una operazione estranea al giudizio di legittimità, quale è quella di reinterpretazione degli elementi di prova valutati dal giudice di merito ai fini della decisione cfr. ex plurimis, Cass., sez. VI, 22/01/2014, numero 10289 . Né può rilevare la eventuale difficoltà di una precisa quantificazione del danno, considerato che, nella specie, la relativa sussistenza ed apprezzabilità in termini economici è da reputarsi sussistente al di là di ogni ragionevole dubbio per quanto argomentato dalla Corte di appello, che ha motivato anche sulla sussistenza del dolo in capo all’imputato evidenziando la ripetitività degli errori commessi nelle annotazioni degli orari di servizi, sulla mancanza di alcuna prova in ordine alla asserita compensazione operata dall’imputato pag. 7 sentenza impugnata e sulla impossibilità di applicare la causa di non punibilità di cui al’articolo 131 bis cod.penumero . Quanto alla dosimetria della pena, la graduazione della stessa, anche in relazione agli aumenti ed alle diminuzioni previsti per le circostanze aggravanti ed attenuanti, rientra nella discrezionalità del giudice di merito, che la esercita, così come per fissare la pena base, in aderenza ai principi enunciati negli articolo 132 e 133 cod. penumero ne discende che è inammissibile la censura che, nel giudizio di cassazione, miri ad una nuova valutazione della congruità della pena la cui determinazione non sia frutto di mero arbitrio o di ragionamento illogico Sez. 5, numero 5582 del 30/09/2013 - 04/02/2014, Ferrario, Rv. 259142 , ciò che - nel caso di specie - non ricorre, visto che la Corte di appello ha evidenziato il ruolo rivestito dall’imputato ed è partita dal minimo edittale della pena prevista. 2.2 Il ricorso deve essere pertanto rigettato. Ai sensi dell’articolo 616 cod. proc. penumero , con il provvedimento che rigetta il ricorso, la parte privata che lo ha proposto deve essere condannata al pagamento delle spese del procedimento. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.