Inutile la battaglia legale portata avanti dalla lavoratrice. Per i Giudici è fondato il provvedimento con cui ella è stata messa alla porta. Impossibile, infine, il repêchage, essendo lei l’unica dipendente.
Ridotto il budget a disposizione. Legittimo, di conseguenza, il licenziamento dell’unica dipendente Corte di Cassazione, sez. VI – Lavoro, ordinanza numero 7676/21, depositata il 18 marzo . Riflettori puntati sulla disponibilità economica di uno studio odontoiatrico. Il titolare ha motivato il licenziamento della dipendente facendo riferimento alla contrazione del budget a disposizione. E questa prospettiva, ovviamente contestata dalla lavoratrice, è ritenuta corretta dai Giudici di merito, che ritengono legittimo, quindi, il provvedimento con cui la dipendente è stata messa alla porta. A chiudere la battaglia legale provvede ora la Cassazione, ritenendo privo di valore il ricorso proposto dalla lavoratrice e rendendo definitivo, quindi, il suo licenziamento. Respinta, quindi, la richiesta della donna di ottenere «il risarcimento dei danni, la reintegrazione e il pagamento delle retribuzioni maturate dal giorno del licenziamento fino al giorno del rientro in ufficio» Non in discussione, in sostanza, secondo i magistrati, «il giustificato motivo oggettivo del licenziamento» rappresentato dalla «riduzione del budget». Impossibile, poi, ipotizzare l’utilizzo dell’istituto del repêchage, poiché «la donna era l’unica dipendente dello studio odontoiatrico».
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, ordinanza 24 novembre 2020 – 18 marzo 2021, numero 7676 Presidente Doronzo – Relatore Leone Rilevato che La Corte di appello di Catanzaro con la sentenza numero 197/2018 aveva rigettato l’appello proposto da G.A. avverso la decisione con la quale il tribunale di Castrovillari aveva rigettato la sua domanda diretta ad accertare la illegittimità del licenziamento intimato per giustificato motivo oggettivo con conseguente risarcimento dei danni nonché condanna alla reintegrazione e pagamento delle retribuzioni maturate dal di del licenziamento alla reintegrazione oltre che al pagamento delle differenze retributive maturate in ragione delle mansioni svolte differenti rispetto a quelle stabilite nel contratto stipulato tra le parti . La Corte territoriale aveva ritenuto formato il giudicato implicito sulla prova della esistenza del giustificato motivo oggettivo del licenziamento consistita nella riduzione del budget aveva poi valutato non utilizzabile l’istituto del repechage poiché la Gaccione era unica dipendente dello studio odontoiatrico. Aveva infine ritenuto formato il giudicato implicito circa l’assenza delle allegazioni sulla natura delle mansioni svolte e su quelle rivendicate. Avverso detta decisione la Gaccione proponeva quattro motivi di censura cui resisteva lo Studio medico odontoiatrico Dr. P. . Veniva depositata proposta ai sensi dell’articolo 380-bis c.p.c., ritualmente comunicata alle parti unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio. Considerato che 1 Con il primo motivo è dedotta la violazione della L. numero 604/1966, articolo 2, comma 1, articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 per la mancata comunicazione del licenziamento in forma scritta e la illegittimità del licenziamento orale. La censura è inammissibile in quanto risulta essere estranea alle questioni sottoposte alla corte di appello e quindi nuova. A conferma di ciò, la stessa ricorrente, nell’elencare i motivi della impugnazione pg.2 ricorso nulla dice rispetto a tale profilo di censura anche omettendo di indicare ove fosse eventualmente contenuto ed indicato. La carenza di specificazione della attuale doglianza oltre che la errata sussunzione della stessa nel vizio denunciato, rendono la stessa inammissibile. 2 Con il secondo motivo è dedotta la violazione e falsa applicazione dell’articolo 112 c.p.c. ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 per aver il giudice di primo grado pronunciato ultra petita ovvero extra petita. La censura è inammissibile per assoluta genericità della stessa in quanto non soltanto non è esattamente indicato in essa il contenuto della denunciata ultrapetizione, ma neppure è inserita l’originaria domanda al fine di poterne valutare la corrispondenza o meno con la pronuncia resa. 3 La terza censura ha ad oggetto la violazione dell’articolo 421 c.p.c. ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 3 per non aver, il Giudice, utilizzato i poteri d’ufficio per la ricerca della verità materiale. Anche tale doglianza è affetta da genericità e carenza di specificazione poiché non contiene precise indicazioni circa le circostanze o i profili della questione posta, sui quali la corte territoriale avrebbe dovuto esercitare i poteri d’ufficio. Deve peraltro ribadirsi che tali poteri vanno comunque esercitati allorché il giudice reputi insufficienti le prove già acquisite e le risultanze di causa offrano significativi dati di indagine, il Giudice può in via eccezionale ammettere, anche d’ufficio, le prove indispensabili per la dimostrazione o la negazione di fatti costitutivi dei diritti in contestazione, sempre che tali fatti siano stati puntualmente allegati o contestati e sussistano altri mezzi istruttori, ritualmente dedotti e già acquisiti, meritevoli di approfondimento Cass.numero 7694/2018 . Tali condizioni non risultano allegate nel caso in esame. 4 Con l’ultimo motivo è denunciata la omessa insufficiente motivazione circa fatti controversi e decisivi per il giudizio ai sensi dell’articolo 360 c.p.c., comma 1, numero 5 . Il motivo è inammissibile poiché, secondo l’orientamento già espresso da questa Corte ed al quale si intende dare seguito, nell’ipotesi di doppia conforme prevista dall’articolo 348-ter c.p.c., comma 5, il ricorrente in cassazione, per evitare l’inammissibilità del motivo di cui all’articolo 360 c.p.c., numero 5, deve indicare le ragioni di fatto poste a base della decisione di primo grado e quelle poste a base della sentenza di rigetto dell’appello, dimostrando che esse sono tra loro diverse Cass. numero 26774/2016 Cass. numero 5528/2014 . Nella specie la decisione della Corte di merito, nel confermare integralmente la sentenza del Tribunale, ha condiviso la valutazione sui fatti compiuta dal giudice di prime cure. L’adesione del Giudice di appello rispetto al giudizio di fatto espletato dal Tribunale rende evidente come quest’ultimo costituisca il fondamento della decisione di rigetto dell’appello, rispetto alla quale alcuna differente e opposta allegazione, circa l’eventuale contrasto tra le decisioni, è stata invece formulata dalla ricorrente. Il motivo si appalesa quindi inammissibile. Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidate in favore del controricorrente nella misura di cui al dispositivo. Sussistono i presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, previsto dal D.P.R. 30 maggio 2002, numero 115, articolo 13, comma 1-quater, introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, numero 228, articolo 1, comma 17 legge di stabilità 2013 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso condanna la ricorrente al pagamento delle spese processuali liquidate in E 4.000,00 per compensi ed E. 200,00 per spese oltre spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge. Ai sensi del D.P.R. numero 115 del 2002, articolo 13, comma 1-quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente dell’ulteriore importo, a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso articolo 13, comma 1-bis.