Sfratto d’immobile con mutamento di destinazione d’uso il rilascio alla scadenza pattuita è legittimo se nel giudizio d’intimazione manca la corretta qualificazione della domanda.
La Corte di Cassazione ha affermato che in tema di locazione, allorché venga invocato il mutamento di destinazione d’uso dell’immobile dal locatore, che sul presupposto dell’avvenuto mutamento e della sua consapevole mancata opposizione nel termine di decadenza di tre mesi previsto dall’articolo 80 legge 392/78 ritenga applicabile al contratto il regime giuridico corrispondente all’uso diverso da quello originariamente pattuito, occorre che lo stesso, in qualità di parte interessata, proponga la domanda secondo la predetta prospettazione. Inoltre, sempre in materia di locazione – la stessa Corte - ha aggiunto che la restituzione del bene locato al termine del rapporto locatizio può essere effettuato con modalità di offerta non formale, nella misura in cui il conduttore abbia dato prova in giudizio dell’avvenuto rilascio. Nel caso di specie la Cassazione ha ritenuto assolto l’onere della prova gravante sul conduttore grazie alla dichiarazione rilasciata dalla locatrice in sede d’interrogatorio formale e vertente sull’ammissione relativa alla avvenuta offerta delle chiavi ad opera del conduttore. La fattispecie affrontata dalla Cassazione, con la sentenza numero 13189/2012 depositata il 26 luglio, tratta la fondatezza della domanda di sfratto per morosità intimata al conduttore che abbia già liberato l’immobile, nell’ipotesi in cui il bene condotto in locazione sia stato adibito ad uso diverso da quello pattuito. Il fatto. La locatrice di un immobile adibito a magazzino intimava al conduttore sfratto per morosità sostenendo la mancata corresponsione del canone di locazione da circa tre mesi. Il conduttore adduceva di aver già provveduto alla liberazione del locale alla data di scadenza della locazione mediante la riconsegna delle chiavi a soggetto terzo, affinché questi le consegnasse al proprietario. Nel giudizio di merito, instauratosi a seguito dell’opposizione del conduttore, il Tribunale, accertata la circostanza relativa alla consegna delle chiavi, aveva rigettato la domanda ritenendo la locazione risolta alla scadenza. Il giudice dell’appello confermava la sentenza di primo grado. Avverso la pronuncia proponeva ricorso per cassazione la locatrice deducendo che a seguito del mutato utilizzo dell’immobile, da magazzino a studio, al rapporto andasse applicato il differente regime della locazione per uso professionale della durata di sei anni, ai sensi dell’articolo 80 l. numero 392/1978 e che, pertanto, la unilaterale iniziativa di rilascio del conduttore non fosse sufficiente a produrre la risoluzione del rapporto. Sosteneva altresì la ricorrente che il giudice del merito non avesse motivato adeguatamente la risoluzione del rapporto di locazione prima dello scadere dei sei anni. Con differente censura la locatrice sosteneva ancora che il rilascio dell’immobile fosse avvenuto in maniera non formale per cui l’abbandono dei locali non esimeva il conduttore dalla corresponsione dei canoni maturati. Un anno di durata della locazione, senza obbligo di disdetta. Nel decidere i gravami gli Ermellini hanno ritenuto corretta la ricostruzione del rapporto operata dai giudici del merito, nella misura in cui gli stessi hanno individuato la disciplina applicabile in quella della scrittura privata sottoscritta dalle parti che stabiliva in un anno la durata della locazione, senza obbligo di disdetta. La Corte, nel decidere il ricorso, ha statuito che nell’ipotesi in cui il locatore invochi il mutamento d’uso della cosa finalizzato alla trasformazione della durata del contratto ove questi non si sia opposto, ai sensi dell’articolo 80 l. numero 392/78 nel termine di tre mesi è necessario che questi ne faccia espressa prospettazione nel giudizio di primo grado. Questo in simmetria a quanto stabilito dalla giurisprudenza in caso di mutamento di destinazione d’uso della cosa locata, ove il decorso del termine trimestrale di decadenza, per mancato esercizio dell’azione di risoluzione da parte del locatore, non può essere rilevato d’ufficio ma deve essere espressamente eccepito dal conduttore Cass. civ., numero 17006/2011 e Cass. civ., numero 14765/2007 . In effetti, nel caso di specie, la locatrice, nel giudizio di primo grado, non aveva dedotto di agire per la risoluzione del contratto, essendosi semplicemente limitata a sostenere che la consegna delle chiavi non fosse stata eseguita in maniera valida nei suoi confronti il tutto, a suo dire, con conseguente protrarsi della locazione per l’ulteriore durata di un anno. Pertanto, a giusta ragione, il giudice del merito e quello dell’appello avevano ritenuto che la domanda della locatrice doveva essere proposta attraverso una differente qualificazione giuridica del rapporto locatizio, essendo ciò rilevante ai fini dell’ammissibilità della proposta azione di risoluzione per morosità. Rilascio dell’immobile in maniera non formale. Con gli ulteriori motivi di gravame, trattati dalla Corte congiuntamente, la locatrice ha sostenuto che il rilascio dell’immobile fosse avvenuto in maniera non formale, ragion per cui, essendo stati abbandonati i locali non era venuto meno l’obbligo del conduttore di corrispondere i canoni successivi maturati. Su tale punto la Cassazione ritiene dirimente la circostanza per cui la locatrice qualche giorno dopo il rilascio delle chiavi al terzo, unitamente al conduttore, si recò presso il locale per verificarne lo stato d’uso in quell’occasione le vennero offerte le chiavi, così come la stessa locatrice aveva confessato in sede d’interrogatorio formale. In questa direzione la Cassazione avalla l’orientamento consolidato della giurisprudenza di legittimità la quale ritiene che la restituzione del bene locato, al termine del rapporto locativo, ben può essere effettuata con modalità aventi valore di offerta non formale Cass. civ. 7776/2004 e Cass. civ. 6090/2002 , nella misura in cui il conduttore abbia dato prova in giudizio dell’avvenuto rilascio.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 19 aprile – 26 luglio 2012, numero 13189 Presidente Trifone – Relatore D’amico Svolgimento del processo E P. , con atto di citazione per convalida dinanzi al tribunale di Lucca, intimava a N M. , conduttore di locali di sua proprietà, sfratto per morosità, esponendo che non le era stato corrisposto da circa tre mesi il canone mensile di Euro 236,41. L'intimato, opponendosi, assumeva di aver già lasciato l'immobile libero dal 31 maggio 2006 data di scadenza della locazione , avendone affidato le chiavi al terzo D. , perché le consegnasse alla locatrice. A seguito del giudizio di merito, conseguente all'esaurimento del procedimento speciale per convalida, il tribunale di Lucca rigettava la domanda. Considerava il tribunale che, avendo il teste D. dichiarato che aveva ricevuto la consegna delle chiavi del locale dal conduttore M. il giorno 30 maggio 2006 e che insieme avevano anche visitato l'immobile per constatarne le condizioni, non era fondata la domanda per la morosità successiva a tale data essendosi la locazione risolta alla scadenza. Sul gravame della soccombente la Corte d'appello di Firenze, con la sentenza quivi denunciata, confermava la sentenza del tribunale, ribadendo che la richiesta risoluzione della locazione per morosità non poteva essere accolta perché alla data del 31 maggio 2006, essendo il contratto già cessato, il conduttore M. non occupava più il fondo, avendone anche rimesso le chiavi nella disponibilità della locatrice. Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso P.E. con otto motivi. Ha resistito con controricorso N M. , che ha presentato anche memoria. Motivi della decisione Con i primi quattro motivi del ricorso, che per la loro stretta connessione devono essere congiuntamente esaminati, P.E. denuncia 1 vizio di cui all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli articolo 1587, 1590, 1591, 1216 e 1220 cod. civ. in relazione anche agli articolo 27, 79 e 80 L. 27.07.1978 numero 392 2 vizio di cui all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 e 2729 cod. civ. 3 vizio di cui all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli articolo 5 in relazione anche all'articolo 658 cod. proc. civ. , 27, 79 e 80 della L. 27.07.1978 numero 392 4 vizio di cui all'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. La ricorrente sostiene che, rispetto al contratto di locazione della durata fissata in un anno e per l'uso previsto di magazzino e ripostiglio, il conduttore avrebbe mutato la originaria destinazione in quella diversa di studio professionale, come da sua missiva in data 21 ottobre 2003, con la conseguenza che, dovendosi applicare al rapporto, ai sensi dell'articolo 80 della legge numero 392 del 1978, il diverso regime della locazione ad uso professionale, avente la durata di sei anni a decorrere dall'intervenuto mutamento dell'uso pattuito, la unilaterale iniziativa del conduttore di rilasciare l'immobile prima della suddetta protratta scadenza, neppure tacitamente accettata da essa ricorrente locatrice, non poteva produrre l'effetto risolutivo del rapporto. Assume, altresì, che la Corte d'appello di Firenze avrebbe operato un'inversione dell'onere della prova col ritenere che dovesse essere la locatrice a giustificare i motivi per i quali non aveva accettato la consegna delle chiavi, dato che spettava, invece, al conduttore dimostrare che il contratto era cessato prima della scadenza suddetta. Aggiunge, poi, che il giudice del merito avrebbe motivato in modo insufficiente e contraddittorio sull'avvenuta risoluzione della locazione prima della scadenza dei sei anni. I motivi, per i quali ratione temporis non era richiesta la formulazione del quesito di diritto ex articolo 366 bis cod. proc. civ., non possono essere accolti. I giudici dell'appello hanno ritenuto che, per la locazione intercorsa tra le parti, non era prevista alcuna disdetta né alcun termine di preavviso e, in tal modo, implicitamente hanno stabilito che la disciplina applicabile al rapporto era quella prevista dalle parti con scrittura privata della locazione di immobili ad uso di magazzino e ripostiglio della durata di un anno e senza obbligo di disdetta alcuna da ambo le parti, affermando, quindi, che, essendo il contratto pervenuto alla sua scadenza in data 31 maggio 2006, il conduttore, che aveva messo a diposizione della P. i locali, non doveva più corrispondere il canone, sicché l'azione di risoluzione proposta nei suoi confronti doveva essere rigettata. In questa sede di legittimità sostiene, tuttavia, la ricorrente locatrice che il giudice del merito avrebbe dovuto, invece, ritenere che, per effetto del mutato d'uso dei locali all'esercizio della attività professionale del conduttore, prima della scadenza dei sei anni dall'avvenuta diversa destinazione, il M. , il quale neppure si era avvalso della facoltà di recesso per giustificati motivi, non avrebbe potuto considerare risolta anzitempo la locazione, ma avrebbe dovuto continuare a corrispondere il canone, obbligazione dalla quale non sarebbe valso ad esimerlo l'eventuale abbandono dei locali nella disponibilità di E P. . Questo giudice di legittimità - con riferimento all'ipotesi in cui sia il conduttore che, nell'inerzia del locatore, voglia avvalersi del diverso regime giuridico della locazione conforme all'uso mutato - ha già stabilito Cass., numero 14765/2007 Cass., numero 17005/2011 che, in caso di mutamento di destinazione d'uso della cosa locata, il decorso del termine di decadenza, di cui all'articolo 80 legge 392/78 per mancato esercizio da parte del locatore dell'azione di risoluzione del contratto entro tre mesi dall'avvenuta conoscenza, non è rilevabile d'ufficio dal giudice, dovendo la parte interessata, nel sollevare l'eccezione, manifestare chiaramente la volontà di avvalersi dell'effetto estintivo dell'altrui pretesa, ricollegato dalla legge al decorso di un certo termine. Allo stesso modo deve ritenersi che, quando ad invocare gli effetti di un mutamento dr uso sia il locatore - che, sul presupposto dell'avvenuto mutamento e della consapevole sua non opposizione nel termine di tre mesi, ritenga così applicabile al contratto il regime giuridico corrispondente all'uso diverso da quello originariamente pattuito - analogamente occorra, essendo egli la parte a ciò interessata, che la domanda sia introdotta secondo la suddetta prospettazione e senza che lo stesso incorra in ipotesi di preclusione o di decadenza. Orbene, nel caso in esame, nel giudizio di primo grado la locatrice P. non aveva affatto enunciato che ella agiva per la risoluzione del contratto relativo ai locali che sarebbero stati successivamente destinati dal conduttore alla sua attività professionale, ma aveva soltanto dedotto che l'avvenuta consegna delle chiavi non sarebbe stata mai effettuata con effetto valido nei suoi confronti, per cui la locazione, pur dopo la scadenza del 31 maggio 2006, doveva ritenersi protratta ai sensi della disciplina generale di cui all'articolo 1597 cod. civ. alle stesse condizioni e per l'uguale durata di un anno, essendo il conduttore rimasto nella detenzione dei locali, ivi lasciato dalla locatrice. Con il gravame la stessa locatrice non aveva devoluto e, comunque, la ricorrente neppure si fa carico di indicare dove o quando la censura risulta essere proposta al giudice dell'appello la questione della diversa qualificazione giuridica della locazione e della rilevanza di essa ai fini dell'ammissibilità della proposta azione di risoluzione per morosità. Ne consegue che trattasi, in questa sede, di thema decidendum non prima proposto e, quindi, non esaminabile in questa sede. La mancata devoluzione della questione con l'appello, pertanto, esimeva anche la Corte territoriale dal motivare circa la diversa qualificazione della locazione, non potendo il giudice di secondo grado procedere d'ufficio, allo stesso modo come d'ufficio il tema non doveva essere affrontato in primo grado. Resta, quindi, assorbita la censura relativa alla pretesa violazione della disciplina inderogabile prevista per le locazioni ad uso professionale dalle norme di cui agli articolo 27, 70 e 80 della legge numero 392 del 1978 ed è corretta l'impugnata sentenza laddove - con implicito chiaro riferimento ad eventuali pretese della locatrice ai sensi dell'articolo 1591 cod. civ. - ha osservato la P. avrebbe dovuto avanzare domanda diversa dalla proposta azione di risoluzione della locazione per la morosità del conduttore. L'ulteriore conseguenza dell'accertata cessazione del contratto alla scadenza del 31 maggio 2006 è che, circa l'avvenuto rilascio dei locali alla P. , era onere della locatrice giustificare i motivi per i quali riteneva di non dovere accettare la consegna delle chiavi. Con il quinto, sesto, settimo ed ottavo motivo la ricorrente rispettivamente denuncia 5 vizio di cui all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli articolo 1587, 1590, 1591, 1216 e 1220 cod. civ., sotto altro profilo 6 vizio di cui all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli articolo 1587, 1590, 1591, 1216 e 1220 cod. civ., sotto primo profilo 7 vizio di cui all'articolo 360 numero 3 cod. proc. civ. violazione e falsa applicazione degli articolo 2697 e 2729 cod. civ. anche in relazione agli articolo 1175 e 1375 cod. civ. sotto altro profilo 8 vizio di cui all'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ. per motivazione insufficiente e contraddittoria circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio. Sostiene che il rilascio dell'immobile era avvenuto in modo non formale il conduttore aveva abbandonato i locali e, quindi, era obbligato a pagare il canone il giorno 8 giugno 2006 essa locatrice non aveva ritirato le chiavi, rimaste ancora per due anni presso il D. la Corte d'appello di Firenze, non tenendo conto del fatto che sarebbe stata necessaria per il conduttore un'offerta ai sensi dell'articolo 1216 cod. civ., aveva erroneamente posto a suo carico l'onere probatorio di non aver ricevuto una valida consegna del bene, dato che l'offerta di rilascio dell'immobile, avvenuta in modo non formale, non poteva essere ritenuta idonea a liberare il conduttore dalla sua obbligazione di pagamento del canone. Anche dette censure, che vanno esaminate congiuntamente in quanto strettamente connesse, non sono fondate. La sentenza impugnata ha chiarito che il giorno 8 giugno 2006 P.E. e N M. si recarono insieme a visitare l'immobile per constatarne le condizioni e, nell'occasione, alla proprietaria vennero offerte le chiavi, siccome la locatrice stessa aveva ammesso in sede di interrogatorio formale. In tale situazione il giudice del merito ha ravvisato una vera e propria offerta non formale, in virtù della quale il conduttore N M. veniva ad essere esentato da ogni altra sua obbligazione, restitutoria o risarcitoria , che la legge collega all'ingiustificato rifiuto di rilasciare la res locata . Correttamente, pertanto, la Corte di merito ha riconosciuto che il conduttore aveva assolto l'onere della prova relativo all'avvenuto rilascio, così uniformandosi anche alla regola di diritto a mente della quale la restituzione del bene locato al termine del rapporto locativo quale ne sia stata la causa della cessazione può essere effettuato con modalità aventi valore di offerta non formale Cass., numero 7776/2004 Cass., numero 6090/2002 . Il ricorso, perciò, è rigettato e la soccombente ricorrente è condannata a pagare le spese del giudizio di cassazione, liquidate nella misura di cui al dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente alle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 2.500,00 duemilacinquecento/00 , di cui Euro 2.300,00 duemilatrecento/00 per onorari, oltre rimborso forfettario delle spese generali ed accessori come per legge.