Difficoltà economiche: da ostacolo superabile ad alibi. Adottabilità per tutelare il minore

Confermata la scelta di ‘staccare’ il ragazzo dal proprio nucleo familiare. Decisione difficile, ma giustificata dalla constatazione della necessità di un contesto che ne favorisca lo sviluppo psico-fisico. Non regge l’ipotesi, sostenuta dalla coppia di genitori, che lo stato di abbandono sia legato a doppio filo coll’indigenza economica familiare.

Precarie condizioni economiche famiglia in difficoltà, ma a subirne le conseguenze, sulla propria pelle, è soprattutto il figlio minore. Ecco perché è praticabile l’extrema ratio della dichiarazione dello stato di adottabilità. Soprattutto se lo status di indigenza si rivela per nulla transitorio, nonostante il ‘sostegno’ offerto dal settore ‘Servizi sociali’ del Comune. Cassazione, sentenza numero 17096, Prima sezione Civile, depositata oggi Rottura necessaria. Si può parlare, a ragion veduta, di extrema ratio, perché la scelta dello «stato di adottabilità» – condivisa sia dal Tribunale per i minorenni che dalla Corte d’Appello – di un ragazzo di neanche 10 anni è considerata, alla fine di un lungo percorso, come l’unico strumento per salvaguardare lo «sviluppo psico-fisico» del minore. Ciò alla luce dei vani tentativi di un «recupero del rapporto e delle condizioni di vita familiari» e, soprattutto, dello stato di «indigenza economica» della famiglia, oltre che delle inadeguate «capacità genitoriali» della madre e del padre. Da questo quadro, secondo i giudici, è doveroso dedurre lo «stato di abbandono» del minore. Tempi rapidi. Netta la contrarietà espressa dai due genitori, i quali – con ricorso ad hoc in Cassazione – battono soprattutto sul tasto della «indigenza economica di tutto il nucleo familiare» come elemento da tenere ben presente prima di valutare il presunto «abbandono» del minore. A corredo di questa visione, peraltro, vengono anche richiamati «l’esperimento di un progetto di recupero del rapporto e delle condizioni familiari l’ipotesi dell’affidamento familiare alle figure dei nonni paterni e della zia paterna il contesto familiare e parentale». Queste osservazioni, però, non modificano minimamente la situazione rispetto ai precedenti gradi di giudizio. Per i giudici di Cassazione, difatti, in premessa, è «accertata la incapacità genitoriale» di madre e padre e «la mancanza di nuclei parentali idonei a sostenere la coppia». Allo stesso modo, per quanto concerne le difficoltà economiche lamentate dall’uomo e dalla donna, sono state anche adottate, tramite il settore ‘Servizi sociali’, «fattive e durevoli iniziative per farvi fronte», ma tale ostacolo non si è affatto rivelato «transitorio», e quindi superabile. Ciò significa, concludono i giudici, che, ragionando nell’ottica dell’«interesse del bambino», quest’ultimo ha «necessità di una situazione familiare» capace di fornirgli «accadimento, affetto e sostegno psicologico, in modo stabile, certo ed in tempi rapidi». Per questo motivo, è lecito il ricorso allo «stato di adottabilità», non potendosi più temporeggiare «in attesa di un futuro ed eventuale stabile recupero di una sufficiente idoneità genitoriale», che, sottolineano i giudici, non era stato raggiunto nonostante «anni di importanti e costanti interventi», anche economici, del settore ‘Servizi sociali’.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, sentenza 20 giugno - 10 luglio 2013, numero 17096 Presidente Petti – Relatore Di Marzio Svolgimento del processo Con sentenza numero 68 del 17.10.2011 il Tribunale per i Minorenni di Cagliari dichiarava lo stato di adottabilità di S.G., nato il 14.03.2004, figlio di R.P. e G.G Con sentenza del 19-30.07. 2012 la Corte di appello di Cagliari respingeva l’appello proposto dal G. e dalla P. compensando integralmente fra le parti le spese del giudizio. Avverso questa sentenza il G. e la P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato ad un motivo e notificato il 12.10.2012 al PG presso il giudice a quo ed il 12 15.10.2012 all’avv.to Maria Vitalia Anedda, curatore speciale del minore, che non hanno svolto attività difensiva. Motivi della decisione A sostegno del ricorso il G. e la P. denunziano “Violazione e falsa applicazione degli artt.1 e 8 della legge numero 184/1983 e degli articolo 29 e 30 Cost., omessa c/o insufficiente motivazione anche per erroneità di presupposti in fatto”. Sostengono che l’impugnata sentenza si fonda su presupposti erronei e carenti argomentazioni a fronte anche del fatto che il procedimento è stato più volte sospeso onde consentire l’esperimento di un progetto di recupero del rapporto e delle condizioni di vita familiari e si dolgono in particolare sia del fatto che in nessun modo sia stata presa in considerazione e quindi esplorata e sviluppata l’ipotesi dell’affidamento familiare ai parenti di S. e specificamente alle importanti figure di riferimento dei nonni paterni, C.G. e R.M. e della zia paterna, P.D.G., e così omessa ogni valutazione circa il contesto familiare e parentale, in violazione del disposto dell’articolo 8 della Legge numero 184/1983, sia che l’assunta situazione di abbandono non sia stata ricondotta a forza maggiore, tenendo in debito conto l’indigenza economica di tutto il nucleo familiare e quindi la generale situazione di bisogno del medesimo e sia ancora che sia stata omessa ogni valutazione di tutti quei dati di sofferenza traumatica evidenziati nel minore e riconducibili, come anche riportato in sede di CIU, ai ripetuti distacchi emotivi. Il ricorso in relazione ai vari articolati profili non merita favorevole apprezzamento, risolvendosi in infondate o inammissibili censure, anche implicanti rilievi critici generici e privi di decisivi riscontri o smentiti dal contenuto dell’impugnata sentenza, da cui anche emerge puntualmente accertata oltre alla incapacità genitoriale dei ricorrenti, 1a mancanza di nuclei parentali idonei a sostenere la coppia genitoriale o a vicariarla pag. 8 , sicché non risulta nemmeno trascurata l’indagine sulla reperibilità di familiari atti a svolgere tali funzioni, pure a fronte della riscontrato periodo di convivenza, della medesima coppia con i familiari di G.G. D’altra parte nel ricorso non è stata nemmeno allegata l’esistenza di rapporti significativi del minore con i nonni e la zia paterna, tipologia di rapporto il cui mantenimento condiziona l’assunzione di dette funzioni, ai sensi dell’articolo 12 della legge numero 184 del 1983. Quanto poi alle condizioni di indigenza dei genitori del minore, risulta che sono state adottate fattive e durevoli iniziative per farvi fronte, tramite i servizi sociali, e che non sono state giustamente articolo 1 comma 2 legge numero 184 del 1983 valutate come di ostacolo all’esercizio del diritto del minore stesso alla propria famiglia. Giova inoltre ricordare che lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità ricorre allorquando i genitori non sono in grado di assicurare al minore quel minimo di cure materiali, calore affettivo, aiuto psicologico indispensabile per lo sviluppo e la formazione della sua personalità e la situazione non sia dovuta a forza maggiore di carattere transitorio, tale essendo quella inidonea per la sua durata a pregiudicare il corretto sviluppo psico-fisico del minore, secondo una valutazione che, involgendo un accertamento di fatto, spetta al giudice di merito ed è incensurabile in cassazione, se adeguatamente motivata. Dunque, lo stato di abbandono che giustifica la dichiarazione di adottabilità non ricorre qualora sussista una causa di forza maggiore, cioè un ostacolo esterno posto dalla natura, dall’ambiente, da un terzo che s’impone alla volontà del genitore e che il legislatore del 1983, innovando rispetto alla disciplina del 1967, ha qualificato come “transitorio”, alla luce del preminente interesse del minore, sicché tale transitorietà deve essere necessariamente correlata al tempo di sviluppo compiuto e armonico del minore stesso, evenienza nella specie non evincibile. Nel complesso l’avversata conclusione appare frutto di verifiche e valutazioni ineccepibilmente aderenti alle regole normative, adeguatamente motivate e suffragate dalle risultanze del lungo iter giudiziario, attivato il 22 marzo 2006 dal PM minorile e richiamato nei vari e salienti passi, articolatisi pure in indagini mediche ufficiose d’indole psicologica e psichiatrica e nel monitorato utilizzo di strutture e mezzi pubblici di aiuto e sostegno anche economico al nucleo familiare e non solo al minore, da ultimo inserito in comunità, con effetti rivelatisi per lui positivi, risultanze che hanno conclusivamente ed irreprensibilmente portato i giuridici d’appello ad affermare nel preminente interesse del bambino stesso, che egli aveva necessità di una situazione familiare, che gli potesse assicurare accudimento, affetto e sostegno psicologico, in modo stabile, certo ed in tempi rapidi, stanti anche le risorse di recupero che aveva evidenziato nel breve periodo in cui era stato inserito in Comunità e considerato pure che era risultato affetto da un lieve deficit cognitivo, per cui esigeva particolari cure ed attenzioni. A fronte delle emerse risultanze i giudici di merito hanno, pertanto, argomentatamene e logicamente affermato che le esigenze del bambino e i tempi che tali esigenze comportavano non consentivano di procrastinare oltre la procedura in attesa di un futuro ed eventuale stabile recupero di una sufficiente idoneità genitoriale, al quale non avevano condotto neppure anni di importanti e costanti interventi dei servizi pubblici. Conclusivamente il ricorso deve essere respinto. Non deve statuirsi sulle spese del giudizio di legittimità, atteso il relativo esito ed il mancato svolgimento di attività difensiva da parte degli intimati. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso.