Primario offende il medico del reparto. Ma la mancata comunicazione dell’operazione costituisce una provocazione: azzerata l’ipotesi della diffamazione

La pressione di una paziente, in attesa da ore di un intervento, scatena la reazione del primario, che apostrofa malamente il medico che aveva autorizzato ricovero e operazione, saltando però un passaggio la necessaria comunicazione allo stesso primario. Che subisce l’accusa di diffamazione ma si salva proprio grazie all’omissione del medico, omissione valutata come provocazione.

Corsia ospedaliera la paziente, in attesa da ore di essere operata, chiede, con insistenza, lumi al primario, che addebita il ritardo alla incapacità del medico del reparto, il quale aveva predisposto il ricovero e l’intervento, senza comunicarglielo tempestivamente. A colpire, però, è la reazione del primario parlando con la paziente, difatti, egli spiega che il medico è «fuori di testa». Parole diffamatorie? Assolutamente sì, nonostante il gergo odierno sempre più aggressivo. Ma le azioni del medico del reparto, ossia la mancata comunicazione al primario, vanno valutate come una provocazione, che ‘salva’ il primario Cassazione, sentenza numero 29080, Quinta sezione Penale, depositata il 18 luglio 2012 . Operazione ‘congelata’. «È fuori di testa!», così il primario dell’ospedale apostrofa il medico del reparto. Parole durissime, utilizzate in occasione di un colloquio con una paziente rimasta in attesa per ore di un intervento, programmato ma ancora non realizzato. Nodo gordiano è, secondo il primario, la scarsa organizzazione nel contesto dell’ospedale il medico del reparto «aveva predisposto il ricovero e l’intervento», senza però dargliene comunicazione. Nonostante la situazione di tensione, legata anche alle legittime preoccupazioni della paziente, però, il primario viene condannato, sia in primo che in secondo grado, per diffamazione. Omissione provocatoria. Eccessivo il pugno duro della giustizia, secondo il primario, che, tramite il proprio legale, propone ricorso per cassazione, chiedendo una rivisitazione della vicenda. Diversi i punti posti in discussione primo, la veridicità delle parole attribuitegli secondo, la potenzialità diffamatoria della frase «È fuori di testa!» terzo, la mancata considerazione della tensione e dello stato d’ira vissuti dal primario, alla luce delle rimostranze manifestate dalla paziente e dai parenti e, soprattutto, della omessa comunicazione da parte del medico. Evidente, per i giudici, la necessità di valutare con grande attenzione l’episodio. E in questa ottica nessun dubbio è ammissibile sulla frase pronunciata dal primario – anche tenendo presente la reazione della paziente, preoccupata per lo scarso feeling tra medico e primario –, così come, nonostante il «linguaggio più disinvolto ed aggressivo oggi in uso rispetto al passato», l’espressione «È fuori di testa!» ha evidentemente portata offensiva, soprattutto se legata al rapporto primario-medico e collocata in un contesto ospedaliero. Unica visione accettabile, rispetto al ragionamento del legale, è quella dell’esimente della provocazione. I giudici evidenziano che, alla luce della «tempistica della vicenda» e del «carattere non urgente dell’intervento», l’operazione «doveva essere comunicata al primario» ebbene, «il mancato adempimento di tale obbligo», da parte del medico, è catalogabile come «fatto ingiusto» che giustifica «il riconoscimento della provocazione». Per una ragione semplicissima l’espressione, «irriverente», «fu pronunciata» in uno stato d’ira «derivante», a seguito dalle rimostranze della paziente e dei parenti , «dalla inattesa scoperta della programmata esecuzione», a insaputa del primario, dell’«intervento», con «conseguente necessità di far fronte alla situazione, foriera di danno all’immagine» del professionista e della struttura. Per questo, il primario viene ritenuto «non punibile» per l’accusa di diffamazione.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 giugno – 18 luglio 2012, numero 29080 Presidente Teresi – Relatore Lapalorcia Ritenuto in fatto 1. P.G. ricorre, per il tramite del difensore avv. F.D., avverso la sentenza del Tribunale di Montepulciano in data 7-2-2011, che, confermando quella del Giudice di pace della stessa città del 7-6-2010, lo aveva ritenuto responsabile del reato di diffamazione in danno di L.C. In breve, il fatto l’imputato, primario del reparto di ginecologia dell’ospedale di Nottola, parlando con la paziente M.G. che, in attesa dalla mattina di essere sottoposta ad intervento chirurgico, alle 16 del 12-10-2006 gli aveva chiesto quando sarebbe stata operata, aveva risposto, riferendosi al medico del reparto dr. C. - il quale, di turno durante la notte precedente, aveva predisposto il ricovero e l’intervento -, “queste cose le fa solo lui questo è fuori di testa.” 2. Il ricorso è articolato in cinque motivi. 2.1. La prima doglianza è di violazione di legge e mancanza di motivazione in ordine all’esatta formulazione dell’espressione di cui al capo d’imputazione, che poteva essere stata nel senso che al C. “era uscito di testa” di comunicare al primario la programmazione dell’intervento, piuttosto che nel senso che fosse lui ad essere uscito di testa, non potendo escludersi, oltre ogni ragionevole dubbio, che la G. avesse male interpretato la frase nello stato di concitazione in cui si trovava durante lo scambio di battute con il primario. 2.2. Gli stessi vizi erano dedotti, con il secondo motivo, in ordine alla ritenuta portata offensiva della frase “è fuori di testa”, per contro priva di attitudine ad offendere alla luce del linguaggio più disinvolto ed aggressivo oggi in uso manifesta infondatezza , mentre l’offensività non poteva essere desunta, a differenza da quanto fatto in sentenza, dalla reazione della G., dovuta alla notizia che l’intervento non era qualificabile come urgente, piuttosto che dalla considerazione sul collega esternata dal primario. 2.3. Violazione di legge e vizio di motivazione per mancata considerazione di un punto decisivo erano dedotti, con il terzo motivo, in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione. La sentenza impugnata non aveva tenuto conto, sotto il profilo della sussistenza del fatto ingiusto, che lo stesso dr. C. aveva ammesso che, non essendo l’intervento alla G. qualificabile come urgente anche se ex post si era rivelato tale, venendo la paziente operata in serata , era necessario, per prassi ospedaliera, informarne il primario, il che egli non aveva fatto anche se quella mattina era uscito dall’ospedale un’ora dopo l’ingresso del G. Quanto allo stato d’ira, il tribunale aveva trascurato che il prevenuto, ignorando l’avvenuto ricovero molte ore prima e la programmazione dell’intervento, era stato attaccato dalle proteste della G. e dei familiari che minacciavano l’abbandono dell’ospedale e che in seguito avrebbero presentato un esposto. 2.4. Violazione di legge e vizio motivazionale erario dedotti con il quarto motivo in ordine al mancato riconoscimento dell’esimente putativa, con il quinto in ordine alla sussistenza dell’elemento soggettivo, per non essersi considerato che, anche a non ritenere lo stato d’ira, la condotta dell’imputato era al più colposa G. aveva percepito come ingiusta e dannosa l’omissione del C. , rilievo che, oggetto dei motivi di appello, era stato ignorato dal tribunale. Considerato in diritto 1. Il ricorso è fondato nei limiti e per le ragioni che seguono. 2. I primi due motivi di ricorso sono privi di fondatezza. 2.1. Il primo, reiterando questione affrontata e motivatamente risolta nella sentenza impugnata, pretende di riproporre la tesi del ragionevole dubbio circa l’interpretazione della frase pronunciata dal prevenuto che potrebbe essere nel senso che al dr. C. “era uscito di testa” di comunicargli la programmazione dell’intervento, piuttosto che nel senso che fosse lui ad essere “uscito di testa” , a fronte dei granitici argomenti espressi dai giudici di merito, i quali hanno evidenziato, da un lato, come il secondo senso della frase fosse avvalorato dalle deposizioni dei testi G. e M. - che avevano sottolineato come il concetto fosse stato ribadito dal G. per due volte -, dall’altro come anche l’imputato nel suo esame, dopo aver tentato di stravolgere il senso della frase, avesse infine ammesso di averla pronunciata in quei termini. Senza contare che, come pure osservato in sentenza, la reazione stessa della G., la quale, nel reclamo successivamente presentato contro l’operato dei medici, aveva riferito di essere stata assalita da dubbi, ansie ed angosce, per il venir meno della fiducia nel dr. C. al quale si era affidata, deponeva indiscutibilmente nel senso che il primario dell reparto avesse definito il collega “fuori di testa”, in quanto la reazione della donna sarebbe stata ingiustificata se il G. gli avesse attribuito soltanto una dimenticanza. 2.2. Del pari infondato il secondo motivo, essendo da escludere, pur tenuto conto del linguaggio più disinvolto ed aggressivo oggi in uso rispetto al passato, che l’espressione “è fuori di testa” sia priva di attitudine ad offendere. Secondo costante indirizzo giurisprudenziale di legittimità, al fine di accertare se sia stato leso il bene protetto, è necessario fare riferimento, ferma restando l’esistenza di limiti invalicabili, posti dall’articolo 2 Cost., a tutela della dignità umana, ad un criterio di media convenzionale in rapporto alla personalità dell’offeso e dell’offensore ed al contesto sociale ed ambientale nel quale la frase ingiuriosa è stata pronunciata Cass. 11632/2008, Rv. 239479 . Il giudice di appello ha fatto buon governo di tali principi laddove, con apprezzamento in concreto delle espressioni utilizzate dal G., tenendo conto del rapporto tra primario e medico ospedaliero e del contesto della vicenda l’imputato si rivolgeva ad una ricoverata , nonchè valorizzando anche la reazione emotiva della G. e dei suoi familiari dovuta alla scoperta che il primario non stimava il dr. Conte, piuttosto che alla qualificabilità come urgente o meno dell’intervento , ha argomentato la portata offensiva di esse sul rilievo che il primario metteva in discussione la competenza di un sanitario di quel nosocomio. 2.3. Sono invece fondate le doglianze di cui al terzo motivo, inerenti al mancato riconoscimento dell’esimente della provocazione. Invero la tempistica della vicenda - visita della G. da parte del dr. C. il 10-10-2006, slittamento del ricovero e dell’intervento al giorno 12 su richiesta della donna, esecuzione dell’intervento alle 19,15 del 12 - depone per il carattere non urgente dell’intervento stesso, la cui programmazione, dunque, per accertata prassi dell’ospedale, doveva essere comunicata ai primario. Il mancato adempimento di tale obbligo da parte della p.o., è quindi idoneo ad integrare, a differenza da quanto ritenuto in sentenza che ha considerato tale obbligo sostanzialmente assolto attraverso la comunicazione al medico subentrante al C., dr. P., senza considerare che l’intervento era stato già previsto il giorno 10 il fatto ingiusto che giustifica il riconoscimento della provocazione. E’ infatti evidente che l’irriverente espressione nei confronti del collega, fu pronunciata dal G. nel subitaneo stato d’ira derivante, a seguito delle rimostranze della G. e dei familiari in attesa fin dalle prime ore del mattino, dalla inattesa scoperta, alle ore 16 del giorno 12, della programmata esecuzione, a sua insaputa, di un intervento ulteriore per quella giornata, con conseguente necessità di far fronte alla situazione, foriera del danno all’immagine sua e del reparto non a caso la G. avrebbe in seguito presentato un reclamo contro l’operato dai medici . 3. Il riconoscimento della esimente determina l’annullamento senza rinvio della sentenza, restando assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata per essere l’imputato non punibile ai sensi dell’articolo 599, comma secondo, cod. penumero