Tablet utilizzato per pedopornografia: sequestrabile dovunque

È possibile il sequestro di beni trovati in casa di una persona estranea alle indagini, se questi sono stati utilizzati come strumenti del reato.

Lo afferma la Corte di Cassazione nella sentenza numero 21759, depositata il 28 maggio 2014. Il caso. Il pm presso il tribunale di Catanzaro convalidava il sequestro probatorio di un notebook e di un tablet, effettuato durante una perquisizione della polizia nel procedimento nei confronti di un indagato per il tentato delitto di pornografia minorile, ai sensi dell’articolo 600-ter c.p I beni venivano rinvenuti non nell’appartamento dell’indagato, ma in quello adiacente, di proprietà di un suo parente. Quest’ultimo ricorreva in Cassazione, da una parte, lamentando, l’impossibilità di condanna per il mero tentativo di pornografia minorile, in quanto logicamente impossibile, e, dall’altra, contestando il sequestro messo in atto nei confronti di una persona non indagata per il reato. Analizzando la domanda, la Corte di Cassazione ripercorreva gli eventi svoltisi una minore era stata contattata da una presunta donna che, dopo averle prospettato l’ingresso nel mondo della moda, le aveva chiesto di spogliarsi in webcam. La ragazza aveva, quindi, interrotto la conversazione ed informato la madre. Strumenti del reato. La polizia era poi risalita alla casella di posta ed all’utenza di telefonia mobile intestata all’imputato e procedeva al sequestro. Non si ravvisavano violazioni, in quanto era stato accertato senza dubbi che l’utenza telefonica e la casella di posta venivano utilizzati dall’indagato. La circostanza che il ricorrente non fosse il soggetto indagato e non avesse la disponibilità dei beni sequestrati era priva di rilievo, considerando il collegamento significativo ed univoco tra l’appartamento oggetto di perquisizione e la condotta astrattamente ipotizzata. Una conferma ulteriore derivava dal fatto che la stessa linea telefonica veniva utilizzata da entrambi gli appartamenti. Tentativo configurabile. Per quanto riguardava la possibilità di tentativo del reato, nel caso di specie, la condotta tenuta dall’imputato mirava alla produzione di materiale pedopornografico potenzialmente destinato a terzi. L’unico motivo, per cui questo scopo non era stato conseguito, era dovuto all’interruzione del contatto da parte della minore. Di conseguenza, era perfettamente configurabile la forma del tentativo per il reato di pornografia minorile. Per questi motivi, la Corte di Cassazione rigettava il ricorso.

Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 5 marzo – 28 maggio 2014, numero 21759 Presidente Mannino – Relatore Gazzara Ritenuto in fatto In data 5/7/2013, il P.M. presso il Tribunale di Catanzaro, convalidava il sequestro probatorio di un notebook e un tablet, eseguito dalla Polizia delle Comunicazioni Calabria , a seguito di perquisizione effettuata dai medesimi agenti, nel procedimento che vede G.F.A. , indagato del reato ex articolo 56-600 ter cod.penumero . I beni sottoposti a vincolo venivano rinvenuti non nell'appartamento abitato dal prevenuto, bensì, in quello adiacente di G.F.M. . Quest'ultimo, a mezzo del proprio difensore, ha proposto istanza di riesame, con cui ha chiesto la revoca del sequestro, per insussistenza del fumus del reato contestato e per la evidente mancanza di collegamento tra il materiale sottoposto a vincolo e l'indagato. Il Tribunale del riesame, con ordinanza del 17/9/2013, ha rigettato il gravame. Propone ricorso per cassazione la difesa dell'interessato, con i seguenti motivi - insussistenza del reato contestato, in quanto non può considerarsi la concretizzazione del tentativo del delitto ex articolo 600 ter cod.penumero , di tal che il sequestro non poteva essere disposto - omessa motivazione in ordine alla necessità probatoria, perseguita con il provvedimento impugnato e, prima, dal decreto del p.m. - omesso riscontro da parte del Tribunale alle censure mosse dal G. avverso la perquisizione e il conseguente sequestro, operati dalla p.g Considerato in diritto Il ricorso è infondato. La argomentazione motivazionale, adottata dal decidente e posta dallo stesso a sostegno del mantenimento del vincolo probatorio, si palesa del tutto logica e corretta. Con il primo motivo di annullamento si censura il provvedimento impugnato con l'eccepire la inconfigurabilità del reato di cui all'articolo 600 ter co. 1 cod.penumero nella forma del tentativo conseguentemente, vista la insussistenza del reato ipotizzato, il sequestro probatorio non poteva essere disposto. La censura è priva di pregio. Il Tribunale ha evidenziato, ricostruendo cronologicamente la vicenda, che in data 14/10/12 il Sovrintendente A.D. , in servizio presso la Questura di Catania, riferiva che durante una conversazione telematica con D.G.B. aveva appreso che, circa dieci giorni prima, la figlia di quest'ultima, L.E. di anni 12, aveva ricevuto una richiesta di amicizia sul social network Facebook dalla sedicente M.J. . Questa, dopo avere prospettato alla minore l'ingresso nel mondo dell'alta moda e offerto in regalo denaro e capi di abbigliamento, se avesse accettato di fare la modella, l'aveva contattata tramite webcam e le aveva richiesto di spogliarsi e di toccarsi le parti intime la ragazzina, a quel punto aveva interrotto il contatto e aveva informato la madre dell'accaduto. Gli accertamenti effettuati, di poi, dalla Polizia Postale e delle Comunicazioni Sicilia Orientale avevano permesso di individuare che il profilo Facebook della M. era associato alla casella di posta elettronica OMISSIS ed alla utenza di telefonia mobile intestata ad G.F.A. . Sulla scorta degli elementi acquisiti la Procura di Catanzaro adottava decreto di perquisizione dell'abitazione del predetto G.F. , disponendo il sequestro del materiale informatico trovato in uso o comunque in gestione al predetto indagato. Gli agenti operanti procedevano anche a perquisizione dell'abitazione limitrofa al predetto appartamento, abitata da G.F.M. , ove risultava essere ubicato l'impianto di telefonia mobile predetto e ivi sequestravano due computer, un notebook ed un tablet. In dipendenza di quanto evidenziato il decidente, a giusta ragione, ha ritenuto di ravvisare il fumus del delitto ipotizzato dalla pubblica accusa, ex articolo 56-600 ter cod.penumero , nonché la sussistenza del rapporto di pertinenzialità dei beni in sequestro con la prefigurata fattispecie criminosa infatti detti beni venivano rinvenuti nell'appartamento in cui era operante l'utenza telefonica numero OMISSIS , univocamente ricollegata all'account OMISSIS , utilizzato dal soggetto che, dietro il nome di M.J. , adescava la dodicenne L.E. , compiendo atti idonei, diretti in modo non equivoco a realizzare esibizioni pornografiche o a produrre materiale pedopornografico, ovvero ad indurre la predetta minore a partecipare ad esibizioni pornografiche. Alla luce di tali considerazioni il Tribunale ha ritenuto del tutto priva di rilievo la circostanza che il G.F.M. non fosse il soggetto indagato e che non avesse la disponibilità dei beni ablati, visto il collegamento significativo ed univoco tra l'appartamento oggetto di perquisizione e la condotta illecita astrattamente ipotizzata. Peraltro, la circostanza accertata che alla morte di G.F.A. , originario intestatario di detta linea telefonica, la stessa continuava ad essere utilizzata da entrambi gli appartamenti, uno abitato dalla vedova di costui e l'altro dal G.F.M. non fa altro che confermare la fondatezza della tesi accusatoria. Orbene, nel caso di specie la condotta dell'agente - consistita nel contattare mediante il social network Facebook” con la richiesta di amicizia da parte di una sedicente M.J. la dodicenne L.E. , prospettandole l'ingresso nel mondo dell'alta moda e offrendole denaro e capi di abbigliamento se avesse accettato di fare la modella, e nel chiederle tramite webcam di spogliarsi e toccarsi le parti intime - in quanto palesemente rivolta a ottenere dalla minore un'esibizione lasciva dell'organo genitale, costituisce attività idonea alla produzione di materiale pedopornografico potenzialmente destinato alla fruizione di terzi e inequivocabilmente diretta a questo scopo, - non conseguito esclusivamente per l'interruzione del contatto da parte della destinataria, che del fatto aveva informato la madre, e quindi configura nella forma del tentativo il delitto previsto dall'articolo 600 ter c.p Quanto alle ulteriori contestazioni risulta corretto l'assunto del decidente che ha ritenuto di rigettare le doglianze difensive in ordine alla legittimità della perquisizione e alla successiva convalida del sequestro, nonché alla utilizzabilità degli esiti del conseguente sequestro, con effettuazione di puntuali richiami alla giurisprudenza di legittimità, secondo la quale il decreto di perquisizione non è assoggettabile a riesame sicché, nel caso in cui con tale mezzo di gravame venga impugnato il detto decreto, unitamente alla applicazione del vincolo, gli autonomi motivi di censura mossi al primo non possono essere presi in considerazione dal decidente ex multis Cass.13/1/2009, numero 8841 . Peraltro, dette doglianze di cui al secondo e al terzo motivo di annullamento, si palesano al limite della inammissibilità perché generiche in quanto ripetitive di quelle già oggetto di valutazione da parte del giudice di merito e esaustivamente dallo stesso riscontrate è, infatti, inammissibile il ricorso per cassazione fondato su motivi che ripropongono le stesse ragioni già discusse e ritenute infondate dal giudice del gravame, dovendosi gli stessi considerare non specifici. La mancanza di specificità del motivo, invero, deve essere apprezzata non solo per la sua genericità, come indeterminatezza, ma anche per la mancanza di correlazione tra le ragioni argomentate dalla decisione impugnata e quelle poste a fondamento della impugnazione, questa non potendo ignorare le esplicitazioni del giudice censurato senza cadere nel vizio di aspecificità conducente, a mente dell'articolo 591, co. 1, lett. c , cod.proc.penumero , alla inammissibilità ex multis Cass. 11/10/2004, numero 39598 . P.Q.M. La Corte Suprema di Cassazione rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.