Il reato non si aggira pagando le rate

Il pagamento di parte dell’IVA dovuta da dichiarazione annuale, quando il debito sia superiore a 50.000 euro, non riduce la soglia di punibilità se viene effettuato posteriormente al termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo.

Se il debito IVA da dichiarazione annuale non pagato supera i 50.000 euro, il reato sussiste anche se il contribuente abbia chiesto e ottenuto la rateizzazione ed abbia iniziato a pagare il dovuto. Questo in estrema sintesi il principio contenuto nella sentenza della Cassazione numero 24185 depositata il 4 giugno 2013. Il caso. Ad un piccolo imprenditore erano stati posti sotto sequestro beni mobili registrati e una somma di denaro, secondo il principio della confisca per equivalente, in conseguenza del reato di omesso versamento IVA ex articolo 10-ter, D.Lgs. numero 74/2000. Secondo le argomentazioni del ricorrente non doveva considerarsi sussistente la violazione in oggetto dal momento che il debito residuo non superava l’importo di 50.000 euro. IVA rate irrilevanti. I giudici di legittimità non hanno condiviso le argomentazioni del contribuente. La ridefinizione del quantum dovuto per il solo fatto che il soggetto passivo ha provveduto al pagamento di parte di esso e ha richiesto la rateizzazione dell’importo, non può cancellare il reato, dal momento che il pagamento dell’imposta è comunque avvenuto oltre il termine stabilito ex lege. Come noto l’articolo 10-ter D.Lgs. numero 74/2000 dispone che tale importo vada versato «entro il termine per il versamento dell'acconto relativo al periodo di imposta successivo». Se ciò non avviene il reato si perfeziona, a nulla rilevando il fatto che in seguito all’accertamento si sia ottenuta la rateizzazione del pagamento, in quanto ciò non comporta una modificazione dell’entità del debito. Né, come ribadito dai Giudici della Cassazione, può in qualche modo essere considerato rilevante il fatto che il contribuente abbia versato due ratei che hanno portato ad una diminuzione della soglia di punibilità, dal momento che la violazione, a quel punto, era già compiuta.

Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 16 aprile - 4 giugno 2013, numero 24185 Presidente - Relatore Motivi della decisione 1. La terza sezione di questa suprema Corte, con sentenza del 5 luglio 2012, ha annullato con rinvio l'ordinanza in data 23 febbraio 2010 con la quale il Tribunale di Brindisi ha disposto II sequestro preventivo finalizzato alla confisca di beni mobili registrati e della, somma di denaro nella disponibilità L.P., equivalenti del profitto del reato ex articolo 10 ter del D.lgs numero 74 del 2000. Nuovamente decidendo in sede di rinvio, il Tribunale di Brindisi ha confermato il provvedimento di sequestro in questione. 2. Ricorre nuovamente per cassazione il L Si assume che il giudice di legittimità ha ravvisato l'insussistenza del reato per il mancato raggiungimento della soglia di punibilità. Il Tribunale, dlscostandosi da tale pronunzia, ha ribadito il proprio orientamento statuendo che l'omesso versamento dell'Iva superasse 50.000 euro e nel contempo ha omesso di motivare in ordine al periculum in mora. Si ripercorrono i momenti della vicenda fiscale in questione si fa riferimento ai ripetuti atti di sgravio parziale concessi dall'Agenzia delle entrate alla richiesta di rateizzazione della residua situazione debitoria pari a 49.882 euro alla richiesta di rateizzazione di tale somma al parziale assolvimento degli oneri dovuti provvedendo al pagamento della prima e seconda rata con scadenza fino al 31 marzo 2011. Se ne desume che l'indicato importo di 49.982 euro è al di sotto della soglia di legge. Quanto al periculum in mora si lamenta che II Tribunale di Brindisi ha omesso qualunque passaggio motivazionale. Si è trascurato che le provviste di denaro e di beni di analogo genere non costituiscono corpo del reato e non può quindi ritenersi automaticamente legittimo il sequestro preventivo. Il Tribunale non si è per nulla posto il problema della sequestrabilità del beni ai sensi dell'articolo 322 ter cod. proc penumero D'altra parte non si concreta alcun periculum in mora, come già a suo tempo ritenuto dal Gip del Tribunale di Brindisi in considerazione del ravvedimento del contribuente. Nel caso di specie non avrebbe alcun senso l'applicazione della sanzione della confisca dal momento che tramite il versamento spontaneo dei contribuente ravveduto è stato soddisfatto il credito erariale e quindi è stata eliminata in radice l'offesa recata agli interessi economici dello stato. 3. Il ricorso è infondato. La richiamata pronunzia di legittimità ha dichiarato manifestamente infondate le questioni prospettate e nuovamente esposte col ricorso in esame ed ha censurato la pronunzia del Tribunale esclusivamente per ciò che attiene al fumus del reato con riguardo al superamento della soglia di 50.000 euro prevista dalla legge. Si è fatto riferimento alla circostanza, adombrata nella stessa ordinanza, inerente alla riduzione dell'originario importo sino alla ridetta somma di 49.982 euro per di più comprensiva, sembrerebbe, di ulteriori imposte estranee all'oggetto della contestazione. L'ordinanza è stata dunque annullata con rinvio esclusivamente per ciò che attiene al fumus dell'illecito, affinché si verificasse se, essendo state effettivamente ridotta la pretesa tributaria nei limiti indicati, risultino concreti elementi di fatto che rendano maggiormente attendibile l'iniziale quantificazione dell'imposta dovuta. Nuovamente decidendo, il Tribunale di Brindisi ha considerato che, come emerge dagli atti, l'Agenzia delle entrate non ha ridotto l'originaria pretesa tributaria in forza di un concordato 0 di un accertamento per adesione. La rideterminazione del debito tributario è avvenuta in data 23 novembre 2010 unicamente per il fatto che l'indagato ha pagato parte dei suo debito circa due anni dopo il termine stabilito dalla legge, come si evince dalla documentazione e dai verbali di dichiarazioni in atti. Ne discende che, essendosi in presenza di mera rateizzazione del debito, non vi sono elementi per ritenere che l'importo dell'imposta evasa sia disceso ai di sotto della soglia di punibilità, essendo la somma pari a 54.993 euro. Tale valutazione è immune da censure per ciò che attiene all'unico tema devoluto, afferente al fumus del reato. A tale riguardo il Tribunale spiega nitidamente che l'ammontare dell'imposta evasa è superiore a 50.000 euro e che la circostanza che, dopo l'accertamento, si sia addivenuti alla rateizzazione del debito non ne modifica l'entità. Neppure rileva che, dopo l'accertamento ridetto, siano stati pagati due soli ratei che hanno condotto il debito residuo, ma non l'entità dell'Imposta evasa, ai di sotto della soglia indicata. Il ricorso deve essere conseguentemente rigettato. Segue per legge la condanna al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.