La responsabilità della banca scatta ogni qualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell’attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti alle proprie mansioni o abbia agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia comunque rimasto nell’ambito dell’incarico affidatogli.
Con la sentenza numero 8210, depositata il 4 aprile 2013, la Corte di Cassazione ha ribadito la propria giurisprudenza in tema di responsabilità della banca rispetto agli atti compiuti dai propri dipendenti. Il caso. Un correntista conveniva in giudizio la banca ed un impiegato della stessa, chiedendo che fossero condannati in solido alla restituzione della somma di € 40.000,00 a lui sottratti dal proprio conto corrente, nonché alla restituzione della somma di € 212.712,68 ritenuta di illecita detenzione. Parte della prima somma, ed in particolare € 11.000,00, erano stati versati sul conto corrente di due soggetti terzi. La Banca si costituiva in giudizio e chiamava in causa i beneficiari di tali somme, domandando di essere garantita da questi ultimi in caso di soccombenza chiamava in giudizio altresì, la propria assicurazione per essere garantita in forza delle polizze assicurative esistenti. I soggetti terzi beneficiari delle somme sostenevano che non si trattava di pagamento indebito, ma di una piccola parte del danno che era stato loro risarcito. La compagnia assicurativa invece, contestava il fondamento della domanda di garanzia. In primo grado il Tribunale rigettava la domanda di manleva proposta dall’istituto di credito nei confronti dei beneficiari delle somme, nonché quella di garanzia proposta sempre dalla banca, ma nei riguardi dell’assicurazione. La Corte d’appello diversamente accoglieva l’appello dell’istituto di credito nei confronti dei terzi destinatari di tali somme, mentre rigettava quello nei confronti dell’assicurazione. Tanto l’istituto di credito, quanto i soggetti terzi beneficiari proponevano ricorso in cassazione. Arricchimento senza causa dei terzi beneficiari. Occorre esaminare disgiuntamente la posizione dei soggetti terzi destinatari del bonifico e la posizione della compagnia assicurativa. Con riferimento alla prima, la Corte d’appello aveva rilevato che dal momento che la banca è tenuta alla restituzione al correntista della somma indebitamente prelevata dalle sue disponibilità e dal momento che si è accertato che con detta somma è stato eseguito un versamento dall’impiegato senza che l’importo avesse per il correntista alcuna causa, allora il trattenimento del danaro dai terzi beneficiari costituisce un arricchimento senza causa in danno della banca medesima. Per la Corte di Cassazione scatta la responsabilità della banca. La Suprema Corte non ha condiviso la decisione della corte di merito. Gli ermellini hanno infatti statuito che la vicenda si colloca in un più vasto quadro risarcitorio, in ordine al quale la banca era responsabile per le condotte poste in essere dal suo dipendente infedele a danno dei clienti dello stesso istituto di credito. Sotto questo profilo la Corte di Cassazione ricorda che la responsabilità della banca scatta ogni qualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell’attività lavorativa, anche se il dipendente ha operato oltrepassando i limiti alle proprie mansioni o ha agito all’insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia comunque rimasto nell’ambito dell’incarico affidatogli. Secondo i giudici d’appello la condotta della banca è stata negligente La Corte d’appello aveva escluso l’operatività della garanzia da parte dell’istituto assicurativo sulla base dell’assunto che la banca aveva tenuto una condotta negligente nel predisporre ed attuare i controlli. Questi ultimi, se adeguatamente effettuati, avrebbero consentito di individuare la prolungata condotta illecita del proprio dipendente. Secondo la Corte di merito dunque, una adeguata sorveglianza avrebbe consentito alla banca di individuare l’illiceità della condotta del proprio impiegato. ma la Corte di Cassazione ritiene non provata la condotta colpevole della banca! A dire della Suprema Corte la conclusione cui giungono i giudici di merito, secondo i quali risulta provato che il quadro dei controlli interni alla banca non fosse adeguato, sarebbe errata, perché priva di riscontro probatorio e motivazionale. Non risultano indicati, difatti, i controlli nei confronti dell’impiegato bancario la cui omissione avrebbe determinato l’inoperatività della polizza. La Corte di Cassazione, quindi, accoglie i ricorsi proposti rimettendo al giudice del rinvio la valutazione delle circostanze per le quali può giungersi o meno all’affermazione di inoperatività della garanzia assicurativa, suffragate, questa volta, da adeguata motivazione.
Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 14 febbraio – 4 aprile 2013, numero 8210 Presidente Amatucci – Relatore Vivaldi Svolgimento del processo D.L. convenne, davanti al tribunale di Milano, la Banca Cesare Ponti spa e F.P. chiedendone la condanna in solido alla restituzione della somma di Euro 40.000,00 sottratti all'attore dal conto corrente allo stesso intestato, nonché alla restituzione della somma di Euro 212.712,68 ritenuta di illecita utilizzazione. La Banca convenuta, costituitasi, riconobbe che il prelievo dal conto dell'attore era stato effettuato da un dipendente infedele, P.F Ritenendo, poi, che di tali Euro 40.000,00, Euro 11.000,00 erano stati versati sul c/c P. e C., chiamò in causa gli intestatari P.P. e R.G.C., domandando di essere garantita in caso di soccombenza, nonché la Riunione Adriatica di Sicurtà spa, per essere garantita in forza delle polizze assicurative esistenti. Si costituirono entrambi i chiamati. P. e C. sostennero che si trattasse, non di pagamento indebito, ma di una piccola parte del danno, pari ad Euro 65.000, che era stato loro risarcito. Ciò era tanto vero che l'importo di Euro 11.000,00, dapprima oggetto di sequestro, era stato successivamente dissequestrato. La RAS spa contestò il fondamento della domanda di garanzia, associandosi, in ogni caso, alla Banca quanto all'infondatezza della domanda attorea, e chiedendo, a sua volta, di essere manlevata da P. e C. , sul cui conto era stata accreditata parte della somma di Euro 11.000,00. Il Pi. restò contumace. Con sentenza non definitiva del 26.10.2006, il tribunale dispose la separazione delle cause L. - Banca Cesare Ponti spa Banca Cesare Ponti spa - RAS Riunione Adriatica di Sicurtà Banca Cesare Ponti spa - P. e C. RAS Riunione Adriatica di Sicurtà - P. e C Quindi, definitivamente pronunciando, rigettò la domanda proposta dalla Banca Cesare Ponti spa e dalla RAS Riunione Adriatica di Sicurtà nei confronti di P P. e C.R.G. nonché quella di garanzia proposta dalla Banca Cesare Ponti spa nei confronti della RAS Riunione Adriatica di Sicurtà. Diversamente, la Corte d'Appello che, con sentenza in data 8.3.2011, accolse l'appello dell'istituto di credito nei confronti di P. e C. , mentre rigettò quello nei confronti della RAS. Hanno proposto distinti ricorsi per cassazione, avverso la stessa sentenza, P.P. e R.G.C. affidato a cinque motivi e Banca Carige spa - Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia, quale incorporante di Banca Cesare Ponti spa, affidato a quattro motivi illustrati da memoria. Hanno resistito al ricorso proposto da P. e C., con controricorso illustrato da memoria, Banca Carige spa – Cassa di Risparmio di Genova ed Imperia, quale incorporante Banca Cesare Ponti ed al ricorso proposto da quest'ultima nella qualità indicata, Allianz spa, quale conferitaria del complesso aziendale di R.A.S. - Riunione Adriatica di Sicurtà spa che ha anche presentato memoria. Disposta l'integrazione del contraddittorio con ordinanza del 22.2 - 21.5.2012, regolarmente effettuata nei termini, la causa è stata chiamata all'udienza di discussione del 14.2.2013. Motivi della decisione I ricorsi sono riuniti ai sensi dell'articolo 335 c.p.c Ricorso R.G. 14201-011. Con il primo motivo i ricorrenti denunciano la violazione e falsa applicazione degli articolo 2041 e 2033 c.c Con il secondo motivo si denuncia la violazione e falsa applicazione dell'articolo 2042 c.c Con il terzo motivo si denuncia la erronea e insufficiente motivazione sulla valutazione della sentenza del Tribunale di Milano numero 2187/08 emessa nella causa L. contro Banca P. e P. . Con il quarto motivo si denuncia la omessa motivazione in ordine agli accertamenti penali precedenti. Con il quinto motivo si denuncia la contraddittoria motivazione sulla natura del movimenti del denaro e sulle conclusioni assunte. I motivi, intimamente connessi, sono esaminati congiuntamente. Essi sono fondati per le ragioni e nei termini che seguono. La Corte di merito, nel condividere le conclusioni cui era pervenuto il primo giudice che aveva attribuito con certezza il prelievo degli Euro 40.000,00 al Pi. , ha affermato che le circostanze che il Pi. fosse in difetto verso i P. /C. per gli investimenti in perdita fatti con il loro denaro e la contestualità del versamento di Euro 11.000,00 rispetto al prelievo di qualche minuto precedente della somma di Euro 40.000,00, in uno con lo stesso disconoscimento della sua firma da parte del P. sulla distinta del versamento medesimo, suggeriscono che il versamento sia stato fatto dal Pi. con danaro appena sottratto al L. con ciò aderendo ai motivi dell'appello proposto dalla Banca. Ha, a tal fine, rilevato che Posto .che il danaro è bene fungibile per definizione e che la consegna di esso ne fa perdere a chi lo consegna o lo versa la proprietà con il correlativo acquisto di un diritto di credito, è chiaro che, nel momento in cui la Banca è tenuta alla restituzione al L. della somma indebitamente prelevata dalle sue disponibilità presso la Banca medesima, e nel momento, in cui si è accertato che con detta somma è stato dal Pi. eseguito un versamento per il minore importo di Euro 11.000,00, senza che detto versamento avesse, per il L. stesso, alcuna causa, il trattenimento di detta minor somma sarebbe in favore di P. /C. un arricchimento senza causa in danno della Banca, nei confronti della quale, fra l'altro, essi affermano di non avere proposto alcuna domanda giudiziale in relazione alla cattiva gestione dei loro risparmi da parte del Pi. . Aggiungendo Certamente, infatti, non è il L. a dover risarcire il danno derivante dalla mala gestio del Pi. né la Banca . E la stessa Corte di merito ha concluso In sostanza, la restituzione all'appellante degli Euro 11.000,00 tende a ristabilire un equilibrio patrimoniale che senza di essa sarebbe alterato in danno di essa ed in favore dei P. /C. . Una tale conclusione e le argomentazioni che la supportano non possono essere condivise. Ed invero, il giudice di appello - al di là della correttezza o meno della qualificazione di arricchimento senza causa o di indebito oggettivo, che non riveste il carattere della decisività per ciò che ora si dirà - si è limitato a considerare atomisticamente la fattispecie, senza cogliere - elemento questo sì rilevante - che la vicenda s'inseriva in un più vasto quadro risarcitorio, in ordine al quale la banca era responsabile per le condotte poste in essere dal suo dipendente infedele a danno dei clienti dello stesso istituto di credito v. Cass. 16.4.2009 numero 9027 Cass. 6.3.2008 numero 6033 Cass. 29.9.2005 numero 19167 Cass. 6.4.2002 numero 4951 Cass. 17.5.2001 numero 6756 . Proprio il profilo risarcitorio - che prescinde dall'allegata causa solvendi - avrebbe dovuto tracciare la via alla luce della quale esaminare il caso concreto, tenendo presente che la tesi della imputazione del versamento di Euro 11.000,00 a parziale ristoro del danno, era stato da P. e C. evidenziato già nel giudizio di primo grado, riproposto in quello di appello pag. 4 della comparsa di costituzione in appello , e ribadito con il ricorso per cassazione pagg. 6-7 così allegando la causa del versamento. In sostanza, P. e C. sono tra i soggetti pregiudicati dalle condotte illecite del Pi. , delle quali la Banca risponde ai sensi dell'articolo 2049 c.c Sotto questo profilo è utile ricordare che - ricorrendone i presupposti - la responsabilità della banca scatta ogni qualvolta il fatto lesivo sia stato prodotto, o quanto meno agevolato, da un comportamento riconducibile allo svolgimento dell'attività lavorativa, anche se il dipendente abbia operato oltrepassando i limiti delle proprie mansioni o abbia agito all'insaputa del suo datore di lavoro, sempre che sia comunque rimasto nell'ambito dell'incarico affidatogli Cass. 16.4.2009 numero 9027 Cass. 6.3.2008 numero 6033 . Il fondamento di tale disciplina è, da un lato, la scelta, di carattere squisitamente politico, di porre a carico dell'impresa, come componente dei costi e dei rischi dell'attività economica, i danni cagionati da coloro della cui prestazione essa si avvale per il perseguimento della sua finalità di profitto. Dall'altro, soccorre l'esigenza di tutela dell'affidamento incolpevole dei terzi, in presenza di elementi obiettivi, atti a giustificarne il convincimento della corrispondenza tra la situazione apparente e quella reale. Né è senza rilievo che il delineato regime di responsabilità venga valutato, con particolare rigore, nell'ipotesi in cui il datore di lavoro sia un istituto di credito, in ragione della particolare rilevanza dell'attività bancaria, non a caso sottoposta a uno speciale regime di autorizzazione, vigilanza e controllo Cass. 6.3.2008 numero 6033 Cass. 1.6.2005 numero 11674 . Ora, il fatto che P. e C. - come afferma la sentenza impugnata - non abbiano agito nei confronti della Banca non acquista alcun significato ai fini che qui interessano, neppure ai fini di un improbabile riconoscimento di debito -, posto che, in questa sede, il punto nodale della questione ruota attorno al carattere di parziale ristoro della somma di Euro 11.000,00, versata sul conto P. - C. dal Pi. , a fronte del danno molto più consistente subito. Perde quindi di significato, l'affermazione della Corte di merito che la restituzione all'appellante degli Euro 11.000,00 tende a ristabilire un equilibrio patrimoniale che senza di essa sarebbe alterato in danno di essa ed in favore dei P. /C. , posto che l'equilibrio patrimoniale è fuori della prospettiva decisionale. È, quindi, nell'ottica indicata che il giudice del rinvio dovrà esaminare la vicenda, tenendo presente che ciò che acquista rilevanza è il profilo risarcitorio. Ricorso R.G. 15208-011. Con il primo motivo la ricorrente denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte ha escluso l'operatività della garanzia R.A.S. per la mancata predisposizione di dovuti controlli interni da parte della Banca articolo 360, numero 5, c.p.c. . Con il secondo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte d'Appello ha ritenuto provata la responsabilità della Banca per le condotte illecite del Pi. in relazione al decreto 18.05.2004 del Ministero dell'Economia e delle Finanze articolo 360, numero 5 c.p.c. . Con il terzo motivo si denuncia omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione nella parte in cui la Corte ha ritenuto sussistente la responsabilità della Banca ai sensi dell'articolo 2049 c.c. in relazione agli omessi controlli e alle notizie di stampa articolo 360, numero 5 c.p.c. . Con il quarto motivo si denuncia violazione dell'articolo 132 numero 4 c.p.c. e 118 disposizioni per l'attuazione del codice di procedura civile approvate con R.D. 18.12.1941 numero 1368, modificate con D.P. 17.10.1950 numero 857 in relazione all'articolo 360 numero 5 c.p.c I motivi, per l'intima connessione delle censure con gli stessi avanzate - relative sotto diversi profili alla denunciata inoperatività della garanzia R.A.S - sono esaminati congiuntamente. Essi sono fondati per le ragioni che seguono. Banca Carige spa fonda le proprie censure sull'assunto per il quale non sarebbero stati indicati dalla Corte di merito, in modo sufficientemente specifico, i controlli interni che la banca avrebbe omesso di effettuare e che le avrebbero consentito di accorgersi dei comportamenti illeciti posti in essere dal Pi. . La Corte di merito ha escluso l'operatività della garanzia sul presupposto che la Banca è stata negligente nel predisporre ed attuare i controlli, che avrebbero consentito di individuare la prolungata condotta illecita del Pi. , individuandone il fondamento nelle condizioni generali della polizza. Ne ha, a tal fine, riportato il testo, nella parte che qui interessa, per il quale la garanzia per i danni da infedeltà dei dipendenti è prestata alle condizioni che a b oltre alle normali revisioni e controlli prescritti dalla legge siano effettuate le ispezioni di revisione, verifica e controllo negli uffici e stabilimenti secondo le modalità indicate nel questionario o altra documentazione scritta e sia tenuta una registrazione do tali ispezioni e sia conservata la relativa documentazione . Quindi, condividendo le conclusioni cui era pervenuta la sentenza di primo grado, che aveva ritenuto la responsabilità della Banca quantomeno ex articolo 2049 c.c. cui andrebbe addebitata anche la mancata sorveglianza sull'operato del dipendente, e la predisposizione di efficaci sistemi di controllo interno , la Corte di merito ha concluso che – data la sistematicità delle condotte illecite del Pi. – una maggiore sorveglianza avrebbe consentito ali 'istituto di individuarle . Ed, a conforto di questa affermazione, la stessa Corte ha richiamato il Decreto in data 18.5.2004 del Ministero dell'Economia e Finanze in materia di sanzioni per carenza nell'organizzazione dei controlli interni ritenendo provato che il quadro dei controlli interni alla Banca non fosse adeguato . E di ciò vi sarebbe stata conferma anche dall'articolo, pubblicato sul omissis del omissis , che riferisce della non rigorosa gestione dell'attività creditizia da parte dell'appellante rilevata dalla Banca d'Italia, con riferimento anche alla inchiesta penale per truffa ed appropriazione indebita nei confronti del Pi. . Ora, una tale motivazione presta il fianco ad una serie di rilievi, puntualmente mossi dall'odierna ricorrente. In primo luogo, nella sentenza non sono indicati quali sarebbero i controlli la cui omissione nei confronti del Pi. avrebbe determinato l'inoperatività della polizza assicurativa, essendo, all'evidenza, insufficiente il richiamo alle condizioni di polizza, effettuato dalla Corte di merito. In tal modo, difetta anche la potenziale valutazione dell'efficacia causale di tali omissioni in relazione alla condotta del dipendente, e fonte di responsabilità per l'Istituto di credito. Inoltre, il giudice del merito non ha, in alcun modo, chiarito il rapporto fra la indicata sistematicità delle condotte illecite del Pi. e la maggiore sorveglianza che avrebbe consentito all'istituto di individuarle , trattandosi di mera affermazione, sfornita di supporto motivazionale. Neppure il richiamo al Decreto in data 18.5.2004 del Ministero dell'Economia e Finanze in materia di sanzioni per carenza nell'organizzazione dei controlli interni è sufficiente a colmare una tale deficienza motivazionale. È, infatti, ben possibile che la carenza nell'organizzazione dei controlli interni possa dar luogo all'irrogazione di una sanzione, pur non avendo efficacia causale ai fini dell'affermazione di responsabilità della Banca, incidente, questa, sulla copertura assicurativa. Ne deriva che la conclusione cui perviene il giudice del merito che ritiene provato che il quadro dei controlli interni alla Banca non fosse adeguato è priva del riscontro probatorio e motivazionale necessario a sorreggere la statuizione di inoperatività della garanzia assicurativa. Da ultimo, vai la pena di sottolineare che nessun apporto neppure quale conferma di conclusioni di per se stesse non correttamente motivate - può essere attribuito all' articolo, pubblicato sul omissis del omissis , che riferisce della non rigorosa gestione dell'attività creditizia da parte dell'appellante rilevata dalla Banca d'Italia, con riferimento anche alla inchiesta penale per truffa ed appropriazione indebita nei confronti del Pi. . Il richiamo a scritti giornalistici può, al massimo, essere usato quale argomento ad colorandum , non certo quale fonte processuale di convincimento, tale da supplire ad un deficitario impianto motivazionale. In definitiva, al giudice del rinvio è rimessa - sotto questo profilo - la valutazione delle circostanze per le quali può giungersi o meno all'affermazione di inoperatività della garanzia assicurativa, suffragate, questa volta, da adeguata motivazione. Conclusivamente, entrambi i ricorsi sono accolti. La sentenza è cassata e la causa rinviata alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione. Le spese sono rimesse al giudice del rinvio. P.Q.M. La Corte, pronunciando sui ricorsi riuniti, accoglie il ricorso principale e quello incidentale. Cassa e rinvia, anche per le spese, alla Corte d'Appello di Milano in diversa composizione.