Il limite massimo si applica anche se l’episodio morboso è unico

Ove il contratto collettivo applicato preveda la cessazione del diritto alla conservazione del posto quando il lavoratore raggiunga il limite temporale massimo, anche per effetto di più episodi, la durata dell’assenza può essere prolungata fino a tale limite temporale, anche nel caso di unicità dell’episodio morboso.

Principio, questo, affermato dalla Corte di Cassazione, sezione Lavoro, con la sentenza numero 7821, pubblicata il 28 marzo 2013. Il caso licenziamento individuale intimato per superamento del periodo di comporto, dopo una precedente assenza per infortunio. Un dipendente di Poste Italiane Spa ricorreva al Giudice del Lavoro del Tribunale, impugnando il licenziamento intimato per superamento del periodo di comporto, in quanto rimasto assente dal lavoro nel periodo da dicembre 2000 a marzo 2002, dapprima per infortunio e successivamente per malattia. Usufruendo in tal modo del periodo massimo di comporto previsto dal CCNL. Il Tribunale accoglieva il ricorso dichiarando illegittimo il licenziamento. Proponeva appello il datore di lavoro ma il gravame veniva respinto, confermando la Corte d’Appello l’illegittimità del licenziamento. Ricorreva così in Cassazione Poste Italiane, con due motivi, contestando l’interpretazione data dalla Corte d’Appello della norma del CCNL applicato e le conclusioni rese nel giudizio di merito dal CTU. La norma della contrattazione collettiva. La controversia in esame è disciplinata dal CCNL di categoria. Trattasi degli articolo 40 e 48 del CCNL di Poste dell’11 luglio 2003. Recita l’articolo 40 « Il diritto alla conservazione del posto cessa quando il lavoratore, anche per effetto di una pluralità di episodi morbosi e indipendentemente dalla durata dei singoli intervalli, raggiunga il limite di ventiquattro mesi di assenza entro l'arco massimo di quarantotto mesi consecutivi. I termini si computano dal primo giorno del primo periodo di assenza per malattia ». A sua volta l’articolo 48 prevede che «Per il raggiungimento del limite di cui all'articolo 40 comma II del presente contratto, i primi 16 mesi di assenza dovuti ad infortuni sul lavoro o a malattia professionale non sono considerati utili ai fini del relativo computo». Il limite massimo di 24 mesi secondo i giudici di merito. La Corte d’Appello, confermando peraltro la decisione del giudice di primo grado, aveva ritenuto illegittimo il licenziamento, affermando che la norma del contratto collettivo andava interpretata nel senso che il periodo di comporto prevede la cessazione del diritto alla conservazione del posto quando l’assenza, anche per effetto di pluralità di episodi morbosi, superi il tetto dei 24 mesi. Dunque, il diritto alla conservazione spetta sia in caso di plurimi episodi di malattia, sia quando l’episodio sia stato unico, come nel caso esaminato. Interpretazione confermata dalla Corte di Cassazione. La Corte di Cassazione ribadisce il principio affermato dalla Corte di merito, ritenendo l’interpretazione da questa resa alla norma del CCNL corretta ed immune da vizi logici. Oltre tutto, sottolinea la Suprema Corte, il primo periodo di assenza per infortunio non rileva ai fini del conteggio del periodo di comporto, in quanto, secondo il disposto dell’articolo 48 della norma collettiva, vanno esclusi i primi 16 mesi di assenza. Come correttamente rilevato dalla Corte di merito, il successivo periodo di 24 mesi di assenza che consente la conservazione del posto va considerato sia in caso di pluralità di assenze, sia in caso di unica assenza. Non ravvisandosi motivi logici per prevedere una diversa disciplina tra i due casi di assenza oltre che essere in contrasto con il dato letterale delle norme di contrattazione esaminate. Non ammissibile il riesame delle risultanze della CTU. Il secondo motivo di censura proposto dalla ricorrente riguarda le conclusioni dell’espletata CTU, che ha accertato il nesso di causalità tra infortunio e infermità. Ma, afferma la Corte di Cassazione, in sede di legittimità le conclusioni del consulente tecnico d’ufficio possono essere contestate solo se le censure mosse contengono la documentata denuncia di devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale, ravvisandosi in tal caso un vizio deducibile in cassazione ex articolo 360, numero 5, c.p.c Diversamente le censure proposte si riconducono a riesame del merito della causa, inammissibile in sede di legittimità. Il motivo proposto appare pertanto inammissibile, riducendosi appunto a mere censure circa le conclusioni cui è giunto il consulente. La sentenza resa dalla Corte d’Appello appare dunque corretta, logicamente motivata. Con conseguente rigetto del ricorso proposto.

Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 19 dicembre 2012 - 28 marzo 2013, numero 7821 Presidente Napoletano – Relatore Maisano Svolgimento del processo Con sentenza del 18 marzo 2010 la Corte d'Appello di Lecce, sezione distaccata di Taranto, ha confermato la sentenza del Tribunale di Taranto del 3 gennaio 2006 con la quale è stato annullato il licenziamento intimato da Poste Italiane s.p.a. a T.A. condannando la medesima Poste Italiane alla reintegra del ricorrente nel posto di lavoro precedentemente occupato ed al pagamento di un'indennità commisurata alla retribuzione globale di fatto dalla data del licenziamento a quello dell'effettiva reintegra. La Corte territoriale ha motivato tale pronuncia considerando che l'assenza del lavoratore, a seguito di infortunio sul lavoro occorsogli nel dicembre 2000 con conseguente inabilità temporanea protrattasi fino al marzo del 2002, poteva protrarsi sino a 24 mesi in caso di pluralità di episodi, e comunque, ai fini del periodo di comporto, vanno esclusi i primi 16 mesi di assenza ai sensi dell'articolo 48 CCNL di categoria, mentre, nel caso in esame, l'assenza è stata di durata inferiore ai sedici mesi. L'articolo 40 del medesimo CCNL prevede la cessazione del diritto alla conservazione del posto quando l'assenza, anche per effetto di una pluralità di episodi morbosi, raggiunga il limite di 24 mesi entro l'arco massimo di 48 mesi consecutivi, per cui, anche nel caso di unicità di episodio morboso, come nel caso in esame, la durata dell'assenza può essere prolungata fino al suddetto limite di 24 mesi. Poste Italiane propone ricorso per cassazione avverso tale sentenza articolato su due motivi. Resiste con controricorso il T. . Poste Italiane ha presentato memoria. Motivi della decisione Con il primo motivo si lamenta violazione o falsa applicazione degli articolo 40 e 48 del CCNL per il personale non dirigente di Poste Italiane, e violazione o falsa applicazione degli articolo 1362 e 1363 cod. civ. e difetto di motivazione. In particolare si deduce che la corte territoriale non avrebbe considerato che l'assenza per infortunio sul lavoro in questione sarebbe cessata al 15 gennaio 2001 data in cui l'INAIL ha dichiarato il lavoratore guarito, per cui l'assenza successiva, protrattasi per oltre un anno ricadrebbe nella disciplina dell'articolo 40, comma 1 CCNL di categoria, che prevede il comporto secco che è stato superato dal lavoratore con conseguente legittimità del licenziamento. Con il secondo motivo si lamenta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio ai sensi dell'articolo 360, numero 5 cod. proc. civ In particolare si lamenta che i giudici di merito non avrebbero considerato le osservazioni mosse alla disposta CTU medico legale che comunque, nelle sue motivazioni, aveva considerato che l'affezione di cui soffriva il T. non erano ascrivibili all'infortunio subito ma era favorita da una personalità premorbosa. Il primo motivo non è fondato. L'interpretazione data dalla Corte territoriale alla normativa contrattuale che disciplina il periodo di comporto in caso di infortunio sul lavoro o malattia professionale appare logica e corretta, e conseguentemente immune da vizi di legittimità. In particolare va rilevato, con specifico riferimento al motivo di gravame, che la dichiarazione dell'INAIL dedotta dalla ricorrente e relativa alla guarigione del lavoratore, non rileva ai fini del periodo di comporto considerato, in quanto tale guarigione è intervenuta, a dire della stessa ricorrente, dal 15 gennaio 2001, allorché era già maturato il diritto del lavoratore stesso al particolare regime del comporto dettato dall'articolo 40, secondo comma CCNL. Come esattamente rilevato dalla Corte leccese, il successivo periodo di ventiquattro mesi di assenza che consente la conservazione del posto di lavoro oltre i primi sedici mesi che non si considerano ai fini del comporto, vanno considerati sia nel caso di pluralità di assenze, sia nel caso, come quello in questione, di unica assenza, a ciò pervenendo, sulla base, sia del tenore letterale della norma anche per una pluralità di episodi morbosi , sia della sua ratio non essendo ragione per prevedere una diversità di disciplina per il caso di unica assenza prolungatasi per ventiquattro mesi rispetto al caso di pluralità di assenze che raggiungono il medesimo periodo complessivo. Anche il secondo motivo di ricorso è infondato riguardando un dissenso diagnostico con l'espletata CTU che ha accertato il nesso di causalità dell'infermità del T. con l'infortunio sul lavoro occorsogli. Per costante giurisprudenza di questa Corte le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico - legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico - legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex articolo 360, numero 5, cod. proc. civ., sicché, in mancanza di detti elementi, le censure, configurando un mero dissenso diagnostico, sono inammissibili in sede di legittimità. Al rigetto del ricorso consegue la condanna della società ricorrente al pagamento delle spese di giudizio liquidate in dispositivo. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso Condanna la ricorrente al pagamento delle spese di giudizio che liquida in Euro 50,00 per esborsi ed Euro 3.500,00 tremilacinquecento,00 per compensi professionali oltre accessori di legge.