Ai fini della costrizione nel reato di concussione «non è necessario che l’attività compiuta dall’agente sia di per sé illegittima o illecito potendo il requisito della costrizione e/o induzione della vittima essere integrato anche attraverso la prospettazione del compimento di un atto doveroso».
Il caso. Una pattuglia della polizia stradale di Orbetello aveva fermato il conducente, di nazionalità olandese, di un autotreno perché aveva superato i limiti di velocità, ma invece di sanzionarlo gli avevano prospettato di versare 100 Euro anziché i 275 Euro della sanzione amministrativa e il ritiro della patente. All’epoca il fatto aveva suscitato notevole interesse in quanto le indagini avevano fatto emergere una “prassi” da parte di alcuni poliziotti di chiedere somme di denaro ai camionisti per arrotondare lo stipendio e procurarsi anche sostanze stupefacenti. Prima il GUP di Grosseto e poi la Corte di appello di Firenze in sede di rinvio per effetto di una precedente sentenza della Cassazione avevano accertato la responsabilità dell’equipaggio della pattuglia composta da un agente scelto e da un assistente capo condannando i due per il reato di concussione. Secondo la difesa dell’agente scelto che aveva proposto ricorso per cassazione, però, quella condanna non avrebbe potuto essere pronunciata perché sarebbe mancata la prova della costrizione della vittima del reato di concussione sarebbe stato necessario procedere con l’escussione del camionista anche per sapere se, per caso, egli si fosse determinato nella dazione della somma di denaro per «l’erronea percezione di versare in una situazione di concussione ambientale». La ricostruzione in fatto è inappuntabile. Secondo la Suprema Corte, però, il ricorso deve essere rigettato dal momento che l’impianto argomentativo seguito dalla Corte territoriale è esente da censure. Ed infatti, con la sentenza della Seconda sezione Penale del 14 marzo 2013, numero 11887 la Cassazione individua il fondamento dell’argomentazione della condanna sia nelle intercettazioni ambientali che nella dinamica dei fatti. C’era, infatti, un punto centrale in occasione di quel controllo non era stata effettuata nessuna attività di verbalizzazione di alcuna sanzione e le dichiarazioni rilasciate dal camionista erano chiare e «dall’inequivocabile significato estorsivo». Inoltre, gli accertamenti compiuti dalla Squadra mobile della Questura di Grosseto avevano messo in luce «l’abitudine sistematica da parte [di quegli agenti] di riscuotere tali somme proprio facendo valere la loro qualità di servizio e ciò al fine dichiarato di arrotondare lo stipendio e poter acquistare, in questo modo, la cocaina». Minaccia di un atto doveroso. Peraltro, è la sentenza della Corte di appello è corretta anche nella parte giuridica laddove ha affermato che ai fini della costrizione nel reato di concussione «non è necessario che l’attività compiuta dall’agente sia di per sé illegittima o illecito potendo il requisito della costrizione e/o induzione della vittima essere integrato anche attraverso la prospettazione del compimento di un atto doveroso». La condotta dei due poliziotti è stata, quindi, abusiva in quanto hanno piegato la loro attività istituzionale al raggiungimento di un fine personale che era totalmente estraneo. Ne deriva che nel caso di specie è stata anche correttamente esclusa l’esistenza di un’ipotesi di concussione ambientale e, cioè, di quella figura creata dalla dottrina e dalla giurisprudenza per fare riferimento a quelle dazioni al pubblico ufficiale non derivanti da un comportamento induttivo o costrittivo di quest’ultimo, ma spontaneamente effettuate dal privato che si sottomette alle regole di pagare per evitare conseguenze a lui sfavorevoli. Ed infatti, nel caso di specie la Corte territoriale aveva escluso che ci fosse stato un qualche elemento tale da aver fatto credere al conducente di essere in una situazione di ineluttabilità.
Corte di Cassazione, sez. II Penale, sentenza 8 novembre 2012 - 14 marzo 2013, numero 11887 Presidente Carmenini – Relatore Taddei Osserva 1. La Corte d'appello di Firenze, giudicando in sede di rinvio della Corte Suprema, con la sentenza di cui in epigrafe, ha confermato in punto di responsabilità, la condanna del GUP del Tribunale di Grosseto dell'8 aprile 2006, per il reato di concussione, a carico di B.G. , agente scelto in servizio presso la Polizia Stradale di Orbetello, che durante un servizio di pattuglia insieme al coimputato assistente capo M. , aveva costretto T.W. , conducente di un autotreno, fermato perché in contravvenzione per eccesso di velocità, a consegnargli la somma di Euro 100, per evitare di pagare la contravvenzione di Euro 275,00 e subire il sequestro della patente. 1.1 La difesa di B. ha proposto ricorso per cassazione,chiedendo l'annullamento della sentenza e deducendo il vizio di carenza di motivazione in ordine all'elemento della costrizione che avrebbe subito la vittima della concussione e che avrebbe potuto essere acclarato solo integrando adeguatamente la prova, con l'escussione del camionista . Tale integrazione avrebbe,infatti, consentito di escludere la possibilità che il camionista fosse stato determinato ad offrire il pagamento dall'erronea percezione di versare in una situazione di concussione ambientale, cosa che avrebbe escluso la responsabilità dello stesso. Considerazioni in diritto 2. Il ricorso non è fondato e deve essere rigettato. 2.1 La Corte di merito ha compiutamente individuato, secondo la regola imposta dal rinvio di questa Corte, con decisione numero 35403 del 2010, gli elementi che, riscontrati dal complesso materiale probatorio acquisito, nel caso in esame costituiscono ed esauriscono l'essenza del reato di concussione, colmando quel deficit di motivazione che affliggeva la precedente motivazione. 2.2 In particolare la Corte di merito ha dato atto che a fondamento della dichiarazione di responsabilità si pone l'intercettazione ambientale del colloquio tra i due agenti della Polstrada prima,durante e dopo il controllo effettuato al T. , al quale veniva contestato l'eccesso di velocità l'accertamento effettuato dalla Questura di Grosseto proprio in occasione del predetto controllo,i cui esiti venivano trasfusi nell'annotazione di servizio del 7.6.2003 il completo verbale delle dichiarazioni rilasciate, sull'episodio, dal camionista, che la Corte giudica dall'inequivocabile significato estorsivo , in quanto soprattutto chiarissime nel non recare alcun passaggio in cui sia stato T. ad avanzare spontaneamente un'offerta e non i poliziotti ad avanzare una richiesta di denaro ciò per giunta al di fuori del proprio rapporto funzionale, ove si pensi all'entità della somma riscossa,diversa da quella dovuta, alle minacce simboliche seguite al fatto, ed all'assenza di qualsiasi verbale, ciò oltre il riferimento necessario e già accennato, ad altre conversazioni intercettate all'epoca, che comprovano in quel periodo l'abitudine sistematica da parte loro di riscuotere tali somme proprio facendo valere la loro qualità di servizio e ciò al fine dichiarato di arrotondare lo stipendio e poter acquistare,in questo modo, la cocaina la conversazione numero 148 alle h. 15,57, subito dopo il controllo effettuato sul T. , in cui i due agenti si accordano per dividersi la somma estorta il tenore ilare della conversazione nel corso della quale i poliziotti fanno anche un accenno allusivo alle indagini che la Squadra Mobile sta intessendo i riscontri documentali, quali il cronotachigrafo e quanto direttamente accertato e testimoniato dagli uomini della Mobile. 2.3 A chiusura dell'individuazione delle fonti di prova, vi è la valutazione della Corte territoriale che così, in termini assolutamente corretti ed esaustivi, si esprime Ricorre l'elemento costitutivo dell'abuso dei poteri conferiti dall'ordinamento al pubblico ufficiale, la strumentalizzazione di questi ultimi sotto il profilo dell'uso del potere di contestare la violazione amministrativa commessa dal privato per conseguire un fine illecito, la consegna indebita di una somma di denaro per fini personali attraverso la minaccia di compiere l'atto dell'ufficio, ovvero il ritiro immediato della patente di guida e il pagamento di una somma stabilita per legge per la configurabilità dell'abuso, anche nei casi di esercizio strumentale di una attività obiettivamente lecita e doverosa per ottenere un'indebita utilità vedi Cass. sez. VI numero 5002/1989 nonché numero 33218/2001 in altri termini non è necessario che l'attività compiuta dall'agente sia di per sé illegittima o illecita, potendo il requisito della costrizione e/o induzione della vittima essere integrato anche attraverso la prospettazione del compimento di un atto doveroso - nella fattispecie il ritiro della patente ed il pagamento della sanzione di Euro 275,10,'m relazione all'accertamento della violazione del limite di velocità - e ciò in quanto questo atto si connota di illegittimità quando sia stato usato quale mezzo per conseguire un fine chiaramente illecito, nel caso di specie il guadagno di 100 Euro, finiti poi senza un verbale nelle tasche degli agenti . La condotta di abuso sopradescritta, poi, ha oggettivamente ingenerato nella vittima uno stato di soggezione,posto che il tanto enfatizzato elemento del metus pubblicae potestatis non è altro che l'abuso della qualità e dei poteri visto da parte della vittima, senza tuttavia che esso concorra autonomamente ad aggiungere alcunché alla struttura del reato ”. 2.4 Tale ultima precisazione esclude che possa in qualche modo configurarsi quella particolare situazione di convincimento di adeguarsi ad una prassi, anche tacitamente riconosciuta, che la giurisprudenza ha qualificato come concussione ambientale e che la sentenza numero 25694 del 2011 Rv. 250467 di questa Corte ha adeguatamente e condivisibilmente inquadrato nei termini che seguono La concussione ambientale, non rientrante nell'espressa previsione dell'articolo 317 cod. penumero , è figura elaborata dalla giurisprudenza e da una parte della dottrina, che hanno dilatato l'ambito di rilevanza penale della detta norma, nella prospettiva di fronteggiare quel fenomeno criminologico, sempre più diffuso nell'attuale momento storico, che vede la prestazione dell'indebito al pubblico ufficiale non come effetto dell'abuso di costui e del conseguente comportamento induttivo o costrittivo, ma come scelta necessitata del privato di doversi adeguare ad una prassi consolidata e ineluttabile di illegalità diffusa, imperante in un certo settore della Pubblica Amministrazione, sì da subirne le corrispondenti regole , per evitare conseguenze a lui sfavorevoli. La dilatazione della figura della concussione, che ingloba situazioni di mera pressione ambientale, senza alcun riferimento a condotte individuali, si risolve in una applicazione analogica in malam partem dell'articolo 317 c.p., imperniato inequivocamente sulla stato di soggezione della vittima, provocato dalla condotta del pubblico funzionario e non latente nell'ambiente. La concussione ambientale, inoltre, cancella il requisito della costrizione o, più esattamente, dell'induzione e crea, per così dire, una responsabilità penale di posizione, fondata cioè non sull'abuso della qualità o dei poteri, ma sulla posizione o qualifica rivestita dal pubblico ufficiale. . Osserva, però, la Corte che il solo dato ambientale sfugge alla tipicità della fattispecie incriminatrice delineata dall'articolo 317 cod. penumero , la quale impone di recuperare alla costrizione o all'induzione un'autonomia sul piano del comportamento individuale, nel senso che non può prescindersi dall'individuazione della condotta specifica dell'agente pubblico, attraverso la quale si determina nel privato quel condizionamento psicologico che si traduce nella convinzione della ineluttabilità della prestazione indebita .Sentenza numero 25694 del 2011 Rv. 250467 . 2.5 Niente di tutto ciò è ravvisabile, neanche in termini di fraintendimento, nelle puntuali e specifiche ricostruzioni motivazionali della Corte di merito, la cui motivazione supera di larga misura il controllo di legittimità. 3. Per i motivi che precedono il ricorso deve essere rigettato al rigetto consegue di diritto la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. P.Q.M. Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.