Il ritardo della diagnosi e degli interventi terapeutici più opportuni ha determinato l’insorgere di gravi complicanze, evitabili nel caso di una diagnosi tempestiva. Il medico deve rispondere della propria negligenza, avendo assunto direttamente la responsabilità del decorso post-operatorio.
Con la sentenza numero 10324, depositata il 6 marzo 2013, la Corte di Cassazione ha confermato i giudizi di condanna di Tribunale e Corte d’Appello. Complicanze post-operatorie nessuna diagnosi tempestiva. Un uomo viene operato per la rimozione di una grossa ernia inguinale. A seguito del’intervento ci sono complicanze emorragiche che determinano la necessità di politrasfusioni ed il trasferimento nel reparto di terapia intensiva, dove il paziente rimane degente per 6 settimane, in pericolo di vita. Il medico viene condannato, nei primi due gradi di giudizio, a tre mesi di reclusione per lesioni colpose e al risarcimento dei danni per 150mila euro, in solido con l’ente ospedaliero, responsabile civile. Inammissibile il ricorso del responsabile civile non aveva impugnato il primo grado. Il medico ricorre per cassazione. Il ricorso congiunto proposto dall’ospedale viene dichiarato inammissibile, perché, quale responsabile civile avrebbe dovuto impugnare anche la sentenza di primo grado quando poteva farlo. La mancata impugnazione comporta infatti l’acquiescenza della sentenza. Il medico ritiene insussistenti sia il nesso causale tra la propria condotta e l’evento, che la propria posizione di garanzia rispetto al paziente. Lamenta poi il mancato ricorso ad una perizia medico-legale, necessaria per approfondire questioni tanto tecniche e risultanti in contrasto tra periti di parte civile e di difesa. Dalle consulenze tecniche emerge un chiaro nesso causale. La S.C. rileva che i giudici di merito hanno compiuto un’indagine approfondita sulla base delle consulenze tecniche, dando ampio conto delle scelte operate nel decidere quale tesi seguire. Hanno quindi ritenuto giustamente l’esistenza del nesso causale tra le negligenze registrate nella fase post-operatoria e le gravi complicanze dell’intervento all’ernia, eseguito correttamente. Il calo dell’emoglobina, l’aumento dei globuli bianchi, lo stato febbrile erano chiari indici clinici della presenza di gravi perdite ematiche, «che avrebbero dovuto indurre ad approfondire e chiarire le ragioni dell’emorragia in atto ed apprestare sollecitamente le più opportune terapie». Tale complicanza era facilmente prevedibile, visto che è considerata una comune conseguenza del tipo di operazione e che è anche prevista nel modulo del consenso informato. Non merita accoglimento la tesi difensiva secondo cui non è stato dimostrato che con un’altra condotta si sarebbe pervenuti ad un risultato diverso. Il medico era in posizione di garanzia. La Corte rileva poi che la posizione di garanzia del medico non risulta dal fatto che fosse il primario o il medico di fiducia, ma dalla sua diretta assunzione di responsabilità del decorso post-operatorio. In tale posizione avrebbe quindi dovuto valutare con la necessaria attenzione i sintomi presentati dal paziente dopo l’operazione, disporre gli accertamenti necessari per una tempestiva diagnosi ed individuare così le terapie più opportune. Visti questi motivi, la Corte di Cassazione respinge il ricorso, confermando la responsabilità del medico.
Corte di Cassazione, sez. IV Penale, sentenza 10 luglio 2012 – 6 marzo 2013, numero 10324 Presidente Brusco – Relatore Foti Ritenuto in fatto -1- G.C.A. è stato tratto a giudizio davanti al giudice monocratico del Tribunale di Milano per rispondere del reato di cui all'articolo 590, in relazione all'articolo 583 co. 1 numero 2 del codice penale perché, quale medico primario responsabile del reparto di chirurgia generale dell'ospedale omissis , ha cagionato al paziente Z.P. , per negligenza, imprudenza ed imperizia, nonché per inosservanza delle regole della buona pratica medica, in occasione del ricovero dello stesso Z. per la rimozione di una grossa ernia inguinale sinistra recidiva, una lesione personale grave, con indebolimento permanente di un organo. In particolare, lo Z. , dopo essere stato sottoposto, il omissis , all'intervento chirurgico programmato, aveva evidenziato, in tesi d'accusa, complicanze post operatorie emorragiche che, diagnosticate con ritardo, pur essendo prevedibili in vista dell'intervento chirurgico eseguito, aveva determinato ulteriori complicanze settiche, renali, respiratorie ed endocrinologiche a causa delle quali il paziente era stato politrasfuso, sottoposto ad ulteriore intervento e trasferito nel reparto di terapia intensiva, ove era rimasto degente, in pericolo di vita, dal al A seguito delle terapie resesi necessarie per fronteggiare la grave situazione determinatasi, lo Z. aveva subito gravi menomazioni all'udito ed alle capacità motorie. -2- Con sentenza del 22 luglio 2007, il Tribunale di Milano ha affermato la responsabilità dell'imputato e lo ha condannato, negando le circostanze attenuanti generiche, alla pena, condizionalmente sospesa, di tre mesi di reclusione nonché, in solido con il responsabile civile, Azienda Ospedaliera omissis , al risarcimento dei danni in favore della costituita parte civile, equitativamente liquidati in Euro 150.000,00. Il giudice del merito, richiamati gli atti acquisiti, i pareri espressi dai consulenti tecnici del G. e della parte civile, le testimonianze assunte, ha affermato la responsabilità dell'imputato, rilevando che le lesioni riportate dallo Z. erano state provocate dall’insorgere di complicanze mal valutate, sottostimate e non adeguatamente trattate dall'imputato. In particolare, il medico, pur davanti al calo costante dell'emoglobina, all'aumento pure costante dei globuli bianchi, al rialzo febbrile, all'aumento graduale dell'edema scrotale, non aveva disposto alcun accertamento clinico diretto a verificare l'esistenza di un'emorragia e le cause della stessa né aveva indagato circa le cause di una infezione, già riconoscibile fin dalle prime giornate, allorché, malgrado la terapia farmacologica praticata, il numero dei globuli bianchi era rimasto elevato. Accertamenti ed approfondimento che, se tempestivamente disposti ed eseguiti, avrebbero consentito di diagnosticare l'emorragia ed il focolaio d'infezione che, aggravatisi a causa del ritardo diagnostico, avevano compromesso la stabilità del paziente, l'avevano indebolito ed avevano reso necessarie terapie anche farmacologiche incisive e dannose che hanno causato le richiamate gravi complicanze. -3- Su appello proposto dal G.C. , la Corte d'Appello di Milano, con sentenza del 27 settembre 2011, ha confermato la decisione del primo giudice. Il giudice del gravame, dopo avere precisato che la data del fatto non era quella del , indicata in calce al capo d'imputazione, bensì quella del , riportata nel corpo dell'imputazione stessa, e dopo avere respinto le richieste istruttorie avanzate dall'appellante, ritenute non rilevanti ai fini della decisione, ne ha dunque ribadito la responsabilità, atteso che allo stesso, in quanto primario del reparto, oltre che medico di fiducia del paziente, doveva riconoscersi una precisa posizione di garanzia. In tale posizione, a lui spettava di valutare con la necessaria attenzione i sintomi manifestati dal paziente dopo l'operazione, a lui spettava di disporre gli accertamenti necessari ad eseguire una tempestiva e corretta diagnosi, a lui spettava di individuare le più opportune terapie. L'avere sottovalutato i segnali d'allarme, chiaramente evidenziatisi nel post operatorio, l'avere omesso di disporre accertamenti diretti ad individuare l'origine dell'emorragia aveva comportato, anche a giudizio della corte territoriale, una generale compromissione dell'organismo del paziente ed aveva innescato ulteriori complicanze renali, pressorie, respiratorie, gli edemi e la diffusione della sepsi, tanto da rendere necessario l'impiego di potenti farmaci con note controindicazioni a livello uditivo. Evidente, inoltre, doveva ritenersi, secondo il giudice del gravame, il nesso causale tra le condotte contestate all'imputato e l'evento determinatosi. -4- Avverso detta sentenza propongono ricorso il Dott. G.C. ed il responsabile civile Azienda Ospedaliera omissis . A L'imputato deduce a Inosservanza ed erronea applicazione della legge penale, con riferimento agli articolo 40, 41 e 43 del codice penale. Sostiene il ricorrente l'insussistenza, nel caso in esame, del nesso causale tra la condotta contestata all'imputato e l'evento. In particolare, con riguardo al reato commissivo improprio nella specie contestato, mancherebbe la prova che una diversa condotta avrebbe determinato un opposto risultato. La corte territoriale, si sostiene nel ricorso, con una acritica valutazione e con frasi di stile avrebbe fatto proprie le motivazioni rese dal primo giudice, in tal guisa avendo violato ed erroneamente interpretato le norme di legge, ed altresì ignorato i principi in materia affermati da questa Corte. La stessa corte non avrebbe considerato se l'evento era stato determinato da cause del tutto eccezionali e imprevedibili, come l'imputato aveva sostenuto, anche dimostrando che, se fosse intervenuto in modo diverso, più gravi avrebbero potuto essere le conseguenze. Si contesta altresì nel ricorso il riconoscimento, in capo all'imputato, di una posizione di garanzia posto che, quale primario, egli aveva preso in carico il paziente solo dopo l'intervento, da altri eseguito, ed in tale posizione era intervenuto ancora chirurgicamente e gli aveva salvato la vita mentre nessun rapporto privato vi era tra lo stesso imputato e lo Z. , che era stato in una sola occasione visitato presso la stessa struttura ospedaliera b Violazione degli articolo 220, 225 e 233 cod. proc. penumero e vizio di motivazione della sentenza impugnata. Contesta il ricorrente il mancato ricorso ad una perizia medico-legale diretta ad approfondire e chiarire le tematiche connesse alla gestione del paziente, in vista del contrasto di posizioni emerso tra i consulenti dell'imputato e quelli della parte civile, ed anche considerato che il PM non aveva ritenuto di rivolgersi ad un proprio consulente c Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di valutazione, da parte dei giudici del merito, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa e dalla figlia, acriticamente ritenute veritiere ed attendibili d Vizio di motivazione con riguardo al diniego delle circostanze attenuanti generiche. B Il responsabile civile deduce a Violazione e falsa applicazione di norme, specificamente dell'articolo 220 cod. proc. penumero , in relazione alla mancata esecuzione di una perizia medico legale, in palese violazione della predetta disposizione di legge, che obbliga il giudice a disporre l'accertamento tecnico quando la decisione della causa dipenda dall'acquisizione di dati o valutazioni che implichino specifiche competenze tecniche, di cui il giudice non dispone b Violazione di legge, laddove il giudice del merito ha basato il proprio convincimento solo sulle testimonianze ed allegazioni probatorie della parte civile e Violazione di legge e vizio di motivazione in punto di nesso di causalità. Considerato in diritto -1- Il ricorso di G.C.A. è infondato, a Certamente infondato è il primo dei motivi proposti. In particolare, in punto di nesso causale i giudici del gravame, benché il tema non fosse stato direttamente affrontato nei motivi d'appello, hanno legittimamente e motivatamente sostenuto che le gravi complicanze post-operatorie lamentate dallo Z. , di natura emorragica e settica, che hanno determinato le gravi menomazioni fisiche ampiamente descritte in sentenza, certamente non provocate dalle manovre chirurgiche, correttamente eseguite, erano diretta conseguenza di gravi negligenze registrate nella fase post-operatoria. In specie, dall'evidente sottovalutazione, da parte dell'imputato, di precisi indici clinici registrati poco dopo l'intervento calo dell'emoglobina, costante aumento dei globuli bianchi, rialzo febbrile, aumento dell'edema scrotale, emissione di feci picee , indicativi della presenza di importanti perdite ematiche, che avrebbero dovuto indurre ad approfondire e chiarire le ragioni dell'emorragia in atto e ad apprestare sollecitamente le più opportune terapie. Proprio il ritardo della diagnosi e degli interventi terapeutici più opportuni ha determinato l'insorgere di ulteriori complicanze che hanno reso necessario, oltre che il prolungato ricovero nel reparto di terapia intensiva dell'ospedale, il ricorso ad un ulteriore intervento chirurgico ed a massive terapie a causa delle quali il paziente ha subito le gravi menomazioni specificamente ricordate nella sentenza. Complicanze e menomazioni che si sarebbero evitate sol che più tempestiva fosse stata la diagnosi. D'altra parte, hanno soggiunto i giudici del merito, l'insorgere della complicanza emorragica era ben prevedibile, non solo perché, ha osservato il primo giudice, ampiamente prevista nella letteratura scientifica, ma anche perché espressamente indicata nel verbale di consenso informato sottoscritto dallo Z. , ove è espressamente prevista la possibilità di sanguinameli con formazione di ematomi scrotali che nei casi più gravi portano a reintervento . Quanto alla posizione di garanzia, osserva la Corte che correttamente essa è stata riconosciuta al G. . Ciò non solo per il diretto rapporto instauratosi con il paziente, che dall'imputato era stato, prima del ricovero, visitato privatamente e consigliato di ricoverarsi al lo stesso imputato, si legge nella sentenza di primo grado, non avendo potuto eseguire direttamente l'intervento chirurgico per un sopravvenuto impegno, nell'affidare il paziente ad un collega aveva specificato che l'operando era un suo malato , né solo perché egli era il primario del reparto e, dunque, per ciò solo titolare di una specifica posizione di garanzia nei confronti del paziente, ma anche perché proprio l'imputato, ha ancora osservato il primo giudice, aveva assunto direttamente la responsabilità del decorso post-operatorio dello Z. fin dal OMISSIS e fino al trasferimento del paziente nel reparto di terapia intensiva. b Infondato è anche il secondo motivo. In realtà, il ricorso all'accertamento peritale è rimesso alla valutazione del giudice del merito che, se motiva adeguatamente la ragioni delle proprie scelte, non può essere censurato. Ciò vale, in particolare, nei casi in cui, come di specie, le questioni di natura tecnico-scientifica siano state compiutamente affrontate dai consulenti di parte, alle considerazioni e valutazioni di taluno dei quali il giudice può ben aderire, in virtù del principio del libero convincimento, respingendo quelle da altri proposte. Unico obbligo che incombe al giudice è di dare conto, con motivazione approfondita ed accurata, delle ragioni della scelta operata. Obbligo al quale ambedue i giudici del merito hanno compiutamente atteso, attraverso un'attenta e meticolosa ricostruzione della storia clinica del paziente, degli avvenimenti succedutisi durante il ricovero, degli interventi e delle terapie praticate, eseguita utilizzando la documentazione sanitaria e le dichiarazioni rese dai diversi testi escussi. L'ampia ed articolata istruttoria dibattimentale, incentratasi sull'esame dei consulenti, ha dato la possibilità ai giudici di valutare, nel contraddittorio delle parti, le tesi scientifiche dagli stessi prospettate su tutti gli aspetti di natura medico-legale, di talché la decisione è il frutto di una completo e puntuale confronto, legittimamente e motivatamente ritenuto dagli stessi giudici sufficiente per la soluzione della vicenda, senza necessità di ricorrere ad ulteriori strumenti probatori. e Ugualmente infondato, oltre che generico, è il terzo motivo di ricorso, laddove il ricorrente censura l'utilizzazione, da parte dei giudici, delle dichiarazioni rese dalla persona offesa anche tramite la figlia, in quanto non sottoposte ad attenta valutazione critica. A tale proposito, tuttavia, basterà osservare, da un lato, che il nucleo centrale della decisione impugnata è rappresentato da quanto emerso dalla documentazione e dalle consulenze medico-legali in atti, non certo dalle testimonianze acquisite dall'altro, che la censura si presenta palesemente generica, laddove nel ricorso si fa riferimento ad affermazioni testimoniali prive di riscontro ed alle motivazioni che avevano spinto la parte civile a presentare denuncia, solo parzialmente richiamate dai giudici del merito, senza tuttavia specificare i contenuti di dette affermazioni e le ulteriori motivazioni della denuncia non indicate nella sentenza. Nell'un caso e nell'altro, senza chiarire il concreto rilievo di tali circostanze ai fini della decisione. d Manifestamente infondato è l'ultimo dei motivi proposti, atteso che il giudice del gravame ha chiaramente esplicitato le ragioni per le quali ha ritenuto di negare le circostanze attenuanti generiche, legittimamente individuate nella condotta processuale dell'imputato, nella mancanza di qualsiasi sentimento di resipiscenza, nell'assenza di qualsiasi spontaneo intervento volto al risarcimento del danno. -2- Il ricorso del responsabile civile Azienda Ospedaliera omissis è inammissibile. In proposito, questa Corte ha affermato che È inammissibile il ricorso per cassazione proposto dal responsabile civile avverso la sentenza d'appello, quando questi non abbia impugnato in precedenza la decisione sfavorevole di primo grado Cass. Sez. IV 24.2.2011 numero 12027 . Principio, ampiamente condiviso, affermato sul rilievo che, allorché alla parte processuale indicata voglia ottenere una modifica in senso più favorevole della pronuncia di primo grado, deve proporre rituale appello. L'omessa impugnazione comporta la consunzione del relativo diritto e la conseguente acquiescenza alla sentenza. Il ricorso, che ripercorre le medesime censure svolte dall'imputato, è, comunque, infondato nel merito per le stesse ragioni già sopra esposte. -3- In conclusione, il ricorso dell'imputato deve essere rigettato, con condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali. Il ricorso del responsabile civile deve essere dichiarato inammissibile, con condanna dello stesso al pagamento delle spese processuali e di una somma, in favore della cassa delle ammende, che si reputa equo determinare in Euro 1.000,00. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso del responsabile civile e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro 1.000,00 in favore della cassa delle ammende. Rigetta il ricorso dell'imputato, che condanna al pagamento delle spese processuali.