Legittimo il muro in cemento per proteggere la propria privacy. Esigenza prevalente rispetto alla molestia creata alla villa dirimpetto

Dalla famiglia che abita di fronte arriva la richiesta di rimuovere il manufatto, dopo aver ottenuto la rimozione della precedente siepe. Domanda respinta perché la funzione di tutela, anche se ottenuta in modo parziale, rende l’opera pienamente legittima.

Luce oltre la siepe? Allora è legittima la sostituzione con un muro di cemento, opposto alla cancellata della villa di fronte. Perché la ricerca della riservatezza – anche alla luce dei pessimi rapporti tra vicini – è assolutamente giustificata, di conseguenza il manufatto – chiarisce la Cassazione, con sentenza numero 3598, sezione Seconda Civile, depositata oggi – non può essere considerato finalizzato a produrre fastidio nella famiglia vicina. Muro molesto A contestare la realizzazione del manufatto – in sostituzione di una siepe – è, ovviamente, la famiglia che abita nella villa di fronte, e che arriva, addirittura, a chiedere non solo la rimozione dell’opera ma anche il risarcimento dei danni. Su quali basi? Sull’«inestetismo» del muro, sulla «assenza di evidenti vantaggi» per il ‘costruttore’, sulla natura «meramente emulativa dell’opera», finalizzata, secondo questa visione, soltanto a «recare molestia». Ebbene, il ragionamento, secondo i giudici di primo grado, ha senso difatti, viene decisa la demolizione del manufatto. Perché esso determinava «un nocumento delle condizioni estetiche della proprietà» opposta, non bilanciato dalla «esistenza di ragioni di tutela della riservatezza o della sicurezza diverse da quelle assicurate in precedenza dalla siepe». Nonostante ciò, però, non viene accolta la richiesta di risarcimento. O pro privacy? Di avviso opposto, invece, i giudici di secondo grado, che considerano invece legittime le ragioni del ‘costruttore’. In questa ottica, viene riconosciuta al manufatto «la funzione di preservare la riservatezza della proprietà», e viene escluso l’«intento emulativo» anche perché «il muro sarebbe stato eretto circa un anno dopo l’eliminazione della siepe», anch’essa contestata dalla famiglia che abita la villa di fronte. Secondo la Corte d’Appello, quindi, nessuna necessità di rimuovere il contestato manufatto, anzi pieno riconoscimento alle esigenze dell’uomo che aveva deciso di erigerlo per tutelare la propria privacy. Pessimi rapporti. Querelle chiusa? Au contraire, come dimostra il ricorso in Cassazione, presentato dalla componente femminile della famiglia che punta alla rimozione del muro. E per raggiungere questo obiettivo viene richiamata, nuovamente, la valutazione dell’opera contestata per la precisione, il manufatto non comporta «percepibili vantaggi» per il ‘costruttore’, poiché «il muro non avrebbe comunque garantito la privacy, ben potendo la facoltà di veduta della ricorrente essere esercitata dal primo piano della propria abitazione» né «avrebbe potuto avere la funzione di ostacolare l’ingresso di terzi estranei, essendo limitato ad un lato solo della proprietà». E, per giunta, viene anche affermato che tale opera provoca, invece, gravi effetti per l’«impatto visivo» che ne è conseguito. Ma su questa prospettiva pesa un elemento, che i giudici di Cassazione ritengono di assoluto rilievo i «pregressi rapporti di cattivo vicinato». Alla luce di tale dato di fatto, è da ritenere legittima la volontà di «precludere ai vicini l’inspectio del proprio fondo, dapprima con una fitta siepe» e poi, eliminata la siepe su sollecitazione proprio dei vicini, «mediante un manufatto in cemento». Comunque, anche se questo obiettivo fosse raggiunto solo parzialmente, l’opera resterebbe pienamente legittima. Ecco perché la richiesta della ricorrente è da rigettare in toto.

Corte di Cassazione, sez. II Civile, sentenza 25 gennaio – 7 marzo 2012, numero 3598 Presidente Schettino – Relatore Bianchini Svolgimento del processo G.M. e S. e non S. M. citarono innanzi al Tribunale di Monza, sez. dist. di Desio, A.B., proprietario di un fondo attiguo al proprio, chiedendo che fosse condannato a rimuovere il muro di cemento che aveva eretto, sul terreno dello stesso convenuto, in sostituzione di una preesistente siepe, in diretta corrispondenza di una cancellata in ferro, sita nel fondo degli attori ciò in quanto ritenevano la natura meramente emulativa dell’opera, stante l’inestetismo della stessa e l’assenza di evidenti vantaggi che da essa sarebbero potuti derivare al convenuto. Svolsero di conseguenza domanda di risarcimento danni. Il Tribunale adito, pronunziando sentenza numero 192/2005 nel contraddittorio del B., condannò il convenuto alla demolizione del manufatto, ritenendo che la sua presenza determinasse un nocumento delle Condizioni estetiche della proprietà degli attori - che abitavano in una villetta poco distante dal manufatto - non controbilanciato dall’esistenza di ragioni di tutela della riservatezza o della sicurezza diverse da quelle in precedenza assicurate dalla siepe. Respinse peraltro le domande risarcitorie degli attori. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza numero 2149/2009, accolse l’impugnazione del B. ma ne rigettò la richiesta di risarcimento del danno per lite temeraria - regolando di conseguenza le spese dei due gradi di giudizio - in quanto escluse che fosse emersa l’evidenza di un intento emulativo nell’appellante, dal momento che il muro sarebbe stato eretto circa un anno dopo l’eliminazione della siepe - da parte, dell’appellante ma su richiesta degli appellati - ed attribuendo al manufatto la funzione di preservare la riservatezza della proprietà del B. La sola M. ha proposto ricorso in cassazione affidandolo a due motivi, cui ha resistito il B. con controricorso. Motivi della decisione I. – Non può conferirsi alcun rilievo processuale alla comunicazione - pervenuta via fax il giorno prima dell’udienza - con la quale gli asseriti nuovi difensori della M. della cui procura comunque non si rinviene traccia in atti partecipano alla Corte l’intervenuto “accordo” tra le parti e la conseguente volontà di non partecipare all’udienza collegiale ciò in quanto a - la comunicazione appare sottoscritta dalla ricorrente ma tale sottoscrizione è priva di attestazione di “vero di firma” in quanto apposta successivamente alla sottoscrizione dei pretesi nuovi difensori b - la stessa, per aver effetto escludente la volontà di proseguire il giudizio, avrebbe dovuto essere, quanto meno, riprodotta validamente in udienza. II - Sempre in via preliminare si osserva l’irrilevanza della mancata citazione di G.M., parte nei giudizi di merito, dal momento che non si verte in un’ipotesi di litisconsorzio necessario, data la natura risarcitoria dell’azione esercitata e la mancanza di qualunque contestazione, da parte del B., del diritto dominicale della ricorrente. 1. – La M. lamenta, con il primo motivo a - “ex art 360 numero 3 cpc – violazione e falsa applicazione degli articolo 833 e 885 e segg. Cod. civ. b - “ex articolo 360 numero 5 cpc – omessa, insufficiente e contradditoria motivazione circa un punto decisivo della controversia”, assumendo che la Corte distrettuale avrebbe inutilmente - e per altro verso, in maniera fuorviante nell’ottica del gravame - focalizzato la propria motivazione sulla normativa relativa al murio comune - articolo 885 cod. civ. - non esaminando però funditus la questione della finalità meramente emulativa dell’elevazione dello stesso premesso ciò la ricorrente ribadisce l’inesistenza - già addotta dal giudice di primo grado - di percepibili vantaggi per il controricorrente derivanti dalla costruzione del muro il quale, per contro, per il notevole impatto visivo e la innovazione che avrebbe determinato rispetto alla situazione precedente sostituzione di una siepe di pari altezza non poteva che essere valutato come atto emulativo. 2. - È condivisibile il rilievo attinente, all’inconferenza del richiamo alle norme sul muro comune in quanto le stesse disciplinano le facoltà del proprietario di costruire o immutare un manufatto che per essere sul confine, entra in comunione con il vicino nella fattispecie invece risulta incontestato che il manufatto sorgeva tutto nel fondo del B. non è invece fondato il motivo attinente alla falsa applicazione dell’articolo 833 cod. civ. in quanto l’analisi dei pregressi rapporti di cattivo vicinato riportata analiticamente in sentenza, ha condotto la Corte territoriale a ritenere sussistente una volontà – legittima - del contro ricorrente di precludere ai vicini 1’inspectio nel proprio fondo, dapprima con una siepe e poi, eliminata la stessa su sollecitazione dei medesimi, mediante la sua sostituzione con un manufatto in cemento. 2/a. - Ne consegue che, rimanendo la funzione del manufatto identica a quella della siepe, non poteva dirsi manifestamente priva di utilità la sostituzione del primo alla seconda. 3. - Non è invece delibabile in questa sede in quanto presupponente un accesso diretto agli atti di causa, precluso alla Corte, stante la natura di error in judicando del vizio dedotto la diversa questione - solo marginalmente esaminata dalla Corte milanese - se l’impatto visivo del muro fosse tale da determinare esso stesso una tale immutazione rispetto alla precedente situazione da essere di per sé emulativo. 4. - Infondata è poi la deduzione - che invece formò il punto centrale della sentenza di primo grado, poi riformata - secondo la quale a - il muro non avrebbe comunque garantito la privacy, ben potendo la facoltà di veduta della ricorrente essere esercitata dal primo piano della propria abitazione b né avrebbe potuto avere la funzione di ostacolare l’ingresso di terzi estranei - essendo limitato ad un lato solo della proprietà del B. 5. - Sul punto giudica la Corte che, ponendosi il carattere emulativo come limite esterno al diritto - in questo caso di proprietà - esercitabile del confinante, lo stesso debba essere valutato in termini restrittivi e dunque, se pure la nuova opera poteva non rispondere completamente a quei requisiti funzionali - sopra ricordati - che ne avevano giustificato la creazione, tuttavia la obiettiva idoneità a soddisfarli in gran parte consentiva l’esclusione del carattere emulativo e, quindi, della richiesta tutela, tanto più che quest’ultima era posta in termiti drastici di demolizione dell’opus novum, prospettando dunque un rimedio di ampiezza esorbitante la pretesa lesione subita. 6. - Le ragioni sopra esposte a sostegno dell’interpretazione da dare al concetto di residua utilità al fine di escludere l’intento emulativo, permette di respingere anche il secondo motivo, con il quale si lamentava la mancanza di una sufficiente motivazione atta a giustificare le scelte interpretative della Corte milanese che invece, vanno confermate. 7. - Il ricorso va dunque respinto perché infondato, anche se non appaiono ricorrenti i presupposti per affermarsene la palese - e quindi manifesta - infondatezza, quale presupposto per l’applicazione dell’articolo 385, IV comma cpc ora articolo 96, 111 comma cpc, introdotto dall’articolo 45, XII comma, l. 69/2009 , come richiesto dal PG in sede di requisitoria ciò in considerazione del divergente esito dei due giudizi di merito e del rinvio alla pubblica udienza da parte del consigliere designato allo “spoglio” preliminare del ricorso - ex articolo 380 bis cpc in relazione all’articolo 375 numero 5 cpc - sul presupposto appunto della mancata evidenza di una manifesta infondatezza dello stesso. 8. - Le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come da dispositivo. P.Q.M. La Corte Rigetta il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese che liquida in € 2.200,00 di cui € 200,00 per esborsi, oltre IVA, CAP e spese generali come per legge.