Sgradevole disturbo insorto dopo l’intervento: il carattere polifattoriale dell’affezione esclude la responsabilità del medico

In tema di responsabilità del medico per i danni subiti da un paziente a seguito di un intervento chirurgico, l’accertamento da parte del consulente tecnico della presenza di fattori che riconducono con certezza probabilistica la patologia ad altre cause, esclude con certezza probabilistica il nesso eziologico tra la patologia e la condotta del medico.

Questo il principio affermato dalla Corte di Cassazione, nella pronuncia numero 4792, depositata il 26 febbraio 2013, con cui è stata respinta la domanda risarcitoria formulata da una donna nei confronti del medico che l’aveva operata. La pretesa nasceva dalla insorgenza di un disturbo invalidante presumibilmente riconducibile all’intervento. La Cassazione, nel rigettare i motivi di ricorso, ha confermato la pronuncia della Corte territoriale, la quale aveva escluso il nesso causale tra i danni lamentati e l’intervento, in ragione del riscontro, da parte del consulente tecnico, di fattori alternativi ai quali con certezza probabilistica era riconducibile il disturbo. Rilevavano, nello specifico, il carattere polifattoriale della malattia, la sottoposizione ad intereventi chirurgici successivi a quello effettuato dal medico citato in giudizio, nonché l’assenza di riscontri documentali della malattia nei 10 anni successivi all’intervento. Nell’accertamento della responsabilità medica la consulenza è sempre di tipo «percipiente». Al fine di respingere le censure mosse dalla ricorrente, i giudici di legittimità richiamano alcuni principi in tema di consulenza tecnica. Nello specifico, allorché i fatti da accertare nel giudizio necessitino di specifiche conoscenze tecniche, il giudice può affidare al consulente non solo l’incarico di valutare i fatti accertati consulente deducente , ma anche quello di accertare i fatti stessi consulente percipiente in tale ultimo caso la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova Cass. 13 marzo 2009 numero 6155 . Ebbene, secondo quanto ritenuto dalla Suprema Corte, nei casi di accertamento della responsabilità medica, la consulenza tecnica è sempre di tipo percipiente. Ciò in ragione dell’indiscutibile necessità di conoscenze tecniche specialistiche non solo per la comprensione dei fatti, ma anche per la stessa rilevabilità di fatti che, per essere individuati, richiedono specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche. La regola del «più probabile che non» nell’accertamento del nesso causale. Ciò posto, viene richiamato l’ormai pacifico orientamento giurisprudenziale che, in materia civile, impone di utilizzare, ai fini dell’accertamento del nesso di causalità, la regola della preponderanza dell’evidenza o del «più probabile che non». Detto standard risulta dall’applicazione della regola della probabilità, come relazione logica, rispetto a tutti gli elementi che confermano il nesso causale e all’esclusione di altri elementi alternativi che lo escludano. Sulla scorta di tale principio, il giudice, avvalendosi dei contenuti della consulenza tecnica, deve pervenire alla riferibilità causale dell’evento all’ipotetico responsabile solo se il primo sia più probabile che non che sia attribuibile al secondo, per la presenza di fattori che probabilisticamente ad esso lo riconducono e per l’assenza di fattori che lo riconducano ad altra causa. Nel caso di specie, la Corte di merito aveva fatto corretta applicazione della regola del «più probabile che non», avendo considerato la presenza di fattori, messi in evidenza dalla consulenza, che riconducendo con certezza probabilistica il disturbo lamentato dalla paziente ad altre cause, escludevano con la medesima certezza probabilistica il nesso eziologico tra il danno e la condotta del medico. L’applicazione della regola probabilistica non rende incerto l’accertamento. La circostanza che il consulente tecnico avesse ricondotto la patologia a dei fattori alternativi utilizzando la regola probabilistica aveva indotto la ricorrente a criticare la decisione della Corte di merito nella parte in cui la stessa, facendo leva sui risultati della consulenza, aveva escluso il nesso eziologico tra il danno e l’intervento del medico. A parere della ricorrente, l’accertamento effettuato in termini di certezza probabilistica si sarebbe tradotto in una incertezza nell’accertamento, da addebitare, secondo l’insegnamento della giurisprudenza Cass. 17 febbraio 2011, numero 3847 , al medico, gravando l’onere della prova su quest’ultimo e non sul danneggiato. Alla stregua dell’indirizzo richiamato, il difetto di accertamento del fatto astrattamente idoneo ad escludere il nesso causale non può essere invocato da chi quell’accertamento avrebbe potuto compiere e non ha compiuto. In realtà tale giurisprudenza, applicando il principio che l’incertezza non può andare a favore del soggetto su cui grava l’onere probatorio, si riferisce all’incertezza derivante dalla mancanza di accertamenti diagnostici che avrebbero potuto essere dirimenti. Ma ciò non è riscontrabile nel caso di specie, ove non sussisteva alcuna incertezza sugli accertamenti diagnostici. Sicché la censura della ricorrente si è rivelata del tutto priva di pregio.

Corte di Cassazione, sez. III Civile, sentenza 24 gennaio - 26 febbraio 2013, numero 4792 Presidente Berruti – Relatore Carluccio Svolgimento del processo 1. O F. convenne in giudizio nel 2000 il prof. G D. e la Casa di cura Villa Santa Maria srl, chiedendo il risarcimento dei danni 2 miliardi di lire per la grave incontinenza fecale, riconducibile - secondo quanto aveva appreso nel 1998, quando aveva subito un nuovo intervento chirurgico overlapping sfinterico - a un precedente intervento chirurgico eseguito dal D. nel ulcera solitària rettale . La Casa di cura rimase contumace. Il medico eccepì la prescrizione dell'azione e, nel merito, sostenne che i danni lamentati dall'attrice erano riconducibili ad un diverso intervento chirurgico eseguito da altro medico nel 1995 legatura con elastico fistola perineale . Il Tribunale di Padova rigettò le domande e condannò alle spese processuali, ritenendo fondata l'eccezione di prescrizione sollevata dal medico ed escludendo ogni profilo di responsabilità nei confronti della Casa di cura. 2. La Corte di appello di Venezia, accogliendo parzialmente l'impugnazione, compensò le spese processuali e confermò, con diverse argomentazioni, il rigetto delle domande sentenza del 9 settembre 2009 . 2. Avverso la suddetta sentenza F. propone ricorso per cassazione con tre motivi. Resistono con controricorso la Casa di cura e D. . Quest'ultimo propone ricorso incidentale condizionato, in ordine alla prescrizione dell'azione. La F. resiste con controricorso al ricorso incidentale e deposita memoria. Motivi della decisione 1. È preliminare l'eccezione di nullità, inammissibilità, improcedibilità del ricorso, per mancata indicazione del codice fiscale dei difensori, prospettata dal D. . 1.1. L'eccezione va rigettata. Di recente la Corte ha affermato il principio secondo cui “La previsione contenuta nell'articolo 125, primo comma, cod. proc. civ., come modificato dall'articolo 4, comma 8, lettera a , del d.l. 29 dicembre 2009 numero 193, convertito, con modificazioni, dalla legge 22 febbraio 2010 numero 24, secondo la quale il difensore indica il proprio codice fiscale, non è causa di nullità del ricorso, non essendo, tale conseguenza, espressamente comminata dalla legge, e non potendo ritenersi che siffatta omissione integri la mancanza di uno dei requisiti formali indispensabili all'atto per il raggiungimento dello scopo cui è preposto”. Cass. 23 novembre 2011, numero 24717 . Il collegio condivide il suddetto principio e intende darne continuità. 2. La Corte veneziana, dopo avere deciso che il diritto non era prescritto secondo la giurisprudenza di legittimità Sez. Unumero 11 gennaio 2008, numero 576 , ha rigettato la domanda sulla base delle essenziali argomentazioni che seguono. Ha ritenuto corretta la tesi dell'appellante in ordine alla ripartizione dell'onere probatorio, affermata da Sez. Unumero 11 gennaio 2008, numero 577, secondo la quale all'attore danneggiato è sufficiente provare il contratto il contatto e il danno e allegare l'inadempimento dei convenuti, spettando a questi provare l'inesistenza dell'inadempimento oppure che, in presenza dello stesso, deve escludersi il collegamento eziologico con la pretesa risarcitoria. Quindi, decidendo la fattispecie, sulla base della consulenza tecnica, ha ritenuto acquisita l'”esclusione della possibilità di ricondurre, in termini scientificamente plausibili e sia pure in termini di concausa, la patologia lamentata dalla F. all'operato del D. ”. Alle suddette conclusioni, la Corte è pervenuta evidenziando alcuni snodi dei risultati della consulenza - l'incontinenza fecale, riferita dalla danneggiata a tempi immediatamente successivi all'intervento chirurgico del D. nel , non aveva trovato alcun riscontro precedente al OMISSIS , epoca della visita del medico M. che, nel , aveva effettuato l'intervento sulla fistola - l'incontinenza fecale si caratterizza quale disturbo polifattoriale, che può derivare da degenerazioni dei muscoli, che sovente si presentano nel periodo di menopausa e la F. all'età di 36 anni aveva patito di prolasso genitale e incontinenza urinaria - probabile incidenza degli interventi chirurgici subiti nel 1995 e nel 1998 - l'inconveniente non ha presentato sostanziali modifiche dopo l'intervento sugli sfinteri nel 1998. Quanto alla lesione sfinteriale in occasione dell'intervento del 1988, accertata dalla consulenza, la Corte - rispondendo alle critiche mosse sul punto dalla danneggiata appellante - ha ritenuto che dalla stessa consulenza fosse ricavabile una valutazione favorevole al D. in termini di nesso causale, atteso che, secondo gli stessi consulenti, la fistola è molto in basso rispetto al luogo dove era stata collocata la protesi con il primo intervento, con la conseguente conclusione che la lesione si sia spontaneamente chiusa. La Corte conclude l'analisi della consulenza, ritenendo che nella stessa non c'è il riconoscimento - sia pure in termini probabilistici e possibilistici - della derivazione dei danni lamentati dalla lesione sfinteriale accertata in occasione della operazione del , quanto, piuttosto, il riconoscimento dell'impossibilità di affermare la sussistenza di tale legame per la molteplicità dei fattori diversi e irrilevanti nella causa di accertamento della responsabilità del D. in grado di determinare l'incontinenza. 3. I motivi, per la stretta connessione, vanno affrontati congiuntamente, anche perché senza le argomentazioni del primo, il secondo sarebbe generico senza la deduzione di violazione di legge del secondo, il primo sarebbe inammissibile per la parte che argomenta con profili giuridici pur deducendo vizi di motivazione senza le argomentazioni del primo, il terzo sarebbe generico. 3.1. Con il primo motivo del ricorso principale si deduce, in riferimento all'articolo 360 numero 5 cod. proc. civ., insufficienza e contraddittorietà di motivazione, nel senso che la sentenza avrebbe utilizzato argomenti logico-giuridici insufficienti nell'individuare le ragioni della non responsabilità del D. e, al contempo, contraddittori, rispetto al principio di diritto in tema di ripartizione dell'onere della prova correttamente enunciato dalla sentenza ed, in particolare pag. 12 ricorso , il vizio di motivazione concernerebbe il fatto controverso costituito dalla ritenuta inesistenza/esistenza del nesso causale tra intervento chirurgico del 1988 e il danno lamentato. 3.1.1. Premesso che sulla base della regola della ripartizione dell'onere probatorio, ritenuta applicabile dalla Corte di merito, sarebbe spettato al medico dimostrare l'inesistenza dell'inadempimento o, in presenza dell'inadempimento, la mancanza del nesso causale tra l'intervento chirurgico e la patologia della paziente, si denuncia insufficienza e contraddittorietà della motivazione sulla esistenza/inesistenza del nesso causale in riferimento a alla rilevata complessità del quadro generale, dato dal tempo trascorso e dai plurimi interventi, che, intesi come difficoltà di provare il legame eziologico tra intervento e danno, avrebbero dovuto operare a sfavore della controparte b alla mancanza di prova dell'esistenza della patologia prima del omissis , in sé neutro, e che avrebbero dovuto operare a sfavore della controparte c alla parte in cui la sentenza riconoscerebbe che, secondo la consulenza, l'intervento del 1988 aveva determinato una lesione sfinteriale e poi desumerebbe, dalla posizione della fistola rispetto alla protesi, che vi sarebbe stata una spontanea obliterazione della stessa. 3.2. Con il secondo motivo si deduce erronea interpretazione e applicazione dell'articolo 1218 cod. civ. nella parte esplicativa si afferma che l'attrice ha allegato e provato il danno che il legame causale è confortato dalla scienza medica che l'onere probatorio incombe sul debitore. 3.3. Con il terzo motivo si deduce violazione e falsa applicazione dell'articolo 61 cod. proc. civ. unitamente a vizio di motivazione. 3.3.1.Nella parte esplicativa, richiamando l'affermazione contenuta in sentenza, in riferimento alla consulenza tecnica, che “deve stimarsi travalicare la funzione di mero strumento della prova”, si denuncia la violazione del principio giurisprudenziale secondo cui la consulenza non può accertare fatti che potrebbero essere oggetto “di prova testimoniale”. Poi si riportano alcuni stralci della consulenza, che sembrano riferibili alla lesione sfinteriale accertata, deducendo che la Corte avrebbe dovuto tenerne conto nell'ambito dei limiti e dei paletti dell'articolo 61 cod. proc. civ., senza altra esplicitazione. Quindi, si sostiene, genericamente, l'ambiguità delle conclusioni della consulenza nell'escludere la certezza sulla riconducibilità dei danni lamentati alla suddetta lesione. 4. Le censure alla sentenza impugnata sono prive di pregio e vanno rigettate. 4.1. La ricorrente individua correttamente la regola dell'onere probatorio applicabile - sulla base della giurisprudenza di legittimità consolidata - in tema di responsabilità contrattuale della struttura sanitaria e di responsabilità professionale da contatto sociale del medico regola secondo la quale l'attore, paziente danneggiato, deve limitarsi a provare l'esistenza del contratto o il contatto sociale ed allegare l'insorgenza o l'aggravamento della patologia e l'inadempimento qualificato del debitore, quale inadempimento astrattamente idoneo a provocare quale causa o concausa efficiente il danno lamentato, rimanendo a carico del debitore dimostrare, o che tale inadempimento non vi è stato, ovvero che, pur esistendo, esso non è stato causa del danno. Sez. Unumero numero 577 del 2008 cit. . Poi, partendo dal presupposto che gli esiti della consulenza sono stati incerti in ordine all'esistenza del nesso causale tra la patologia della F. e l'intervento chirurgico del prof. D. , la ricorrente costruisce le censure alla sentenza lungo un filo comune. Questo è costituito dalla tesi che tale incertezza nell'accertamento del nesso causale opera a danno del medico, debitore della prestazione, sul quale graverebbe l'onere probatorio della mancanza dell'inadempimento e, nella specie, per l'assunto avvenuto accertamento dell'inadempimento lacerazione mucosa/lesione sfinteriale , l'onere di provare che tale inadempimento non si collega eziologicamente al danno. 4.2. È errato il presupposto. E non nel senso che è prospettata una interpretazione della consulenza diversa da quella fatta propria dal giudice di merito peraltro, le censure non riguardano mai direttamente la consulenza bensì, nel senso del mancato utilizzo, nella lettura degli esiti della consulenza, della regola probatoria che governa la ricostruzione del nesso causale nel processo civile, la quale - secondo la giurisprudenza consolidata di legittimità - è quella “della preponderanza dell'evidenza?” o “del più probabile che non” Sez. Unumero 11 gennaio 2008, numero 576 regola della quale, invece, come si dirà, la Corte di merito ha fatto corretta applicazione. 4.3. Preliminarmente, è necessario sgombrare il campo dalla tesi, invocata dalla ricorrente terzo motivo , del limite all'accertamento dei fatti con consulenza tecnica. La giurisprudenza di legittimità è consolidata nel riconoscere la cosiddetta “consulenza percipiente”. Quando i fatti da accertare necessitano di specifiche conoscenze tecniche, il giudice può affidare al consulente non solo l'incarico di valutare i fatti accertati consulente deducente , ma anche quello di accertare i fatti stessi consulente percipiente in tale ultimo caso la consulenza costituisce essa stessa fonte oggettiva di prova ed è necessario e sufficiente che la parte deduca il fatto che pone a fondamento del suo diritto e che il giudice ritenga che l'accertamento richieda specifiche cognizioni tecniche tra le tante, Cass. 13 marzo 2009, numero 6155 . Di tale tipo è la consulenza nel caso di specie come è naturale, che sia sempre di tale tipo, in casi di accertamento della responsabilità medica, per la innegabilità delle conoscenze tecniche specialistiche necessarie, non solo alla comprensione dei fatti, ma alla rilevabilità stessa di fatti che, per essere individuati, abbisognano di specifiche cognizioni e/o strumentazioni tecniche. E, proprio gli accertamenti in sede di consulenza offrono al giudice il quadro dei fattori causali entro il quale far operare la regola probatoria della certezza probabilistica per la ricostruzione del nesso causale. 4.4. È oramai pacifico, che la certezza probabilistica in materia civile non può essere ancorata esclusivamente alla determinazione quantitativa/statistica delle frequenze di classi di eventi cosiddetta probabilità quantitativa o pascaliana , che potrebbe mancare o essere inconferente. Così come è pacifico che la certezza probabilistica, rispetto all'ipotesi di nesso causale da accertare, risulta dall'applicazione della regola della probabilità, come relazione logica, rispetto a tutti gli elementi che confermano il nesso causale e all'esclusione di altri elementi alternativi che lo escludano cosiddetta probabilità logica o baconiana . Allora, la consulenza svolge un ruolo centrale, e nell'individuare i fattori causali, positivi e negativi, in gioco, e nel dare spessore e contenuto alla probabilità sulla base delle conoscenze scientifiche. Mentre, al giudice spetta di esaminare i contenuti della consulenza e pervenire alla riferibilità causale dell'evento all'ipotetico responsabile solo se il primo sia più probabile che non che sia attribuibile al secondo, per la presenza di fattori che probabilisticamente ad esso lo riconducono e per l'assenza di fattori che lo riconducano ad altra causa. 4.4.1. Nella specie, correttamente, la Corte di merito ha fatto applicazione della “regola del più probabile che non”, avendo considerato la presenza di fattori, messi in evidenza dalla consulenza, che, riconducendo con certezza probabilistica la patologia lamentata ad altre cause, escludevano con certezza probabilistica il nesso eziologico della patologia con la condotta del medico. Ed a tal fine rileva il carattere polifattoriale della malattia, ancorato soggettivamente allo stato di salute della danneggiata l'effettuazione di interventi chirurgici successivi a quello fatto dal prof. D. nel , in stretta connessione con l'accertamento dell'assenza di riscontri documentali della malattia sino alla metà dell'anno 1997. Né d'altra parte, la “lesione sfinteriale” che, secondo l'assunto della ricorrente, ci sarebbe stata nell'intervento del 1988 sulla base della consulenza, e che il giudice, sempre secondo la ricorrente, avrebbe contraddittoriamente ritenuto non sfavorevole al medico sulla base della “congettura” che si sarebbe rimarginata, è idonea a mettere in discussione l'esclusione del nesso causale. Infatti, da un lato la ricorrente assimila impropriamente la “lesione sfinteriale”, accertata dal consulente come riferibile all'anno 1997, alla “lesione della mucosa e i tre punti di sutura” sicuramente riscontrati come accaduti nel 1988 dall'altro, sono gli stessi consulenti e non il giudice a ritenere quella lesione del 1988 si era spontaneamente chiusa. 4.4.2. Invece, la ricorrente interpreta l'esclusione del nesso eziologico attraverso l'accertamento effettuato in termini di certezza probabilistica e, in genere, tutte le conclusioni in termini di regola probabilistica della consulenza, come incertezza dell'accertamento e vorrebbe far ricadere tale incertezza sul debitore/medico, gravando l'onere della prova sull'obbligato e non sul danneggiato, che ha adempiuto ai suoi oneri di allegazione e prova. In tale prospettazione sembra rinvenirsi l'eco di quella giurisprudenza, secondo la quale, il difetto di accertamento del fatto astrattamente idoneo ad escludere il nesso causale non può essere invocato da chi quell'accertamento avrebbe potuto compiere e non ha compiuto Cass. 17 febbraio 2011, numero 3847 secondo la quale, la difettosa tenuta della cartella clinica, consente il ricorso alla presunzioni, assumendo rilievo il criterio della vicinanza della prova Cass. 27 aprile 2010, numero 10060 . Ma, è evidente la non pertinenza del richiamo, atteso che questa giurisprudenza, applicando il principio che l'incertezza non può andare a favore di colui che dovendo provare aveva la possibilità di farlo, si riferisce all'incertezza derivante dalla mancanza di accertamenti diagnostici o di annotazioni diagnostiche, che avrebbero potuto essere dirimenti. Mentre, nel nostro caso, questi elementi non vengono in rilievo, non sussistendo alcuna incertezza sugli accertamenti diagnostici. In definitiva, il ricorrente confonde le conclusioni alla stregua del criterio della probabilità e, quindi, in termini di certezza probabilistica, con l’incertezza sul nesso causale e con l'incertezza derivante da mancanza di accertamenti diagnostici o annotazioni diagnostiche. 5. Al rigetto del ricorso principale consegue l'assorbimento del ricorso incidentale, espressamente condizionato. 6. Le spese processuali, liquidate sulla base dei parametri vigenti di cui al d.m. numero 140 del 2012, seguono la soccombenza. P.Q.M. La Corte di Cassazione decidendo sui ricorsi riuniti, rigetta il ricorso principale dichiara assorbito il ricorso incidentale condizionato condanna la ricorrente al pagamento, in favore di ciascuno dei controricorrenti, delle spese processuali del giudizio di cassazione, che liquida in Euro 3.700,00, di cui Euro 200,00 per spese, oltre alle spese generali ed agli accessori di legge.