L’accertamento induttivo dell’IVA è legittimo nei casi in cui l’impresa immobiliare effettui delle vendite immobiliari sottocosto.
I saldi aprono le porte all’accertamento. Con Ordinanza del 10 febbraio 2012, numero 1972, la Corte di Cassazione ha statuito che, in caso di impresa immobiliare che vende sottocosto, è legittimo l’accertamento induttivo dell’IVA. Secondo la Suprema Corte, «l’ufficio legittimamente procede a rettifica quando vi siano condotte non economicamente giustificate quali l’antieconomicità di comportamenti imprenditoriali che il contribuente non spieghi in alcun modo e siano in conflitto con i criteri della ragionevolezza l’armonizzazione di tributi sulla cifra d’affari non pone barriere alla potestà accertatrice domestica, anche in funzione anti-elusiva e con il solo basarsi anche su presunzioni semplici per la prova a carico del fisco». Il caso. La vicenda ha riguardato un contribuente, titolare di un'impresa di costruzioni, che aveva venduto tre unità immobiliari a 365mila euro. L'ufficio, valutati i costi nella zona, l'importo molto superiore dei finanziamenti chiesti dagli acquirenti ha rettificato l'Iva e il valore della vendita facendolo aumentare a 649mila euro. I giudici tributari di merito hanno confermato la pretesa erariale. Il giudice di legittimità, nel dichiarare inammissibile il ricorso per cassazione del contribuente, ha confermato l’operato dell’ufficio che per l'anno 2005, ai fini IVA e I.I.D.D, aveva recuperato maggiori ricavi per 284.350 euro per la vendita di tre unità immobiliari. Per la suprema Corte, in particolare, è legittimo l'accertamento induttivo dell'Iva a carico dell'impresa immobiliare che vende sottocosto anche in relazione al mutuo preso dall'acquirente, ovvero che vende gli immobili ben al di sotto del prezzo di mercato. Ci sono gravi incongruenze, intrinseche ed estrinseche. Secondo la citata pronuncia l'ufficio legittimamente procede a rettifica quando vi siano condotte non economicamente giustificate, quali l'antieconomicità di comportamenti imprenditoriali che il contribuente non spieghi in alcun modo e siano in conflitto con i criteri della ragionevolezza. Quella rilevata dalla CTR, è una grave incongruenza tra i ricavi contabilizzati delle tre operazioni di vendita immobiliare, pari a una frazione del tutto esigua dei prezzi e dei costi contabilizzati, e i ricavi ragionevolmente ritraibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività, il tutto in presenza d'incongruenze intrinseche prezzi/mq ed estrinseche mutui . Il ragionamento della CTR non è fondato sul semplice scostamento fra il valore normale di vendita ed il prezzo, ma valorizza la presenza anche di altri elementi presuntivi, i quali, tra loro associati, sono astrattamente idonei a sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa, senza che ciò si risolva in alcuna violazione di principi diritto nazionale o comunitario, atteso che l'armonizzazione di tributi sulla cifra d'affari non pone barriere alla potestà accertatrice domestica, anche in funzione anti-elusiva e con il solo basarsi su presunzioni semplici per la prova a carico del fisco. Il comportamento o contegno irragionevole e antieconomico del contribuente giustifica la pretesa erariale. Si configura ipotesi di operazione antieconomica quando il contribuente assume un comportamento assolutamente contrario ai canoni dell’economia e non spieghi in alcun modo le ragioni sottostanti a tale comportamento. Per valutare la congruenza sostanziale delle scritture contabili, ci si deve rifare alla regola che ispira chiunque svolga un'attività economica che è quella della massimizzazione del profitto. Pertanto, alla presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che l'incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si nasconda una diversa realtà. Sebbene, il comportamento antieconomico sia, di per sé, del tutto legittimo e non necessariamente «patologico» in quanto può essere una diretta conseguenza della libera autonomia dell’attività di impresa, se esso sottende un’evidente anomalia nell’azione del contribuente in grado di celare una grave irregolarità nelle operazioni svolte e quindi nell’imponibile indicato nella dichiarazione dei redditi, allora tale comportamento è da ritenersi contrario alla legge. Difatti, in tal caso risulta legittimo il ricorso all’accertamento induttivo Cass numero 1821/2001 . Il sindacato dell'Amministrazione finanziaria circa il comportamento antieconomico del contribuente non trova limiti nella disposizione relativa alla libertà di iniziativa privata articolo 41 Cost. . La rettifica è legittimata dall'esistenza di un comportamento manifestamente antieconomico che determina l'inversione dell'onere della prova in capo al contribuente Cass., sez. V, numero 793/2004 . L'Amministrazione finanziaria può rettificare la dichiarazione dei redditi d'impresa del contribuente anche in presenza di una contabilità formalmente regolare, dimostrando secondo il c.d. metodo analitico-induttivo l'inesattezza o l'incompletezza di una o più poste, mediante i dati forniti dal contribuente o mediante presunzioni semplici, gravi o precise e concordanti, desunte da dati di comune esperienza, anche secondo regole fondamentali di buon senso e ragionevolezza. È legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia apparente. La regola alla quale si ispira chiunque svolga una attività economica è quella di ridurre i costi, a parità di tutte le altre condizioni, e pertanto in presenza di un comportamento che sfugga a questo parametro di buon senso ed in assenza di una sua diversa giustificazione razionale, è legittimo il fondato sospetto che la incongruenza sia soltanto apparente e che dietro di essa si celi una diversa realtà, con il conseguente onere di colui che ha posto in essere un comportamento antieconomico di fornire una giustificazione razionale della propria scelta, che d'altra parte appare essere il simmetrico od il reciproco all'obbligo di motivazione degli atti che grava sull'amministrazione finanziaria Cass., Sez. V, numero 1821/2001 . In punto di prova, la presunzione che assiste l'operato degli accertatori è legale, nel senso che null'altro l'Ufficio è tenuto a provare se non quanto emerge dal procedimento deduttivo fondato sulle risultanze esposte, gravando sul contribuente l'onere di dimostrare la regolarità delle operazioni effettuate, anche in relazione alla contestata antieconomicità delle stesse.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile, ordinanza 11 gennaio - 10 febbraio 2012, numero 1972 Presidente Merone – Relatore Cirillo Fatto e diritto La Corte, ritenuto che, a sensi dell'articolo 380 bis c.p.c, è stata depositata in cancelleria la seguente relazione «Con sentenza del 23 febbraio 2010 la CTR-Lombardia ha rigettato l'appello proposto da A. A. nei confronti dell’Agenzia delle entrate confermando il recupero a tassatone, per l'anno 2005 IVA e I.I.D.D. , di maggiori ricavi 284.350 € oltre a IVA-4% , pari alla differenza tra l'importo contabilizzato per la vendita di tre unità immobiliari 365.000 € e quello determinato dall'ufficio 649.350 € . Ha motivato la decisione ritenendo che l'accertamento fosse legittimo, stante l'assai significativo scostamento dei valori riportati in atto rispetto a quelli obiettivamente rilevati, per epoca e zona, dall'osservatorio del mercato immobiliare con l'incremento del 30% per gli immobili di nuova costruzione . Ha rilevato, inoltre, che a il costo contabilizzato di costruzione dei tre immobili venduti, al netto della mano d'opera, era solo di poco inferiore 18.349,32 € al prezzo di vendita, al lordo delle imposte b l'importo dei mutui contratti dagli acquirenti era addirittura superiore al prendo di acquisto dichiarato e v'era incoerenza assoluta tra gli stessi prezzi dichiarati, atteso che un primo alloggio di 120 mq con box di 46 mq era stato venduto per 125.000 €, mentre un secondo alloggio di ben 162 mq con box di 39 mq era stato inspiegabilmente venduto a soli 120.000 €. Il 3 settembre 2010 ha proposto ricorso per cassatone, affidato a un solo motivo, il contribuente l'agenzia delle entrate e il ministero dell'economia e delle finanze non si sono costituiti. Il ricorso è inammissibile. Preliminarmente, si segnala la carenza di legittimazione processuale dell'altro soggetto evocato dinanzi a questa Corte, il Ministero dell'economia e delle finanze, che non è stato parte nel giudizio di secondo grado ed è oramai estraneo al contenzioso tributario dopo la creazione delle agenzie fiscali. La chiamata ministeriale in cassazione è dunque inammissibile e il ricorso della contribuente va esaminato unicamente riguardo all'Agenzia delle entrate, che è la sola a essere legittimamente intimata. Passando all'esame del contenuto del ricorso, con l'unico mezzo per violazione di legge d.p.r. 600/73, articolo 39 co. 1 , il contribuente muove due censure. In primo luogo, lamenta che l'Ufficio e la CTR avrebbero trasformato in prova il metodo induttivo di valutazione, così invertendo il processo logico degli accertamenti, il tutto in contrasto col principio comunitario “del corrispettivo” e dando credito a semplici congetture, quali quelle desunte dalle analisi statistiche dell'osservatorio del mercato immobiliare o da elementi esterni sfuggenti come i mutui stipulati dai compratori. In secondo luogo, lamenta che la CTR non avrebbe valutato correttamente né le insindacabili scelte imprenditoriali sulla convenienza dei prezzi, né l'entità reale dei mutui dei compratori, né il fatto che il contribuente, quale artigiano, trova remunerazione nell'utile d'esercizio e non dal tempo di presenza in cantiere. Tanto premesso, quella concretamente contestata, in entrambe le censure, non è l'applicatone e/o l'interpretazione di norme di legge, bensì la valutatone di dati di fatto emersi in sede dì merito circa l'affermata inattendibilità dei valori monetari indicati come prezzi di vendita, quali il forte scostamento rispetto alle risultante dell'osservatorio del mercato immobiliare, l'esiguità dell'utile contabile dell'intera operatone 18.349,32 € rispetto ai rilevanti costi contabilizzati 346.650,68 € , la ricostruitone comparativa degli importi mutuati dai compratori rispetto ai costi finali d'acquisto comprensivi di oneri fiscali, notarili, di mediazione, etc. . È noto che l'ufficio legittimamente procede a rettifica quando vi siano condotte non economicamente giustificate quali l'antieconomicità di comportamenti imprenditoriali che il contribuente non spieghi in alcun modo Cass. 26635/08, 417/08 e siano in conflitto con i criteri della ragionevolezza Cass. 13915/ 09, 26635108, 10649f 01 . Quella rilevata dalla CTR, è una grave incongruenza tra i ricavi contabilizzati delle tre operazioni di vendita immobiliare, pari a una frazione del tutto esigua dei prezzi e dei costi contabilizzati e i ricavi ragionevolmente ritraibili dalle condizioni di esercizio della specifica attività, il tutto in presenza d'incongruenze intrinseche prezzi/mq ed estrinseche mutui . Il ragionamento della CTR non è fondalo sul semplice scostamento tra il valore normale di vendita e il prezzo, ma valorizza la presenza anche di altri elementi presuntivi, i quali, tra loro associati, sono astrattamente idonei a sostenere la pretesa tributaria in fase contenziosa, senza che ciò si risolva in alcuna violazione di principi diritto nazionale o comunitario, atteso che l'armonizzazione di tributi sulla cifra d'affari non pone barriere alla potestà accertatrice domestica, anche in funzione antielusiva e con il solo basarsi anche su presunzioni semplici per la prova a carico del fisco cfr. da ultimo la Legge Comunitaria 2008, 7 luglio 2009, numero 88, articolo 24 . Sulla base delle esposte considerazioni, il ricorso attiene, più che ad aspetti di diritto, a profili valutativi di risultanze di fatto che, risolvendosi nel tentativo di una rivisitazione generalizzata delle emergenze processuali, appartiene esclusivamente al giudice del merito e va, dunque, sanzionata con l'inammissibilità del ricorso. Inoltre, la denunciata violatone dì legge si risolve in una ricognizione della fattispecie concreta, a mezzo delle risultante di causa e attinge la tipica valutazione del giudice del merito, la cui censura è ammissibile, in cassatone, solo sotto l'aspetto del vizio di motivandone. Lo scrimine tra l'una e l'altra ipotesi — violazione di legge in senso proprio a causa dell'erronea ricognizione dell'astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente ricostruzione della fattispecie concreta — è segnato dal rilievo che solamente quest'ultima censura e non anche la prima è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa Cass. 19748/11, GD numero 45/11, 52 . Infine, il ricorso pecca pure di autosufficienza atteso che, censurando la sentenza della commissione regionale nella sua adesione al contenuto dell'avviso d'accertamento, omette di riportare prima di tutto i passi della motivazione dell'atto impositivo che si assumono erronei ed erroneamente condivisi dai giudici d'appello cfr. in genera/e Cass. 12786/06 e 13007/07 . Deve ribadirsi, in conformità del resto a una giurisprudenza più che consolidata di questa Corte regolatrice, da cui totalmente prescinde la parte ricorrente, che è necessario che essa ottemperi al principio di autosufficienza del ricorso correlato all'estraneità del giudizio di legittimità all'accertamento del fatto , riportando la situazione documentale della quale si chiede un'adeguata valutazione, ivi comprese anche le fonti contrattuali vendite e mutui in discussione, delle quali in particolare non solo non v'è trascrizione, neppure delle parti salienti Cass. 19495/11, GD numero 44/2011, 67 , ma non v'è neanche alcuna specifica indicazione per il loro materiale reperimento SU 22726/11 . Conseguentemente il ricorso può essere deciso in camera di consiglio ai sensi dell'articolo 375, comma 1, c.p.c». Rilevato che la relazione è stata comunicata al Pubblico Ministero e notificata all'unica parte costituita osservato che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condividendo i motivi in fatto e in diritto della relazione, ritiene che ricorra l'ipotesi della manifesta inammissibilità del ricorso, per tutte le ragioni sopra indicate nella relazione stessa ritenuto che, stante l'assenza di attività difensiva dalla controparte, alla declaratoria d'inammissibilità del ricorso non consegue alcuna pronunzia sulle spese processuali. P.Q.M. Dichiara inammissibile il ricorso.