Prima dell’inizio della procedura di espropriazione è indispensabile definire i termini in maniera certa.
La fattispecie. Le Sezioni Unite della Corte di Cassazione, con la sentenza numero 26778 depositata il 29 novembre scorso, si sono occupate dell’espropriazione per pubblica utilità. In particolare, i Giudici di Cassazione sono d’accordo con i ricorrenti – a cui era stata espropriata parte di un loro terreno – sull’erroneità della statuizione nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto che i termini attinenti all’inizio ed alla fine dei lavori risultassero implicitamente dal relativo progetto esecutivo. Infatti, nel caso di specie, secondo quanto emerge, non è concretamente possibile ricavare i detti termini dall’esame dell’atto di riferimento, individuato dalla Corte di appello nel progetto esecutivo dei lavori. Termini certi? Gli Ermellini non condividono la tesi del Comune, secondo cui i termini in questione erano desumibili dalla convenzione di lottizzazione e comunque coerenti all’insediamento urbanistico. In sostanza, le Sezioni Unite hanno sottolineato che in materia di esecuzione di opere pubbliche la proprietà privata viene meno solo se il potere di esproprio ha termini certi, relativi all’inizio e compimento delle procedure. Devono essere definiti prima dell’inizio della procedura. Dunque, deve ritenersi – conclude la Cassazione - «che dalla illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità per la mancata indicazione dei termini per lo svolgimento dei lavori discende che l’occupazione delle aree è riconducibile ad un comportamento materiale dalla P.A., non ricollegabile in alcun modo ad un esercizio dei poteri ad essa conferiti, circostanza che a sua volta comporta che spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda risarcitoria proposta dal privato».
Corte di Cassazione, sez. Unite Civili, sentenza 12 – 29 novembre 2013, numero 26778 Presidente Rovelli – Relatore Piccininni Svolgimento del processo Con atto di citazione ritualmente notificato L.T. e P. convenivano in giudizio davanti al Tribunale di Bergamo il Comune di Curno, per sentir accertare che l'ampliamento ed il prolungamento della via , realizzati anche su terreno di loro proprietà, era avvenuto in assenza di valida dichiarazione di pubblica utilità dell'opera, e sentirlo quindi condannare al conseguente risarcimento del danno, a far tempo dalle illegittime occupazioni delle aree in questione fino al soddisfo. Il Comune, costituitosi, eccepiva preliminarmente il difetto di giurisdizione del giudice adito e comunque la prescrizione del diritto azionato, mentre nel merito della richiesta sollecitava il rigetto della domanda. Il Tribunale accoglieva la prima eccezione, in ragione del fatto che il richiamo ai termini previsti nella convenzione di lottizzazione per la realizzazione dell'opera, stipulata dal Comune con la Curno Shopping Center s.p.a., avrebbe fatto escludere l'inesistenza della delibera, e da ciò sarebbe derivato che il comportamento conseguente della Pubblica Amministrazione causativo di danno ingiusto sarebbe stato pur sempre riconducibile all'esecuzione di provvedimenti amministrativi. La decisione, impugnata dai L. , veniva poi confermata dalla Corte di Appello di Brescia, che segnatamente escludeva in punto di fatto che la delibera del Consiglio Comunale di Curno numero 41 del 6.3.1990 fosse priva dell'indicazione dei termini iniziali e finali per la procedura espropriativa, che sarebbero stati viceversa fissati rispettivamente in sei mesi dalla delibera e nei cinque anni ad essa successivi, mentre riteneva, in relazione alla data iniziale e finale dei lavori, che implicito richiamo fosse stato fatto al riguardo con il riferimento al progetto esecutivo degli stessi. Secondo la Corte territoriale il richiamo de relato ad un atto diverso, peraltro correttamente individuato e agevolmente consultabile, avrebbe dovuto dunque necessariamente risolversi in una doglianza circa un difetto di motivazione dell'atto, come tale deducibile dinanzi al giudice amministrativo . Avverso la sentenza L.T. e P. hanno proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi, poi ulteriormente illustrati da memoria, cui non ha resistito l'intimato. La controversia veniva quindi decisa all'esito dell'udienza pubblica del 12.11.2013. Motivi della decisione Con i tre motivi di impugnazione L.T. e P. hanno rispettivamente denunciato 1 violazione dell'articolo 28 L. 1942/1150 e vizio di motivazione sotto il profilo della inutilizzabilità degli strumenti espropriativi, poiché le aree in questione sarebbero all'interno del perimetro della lottizzazione, mentre la Convenzione urbanistica sarebbe di epoca anteriore 1989 rispetto alla delibera comunale di approvazione del progetto 1990 . Con la scelta del modello negoziato di pianificazione, infatti, il Comune avrebbe rinunciato all'opzione autoritativa, e quindi all'espropriazione, sicché la successiva dichiarazione di pubblica utilità delle aree in questione sarebbe imputabile ad errore presunto o voluto 2 violazione degli articolo 13 L. 1865/2359, 37 c.p.c., 133 lett. G c.p.a., in relazione all'erroneità del giudizio secondo il quale i termini di inizio e fine lavori sarebbero desumibili dalla deliberazione del Consiglio Comunale numero 41 del 6.3.1990. Ed infatti il richiamo al progetto esecutivo dei lavori sarebbe indeterminabile, atteso che la detta delibera, pur disponendo l'approvazione del progetto, non conterrebbe i relativi estremi di identificazione. Ad identiche conclusioni dovrebbe poi pervenirsi ove il termine di riferimento da considerare fosse la convenzione di lottizzazione, anziché la sopra citata delibera, e ciò in quanto si sarebbero succeduti almeno tre piani di lottizzazione per la sistemazione delle aree oggetto di giudizio, non sarebbe possibile comprendere a quale piano di lottizzazione si intendesse fare riferimento, i termini di inizio e fine lavori non sarebbero conseguentemente enucleabili 3 violazione dell'articolo 5 L. 1865, numero 2248, all. E, per il fatto che, coerentemente con l'affermata illegittimità della citata deliberazione consiliare numero 41, la Corte di appello avrebbe dovuto disapplicarla e, preso atto della sua inutilizzabilità nel presente giudizio, concludere per la propria giurisdizione anziché declinarla . Osserva il collegio che è fondata la censura prospettata con il secondo motivo di impugnazione, con il quale i ricorrenti hanno denunciato l'erroneità della statuizione nella parte in cui la Corte di appello aveva ritenuto che i termini attinenti all'inizio ed alla fine dei lavori risultassero implicitamente dal relativo progetto esecutivo. Ed infatti al riguardo va premesso che è incontestata la circostanza secondo la quale il provvedimento amministrativo contenente la dichiarazione di pubblica utilità priva dei termini per il compimento dell'espropriazione e dell'opera è radicalmente nullo ed inefficace p. 6 della sentenza impugnata, che sul punto richiama la giurisprudenza di questa Corte , così come è analogamente incontestata la legittimità di una loro indicazione de relato , vale a dire facendo specifico riferimento ad un atto diverso. Quello che invece è stato contestato dai ricorrenti è proprio la concreta possibilità di ricavare i detti termini dall'esame dell'atto di riferimento, individuato dalla Corte di appello nel progetto esecutivo dei lavori. Sul punto occorre innanzitutto precisare che la Corte territoriale non ha affermato di aver esaminato il detto progetto e di aver appreso, dall'esame del relativo contenuto, quali fossero i due termini in questione, ma ha piuttosto ritenuto, verosimilmente in ragione della natura e delle caratteristiche di tale atto, che il richiamo ad un atto diverso, peraltro specificamente individuato ed agevolmente consultabile presso i competenti uffici comunali p. 7 consentisse la necessaria rilevazione. Peraltro la deliberazione citata a sostegno della decisione censurata è quella numero 41 adottata dal Consiglio Comunale di Curno in data 6 marzo 1990, delibera avente ad oggetto l'approvazione del progetto esecutivo inerente l'allargamento e prolungamento della via XXXXX , senza alcun riferimento, tuttavia, ai termini stabiliti per il compimento dei relativi lavori. Né può dirsi che tali termini siano ugualmente ricavabili dall'esame della documentazione in atti, e ciò in quanto, in conformità di quanto anche formalmente eccepito dai ricorrenti p. 45 del ricorso , il progetto esecutivo non risulta prodotto ed allegato agli atti processuali. D'altra parte la mancata produzione ora richiamata risulta pure per altro verso, vale a dire per la differente indicazione dell'atto di riferimento ai fini dell'individuazione dei termini in questione operata dal primo e dal secondo giudice del merito. Secondo il tribunale, infatti, il termine finale dei lavori sarebbe stato desumibile dalla convenzione per la lottizzazione dell'11 agosto 1989, mentre secondo la Corte di appello, come detto, risulterebbe dal progetto esecutivo dei lavori. Conclusivamente deve dunque ritenersi che dalla illegittimità della dichiarazione di pubblica utilità per la mancata indicazione dei termini per lo svolgimento dei lavori discende che l'occupazione delle aree è riconducibile ad un comportamento materiale della P.A., non ricollegabile in alcun modo ad un esercizio dei poteri ad essa conferiti, circostanza che a sua volta comporta che spetta al giudice ordinario la giurisdizione sulla domanda risarcitoria proposta dal privato. Il secondo motivo di impugnazione va quindi accolto, mentre restano assorbiti gli altri, con conseguente cassazione della sentenza impugnata e rinvio al Tribunale di Bergamo ai sensi dell'articolo 383, terzo comma, c.p.c., anche per le spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. Accoglie il secondo motivo di ricorso, assorbiti gli altri, dichiara la giurisdizione del giudice ordinario, cassa la sentenza impugnata e rinvia al Tribunale di Bergamo in diversa composizione, anche per le spese del giudizio di legittimità.