Italia condannata dalla Cedu: condizioni carcerarie inumane e degradanti

Gli Stati hanno l’obbligo positivo di garantire che le persone detenute siano mantenute in condizioni di rispetto della dignità umana, senza che le modalità di esecuzione della pena le sottopongano ad angoscia o a disagio di intensità superiore al livello inevitabile di sofferenza inerente la detenzione. Quando il sovraffollamento raggiunge un certo livello, la mancanza di spazio può essere un importante elemento per valutare il rispetto dell’articolo 3 Cedu. Nei casi più gravi, l’esiguità degli spazi vitali è da sola fattore di violazione della Convenzione.

Così la Corte Europea dei Diritti dell’Uomo ha deciso, con una sentenza-pilota, il caso di sette persone detenute nelle carceri di Piacenza e di Busto Arsizio. Questi i dati dei casi decisi 43517/09, 46882/09, 55400/09, 57875/09, 61535/09, 35315/10 e 37818/10. Il sovraffollamento è strutturale. La sentenza-pilota, che enuncia principi che possono essere estesi oltre i casi particolari trattati, serve ad indicare allo Stato come possono essere eliminati i problemi strutturali. In questo caso, è stata adottata tale tipologia di provvedimento per «la natura strutturale e sistemica del sovraffollamento», resa evidente dalla dichiarazione dello stato di emergenza nazionale fatta nel 2010 dal Presidente del Consiglio – in vigore fino alla fine dello scorso anno - e dalle «diverse centinaia di denunce pendenti presso la Corte». I dati. I posti disponibili per ospitare i detenuti sono 47mila. I carcerati sono 65mila. Solo 25 infrastrutture su 207 risultano essere rispettose della loro effettiva possibilità di capienza. In alcune realtà si giunge ad avere 3 detenuti anziché uno solo. Celle di 9 metri. La Corte rileva, nel caso specifico, che i ricorrenti si trovavano a vivere in celle anche con soli 3 metri quadrati ciascuno, talvolta senza nemmeno l’acqua calda, il ricambio d’aria e una sufficiente illuminazione. L’equa soddisfazione. Per questo condanna l’Italia a versare ai ricorrenti 100mila euro in totale, a titolo di equa soddisfazione, come previsto nei casi in cui non è permesso, se non in modo imperfetto, di rimuovere le conseguenze della violazione, ex articolo 41 Cedu. La norma violata è l’articolo 3 della Convenzione, il quale recita «Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti». L’amarezza del Ministro della Giustizia. Il Ministro della Giustizia, Paola Severino, che nei tredici mesi di governo ha dato priorità al problema carcerario, si dichiara profondamente avvilita. Non si stupisce della sentenza della Cedu. Il ddl del governo sulle misure alternative alla detenzione andava nella direzione di una diminuzione del sovraffollamento. Il Ministro si lamenta della mancata approvazione definitiva da parte del Senato, nonostante la Camera si fosse espressa ad amplissima maggioranza. «La mia amarezza», ribadisce il Ministro, «è grande non è consentito a nessuno fare campagna elettorale sulla pelle dei detenuti. Continuerò a battermi - come ministro ancora per poche settimane e poi come cittadina - perché le condizioni delle persone detenute nelle nostre carceri siano degne di un paese civile». Le indicazioni della Corte. La Corte di Strasburgo, sospendendo per un anno il giudizio su casi analoghi, decide di dare all’Italia il tempo di adeguarsi. Con alcune indicazioni. «La Corte osserva che il governo italiano ha recentemente adottato misure per ridurre il fenomeno del sovraffollamento delle carceri e le relative conseguenze. Accoglie con favore le misure adottate dalle autorità nazionali e non può che incoraggiare il governo italiano a proseguire gli sforzi». Ma non è sufficiente. Il sistema penitenziario deve essere organizzato in modo da rispettare la dignità dei detenuti. La Cedu rammenta, a tal proposito, le raccomandazioni del Comitato dei Ministri del Consiglio d'Europa con cui si invitano gli Stati a incentivare i magistrati ad applicare nel modo più ampio possibile misure alternative alla detenzione. Devono essere consentite vie interne di ricorso contro le condizioni di trattamenti disumani. Gli articolo 35 e 69, legge numero 354/1975 non hanno efficacia concreta. Concludendo. le autorità nazionali dovrebbero attuare senza indugio un rimedio o una combinazione di misure correttive, con effetti preventivi e compensativi e garantire vie efficaci di ricorso e di rimedio contro le violazioni della Convenzione risultanti dal sovraffollamento nelle carceri.

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