Non sempre il danno patrimoniale coincide con il danno biologico sofferto

In tema di responsabilità da sinistro stradale, la percentuale di invalidità permanente determinata da una lesione all'integrità psicofisica non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, sul guadagno stesso, salvo i casi di elevata percentuale di invalidità permanente che rende altamente probabile se non certa la menomazione della capacità lavorativa specifica.

In tema di responsabilità da sinistro stradale, la Suprema Corte, nella sentenza n. 25634 del 14 novembre 2013, è nuovamente investita della questione tanto dibattuta sulla quantificazione e qualificazione dei danni patrimoniali, biologici, morali ed esistenziali in ordine al profilo della responsabilità conseguente ad un sinistro stradale. Il caso. La sentenza di Cassazione non ripercorre il merito storico degli eventi anzì preferisce soffermarsi sulle posizioni ritenute corrette della Corte d'Appello sull'esatta valutazione qualitativa e quantitativa del danno conseguente al sinistro stradale. Coinvolte in giudizio soggetti attivi e passivi e terzi in qualità di compagnie assicuratrici, ci evince dal testo letterale della sentenza in esame che il primo grado di giudizio vede vittoriosa la domanda di parte attorea, così come accade nel secondo grado di giudizio, con la sola differenza di una diversa quantizzazione del danno previsto nella prima sentenza del Tribunale. Ricorre in via principale in Cassazione con tre motivi, tutti incentrati prevalentemente sulle violazioni e false applicazioni normative. E' corretto limitare il quantum del danno al solo fatto provato giudizialmente? Il primo profilo principale inerente al primo motivo di ricorso che emerge dall'analisi letterale della Suprema Corte è di natura economica. Infatti, emerge che la censura attiene al riconoscimento del danno patrimoniale da invalidità permanente negato dalla sentenza impugnata, sebbene il C.T.U. avesse riconosciuto un periodo di malattia di oltre un anno e un'invalidità permanente a carico dell'arto inferiore sinistro pari al venti per cento, con dimostrazione oggettiva e reale del dimezzamento del reddito d'impresa a lui riferibile. In tal senso, la Suprema Corte, richiamando la pronuncia della Terza Sezione, n. 17514/2011, ricorda che il punto in questione era già stato affrontato e risolto con questo principio di diritto la percentuale di invalidità permanente determinata da una lesione all'integrità psicofisica non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, sul guadagno stesso, salvo i casi di elevata percentuale di invalidità permanente che rende altamente probabile se non certa la menomazione della capacità lavorativa specifica. Il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della perdita patrimoniale, liquidando la specifica voce di danno con criteri equitativi . Nel caso concreto, insomma non sembra dimostrato a sufficienza la perdita economica della sua attività commerciale in conseguenza della sola lesione riportata all'arto inferiore coscia , non essendo invalidità idonea ad influire sulla capacità lavorativa specifica esercitata in concreto. In sostanza, dev'essere provata l'entità del danno sofferto e del reddito perduto, collegandoli eziologicamente, escludendo fattori esterni, eccezionali o imprevedibili, perché come riporta l'art. 2043 c.c. qualunque fatto doloso o colposo, che cagiona ad altri un danno ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno , secondo il modello risarcitorio classico della responsabilità aquiliana o extracontrattuale. Sulla scorta di ciò, dev'essere ricordato che il danno patrimoniale è il danno che afferisce ad una lesione quantificata economicamente e composta dal lucro emergente quale effettiva diminuzione di patrimonio del danneggiato c.d. spese sostenute e dal lucro cessante quale conseguenza del danno subito c.d. mancato guadagno . Se a causa del danno c'è un mancato introito dimostrabile, questo dovrà essere risarcito secondo il criterio equitativo. Peraltro, sempre la Cassazione ha stabilito che tra la lesione alla salute e la diminuzione della capacità di guadagno non sussiste un rigido automatismo e, quindi, mentre l’invalidità permanente totale o parziale concorre di per sé a dar luogo a danno biologico, la stessa può non comportare necessariamente anche un danno patrimoniale. La liquidazione del danno in esame, infine, non può essere effettuata in modo automatico in base ai criteri dettati dall’art. 4, Legge 26 febbraio 1977, n. 39, norma che non comporta alcun automatismo di calcolo come precedentemente fatto presente, ma si limita ad indicare soltanto alcuni criteri di quantificazione del danno. In ordine, invece, al danno non patrimoniale, esso coincide col danno che il soggetto patisce a seguito della violazione di un valore della personalità umana, e deve essere risarcito solo nei casi determinati dalla legge secondo il richiamo forte dell'art. 2059 c.c I danni più frequenti, in tal senso, sono derivanti da reato es. lesioni colpose in caso di intervento chirurgico non coincidente con le regole dell' ars medica o da condotta scorretta e si somma al danno patrimoniale, sempre valutato equitativamente. Di danni non patrimoniali si riconoscono sostanzialmente a il danno biologico o danno alla salute derivante dalla lesione temporanea o permanente all’integrità psico-fisica della persona suscettibile di accertamento medico-legale dell'invalidità civile o di lavoro consequenziale al danno patito ed evidenzia una modifica in peius delle attività quotidiane della vita del danneggiato, indipendentemente da conseguenze anche sulla capacità di produzione del reddito economico del soggetto va risarcito secondo i criteri da utilizzare per la liquidazione equitativa dell'art. 1226 c.c. e degli artt. 2056 e 2057 c.c. b il danno morale è la sofferenza soggettiva c.d. pretium doloris cagionata da fatto illecito, va risarcito solo nei casi previsti dalla legge e liquidato sul base equitativa, aumentando l'importo riconosciuto a titolo di danno biologico di una percentuale che si aggira tra il 30% e il 50% secondo le Tabelle di Milano c il danno esistenziale o danno a valori costituzionalmente riconosciuti , che è qualsiasi compromissione delle attività realizzatrici della persona umana, quale ad esempio la lesione della serenità familiare, o del godimento di un ambiente salubre, distinto dal danno biologico perché non presuppone l'esistenza di una lesione fisica, e distinto dal danno morale perché non costituisce una sofferenza di tipo soggettivo. L'anatocismo si rischia la duplicazione risarcitoria? Il secondo profilo principale inerente al secondo motivo di ricorso che emerge è di natura economica, nei profili accessori. In particolare, riguarda la capitalizzazione degli interessi. In diritto, per fare il punto, si considera ”anatocismo” quel calcolo degli interessi sugli interessi derivanti da un'operazione economica e/o finanziaria. E' un istituto assai antico, che affonda le sue radici nel Code Napoleon 1804 ed è previsto dall’art. 1283 c.c. del nostro ordinamento, per il quale in mancanza di usi contrari, gli interessi scaduti possono produrre interessi solo dal giorno della domanda giudiziale o per effetto di convenzione posteriore alla loro scadenza, e sempre che si interessi scaduti almeno per sei mesi . Fino al 1999, la giurisprudenza interpretava la locuzione in mancanza di usi contrari dandole un valore sostanzialmente negoziale e quindi gli istituti bancari capitalizzavano ogni tre mesi gli interessi, sicuri del fatto che i clienti avessero bisogno di operazioni bancarie giornaliere tuttavia, la Suprema Corte di Cassazione è intervenuta a modificare l’indirizzo suindicato, specificando che gli usi contrari, suscettibili di derogare al precetto di cui all’art. 1283 c.c., sono non i meri usi negoziali ex art. 1340 c.c. ma esclusivamente i veri e propri usi normativi di cui agli artt. 1 e 3 disp. Prel. c.c., consistenti nella ripetizione generale, uniforme, costante e pubblica di un determinato comportamento non dipendente da un mero arbitrio soggettivo ma giuridicamente obbligatorio, in quanto conforme a una norma che già esiste o che si ritiene debba far parte dell’ordinamento giuridico Cass. n. 3096/1999 . Gli usi di cui all’art. 1283 c.c. sono, seguendo questa interpretazione, esclusivamente normativi. La questio iuris del caso concreto riguarda l'esclusione della rivaluzione della somma determinata in sentenza e la decorrenza degli interessi, sulla somma rivalutata dal momento del sinistro. Nel caso concreto, la sentenza d'Appello ha negato l'anatocismo in difetto della domanda dell'interessato in quanto l'impresa cessionaria del portafoglio può essere considerata in mora solo dopo la scadenza dello spatium deliberandi di sei mesi dal momento in cui il danneggiato abbia inviato la richiesta di risarcimento. Insomma, ha correttamente valutato la corte d'Appello la liquidazione del danno, evitando proprio la duplicazione risarcitoria dovuto al cumulo con gli interessi. Compensazione integrale o parziale delle spese? Il terzo profilo principale inerente al terzo motivo di ricorso che emerge è di natura giuridico-economica. Infatti, attiene alla compensazione integrale delle spese relative al procedimento. La disciplina giuridica della condanna alle spese giudiziarie della parte, alle spese processuali e alla loro eventuale compensazione è contenuta negli artt. 91 e 92 c.p.c., così come modificati dalla recente Legge n. 69 del 18 giugno del 2009 secondo il principio dell'ordinamento giuridico della soccombenza in giudizio in particolare Il giudice, con la sentenza che chiude il processo davanti a lui, condanna la parte soccombente al rimborso delle spese a favore dell’altra parte e ne liquida l’ammontare insieme con gli onorari di difesa. Se accoglie la domanda in misura non superiore all’eventuale proposta conciliativa, condanna la parte che ha rifiutato senza giustificato motivo la proposta al pagamento delle spese del processo maturate dopo la formulazione della proposta, salvo quanto disposto dal comma 2 dell’art. 92 c.p.c Le spese della sentenza sono liquidate dal cancelliere con nota in margine alla stessa quelle della notificazione della sentenza del titolo esecutivo e del precetto sono liquidate dall’ufficiale giudiziario con nota in margine all’originale e alla copia notificata. I reclami contro le liquidazioni di cui al comma precedente sono decisi con le forme previste negli artt. 287 e 288 c.p.c. dal capo dell’ufficio a cui appartiene il cancelliere o l’ufficiale giudiziario . Ancora, Il giudice, nel pronunciare la condanna di cui all’articolo precedente, può escludere la ripetizione delle spese sostenute dalla parte vincitrice, se le ritiene eccessive o superflue e può, indipendentemente dalla soccombenza, condannare una parte al rimborso delle spese, anche non ripetibili, che, per trasgressione al dovere di cui all’art. 88 c.p.c., essa ha causato all’altra parte. Se vi è soccombenza reciproca o concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione, il giudice può compensare, parzialmente o per intero, le spese tra le parti. Se le parti si sono conciliate, le spese si intendono compensate, salvo che le parti stesse abbiano diversamente convenuto nel processo verbale di conciliazione. Dalla lettura delle norme suddette emerge che 1 la parte soccombente in giudizio, generalmente, è condannata al pagamento delle spese processuali 2 in caso di soccombenza reciproca ovvero in presenza di gravi ragioni, le spese possono essere compensate 3 il giudice può escludere il rimborso delle spese eccessive o superflue, effettuate dalla parte vincitrice . Nel caso concreto, la censura inerisce al potere discrezionale del giudice di merito, il quale incontra il solo limite del divieto di porre le spese di lite a carico della parte completamente vittoriosa. Nel caso concreto, non ricorrendo l'ipotesi prevista dal divieto sopracitato, emerge chiaramente come la Corte territoriale abbia correttamente ritenuto la compensazione integrale delle spese. Concludendo. A fronte di quanto espresso, la Suprema Corte ritiene di rigettare il ricorso in tutti e tre i motivi e di condannare il ricorrente al pagamento delle spese di giudizio di Cassazione. A ragion veduta, a parere dello scrivente, in perfetta coerenza con i principio di diritto dell'ordinamento giuridico italiano.

Corte di Cassazione , sez. III Civile, sentenza 16 ottobre - 14 novembre 2013 n. 25634 Presidente Finocchiaro – Relatore Massera Svolgimento del processo .1 - Con sentenza in data 16 ottobre 2001 il Tribunale di Matera condannò C T. e Uniass S.p.A. - cessionaria dell'INA S.p.A. Gestione Autonoma F.G.V.S. - a pagare in favore di L.G. la complessiva somma di L. 381.066.000, corrispondente al 70% dei danni da esso riportati nel sinistro stradale in cui era rimasto coinvolto. .2 - Con sentenza in data 17 ottobre - 7 dicembre 2006 la Corte d'Appello di Potenza dichiarò inammissibile l'appello proposto dalla Uniass in proprio, accolse parzialmente quello proposto dalla medesima in nome di CONSAP S.p.A., nonché l'appello incidentale del T. e determinò in Euro 50.706,00, oltre interessi, la somma da essi dovuta al L. . La Corte territoriale osservò per quanto interessa il danno alla capacità lavorativa generica era compreso nel danno biologico e mancava la prova del danno patrimoniale sub specie lucro cessante, non risultando che l'invalidità permanente fosse idonea ad incidere negativamente sulla produzione del reddito futuro il primo giudice aveva liquidato gli interessi applicando l'anatocismo la soc. Uniass non poteva ritenersi in mora. .3 - Avverso la suddetta sentenza il L. ha proposto ricorso per cassazione affidato a tre motivi. Duomo Uni One Assicurazione S.p.A. già Uniass , in proprio e in nome della CONSAP, ha resistito con controricorso. Il T. non ha espletato attività difensiva. Entrambe le parti hanno presentato memorie. Motivi della decisione .1 - Il primo motivo denuncia violazione e falsa applicazione dell'art. 4, commi primo e terzo del D.L. 23 dicembre 1976, n. 857, convertito nella Legge 26 febbraio 1977 n. 39, nonché degli artt. 2043 - 2056 c.c. e 32 Cost Insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. La censura attiene al riconoscimento del danno patrimoniale da invalidità permanente, negato dalla sentenza impugnata sebbene il C.T.U. avesse riconosciuto un periodo di malattia di oltre un anno e un'invalidità permanente a carico dell'arto inferiore sinistro del 20% ed egli avesse dimostrato il dimezzamento del reddito d'impresa a lui riferibile. .2 - Questa Corte è ferma nell'affermare Cass. Sez. III, n. 17514 del 2011 che il grado di invalidità permanente determinato da una lesione all'integrità psico-fisica non si riflette automaticamente, né tanto meno nella stessa misura, sulla riduzione percentuale della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno della stessa. Tuttavia, nei casi in cui l'elevata percentuale di invalidità permanente rende altamente probabile, se non addirittura certa, la menomazione della capacità lavorativa specifica e il danno che necessariamente da essa consegue, il giudice può procedere all'accertamento presuntivo della predetta perdita patrimoniale, liquidando questa specifica voce di danno con criteri equitativi. La liquidazione di detto danno può avvenire attraverso il ricorso alla prova presuntiva, allorché possa ritenersi ragionevolmente probabile che in futuro la vittima percepirà un reddito inferiore a quello che avrebbe altrimenti conseguito in assenza dell'infortunio. La Corte territoriale si è attenuta ai principi sopra enunciati. Infatti, con motivazione adeguata, ha spiegato che il Tribunale aveva presunto dal fatto noto dell'invalidità permanente il fatto ignoto della riduzione della capacità lavorativa specifica e, quindi, di guadagno mediante una mera praesumtio de presumpto, ha quindi considerato il periodo di invalidità temporanea, ma per quanto riguarda la permanente richiesta per accorciamento dell'arto e limitazione funzionale della coscia ha negato che si trattasse di invalidità idonea ad influire sulla capacità lavorativa specifica esercitata attività commerciale ed ha addotto a conferma della propria statuizione le denunce dei redditi prodotte dal L. , le quali confermano la notevole riduzione del reddito subita nell'anno successivo al sinistro, ma dimostrano gli incrementi verificatisi negli anni successivi. Rispettati i principi giuridici che regolano l'istituto, la Corte d'Appello ha compiuto un apprezzamento di merito basato sulla ridotta incidenza della invalidità permanente risulta colpito un arto inferiore sull'attività lavorativa in concreto espletata e sui redditi percepiti nel corso degli anni. Il riferimento all'art. 4 D.L. n. 857/1976 è incongruo perché confronta la recente Cass. Sez. II, n. 7531 del 2012 tale norma offre un criterio di liquidazione nell'ipotesi che il danneggiato non abbia provato l'entità del reddito perduto, ma presuppone che sia stato accertata l'ontologica sussistenza del danno, circostanza negata dalla Corte territoriale. Il quesito di diritto e il momento di sintesi finale, cui il ricorrente era tenuto ai sensi dell'art. 366-bis c.p.c., applicabile al ricorso ratione temporis, non rispettano le esigenze perseguite dalla norma e, piuttosto, tendono ad una valutazione di merito difforme da quella della Corte territoriale. .3 - Il secondo motivo adduce violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1224, 1283, 2056, 2058 c.c. Insufficiente e contraddittoria motivazione su punti decisivi della controversia. La doglianza riguarda la capitalizzazione degli interessi, la esclusione della rivalutazione della somma determinata in sentenza e la decorrenza degli interessi, sulla somma rivalutata, dal momento del sinistro. .4 - La sentenza impugnata ha negato l'anatocismo in difetto della domanda dell'interessato e perché non estensibile ai debiti di valore ha spiegato che l'impresa cessionaria del portafoglio può essere considerata in mora solo dopo la scadenza dello spatium deliberandi di sei mesi dal momento in cui il danneggiato abbia inviato la richiesta di risarcimento ha rivalutato la somma dovuta applicando i principi fissati dalla giurisprudenza di legittimità ha liquidato il danno conseguente alla ritardata corresponsione della somma dovuta, evitando, però, duplicazione risarcitoria dovuto al cumulo con gli interessi. In definitiva, la sentenza impugnata si è attenuta ai principi fissati nelle materie indicate dalla giurisprudenza di legittimità. Per contro, il quesito finale non postula l'enunciazione di un principio di diritto fondato sulle numerose norme indicate, mentre il momento di sintesi non spiega in quali parti e per quali ragioni la motivazione della sentenza si riveli, rispettivamente, insufficiente e contraddittoria. .5 - Il terzo motivo, erroneamente indicato dal ricorrente ancora come secondo lamenta violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., nonché insufficiente e contraddittoria motivazione con riferimento alla disposta compensazione integrale delle spese relative al procedimento incardinato dalla Uniass in proprio. .6 - La censura attacca un potere discrezionale del giudice di merito, il quale incontra l'unico limite nel divieto di porre le spese di lite a carico della parte totalmente vittoriosa, situazione non ricorrente nella specie. La Corte territoriale ha ritenuto sussistenti giusti motivi di compensazione integrale. Nella parte motiva della sentenza pag. 11 ha spiegato che nell'epigrafe della sentenza del Tribunale non era specificata la qualità della Uniass. Il quesito finale non postula l'enunciazione di un principio, ma chiede alla Corte di formularlo il momento di sintesi non specifica l'asserita contraddittorietà della motivazione. .7 - Pertanto il ricorso è rigettato. Le spese del giudizio di cassazione seguono il criterio della soccombenza. La liquidazione avviene come in dispositivo alla stregua dei parametri di cui al D.M. 140/2012, sopravvenuto a disciplinare i compensi professionali. P.Q.M. Rigetta il ricorso. Condanna il ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, liquidate in complessivi Euro 8.200,00, di cui Euro 8.000,00 per compensi, oltre accessori di legge.