Il rappresentante della s.a.s. non spende il nome della società: il contratto da lui stipulato ha effetti solo nei suoi confronti

Il socio accomandatario e rappresentante legale di una società di persone, che conclude un contratto senza spendere il nome della società subisce direttamente gli effetti del contratto, anche se esso riguarda interessi o beni comuni, mentre la società ne resta estranea.

Questo è il principio stabilito dalla VI Sezione Civile della Cassazione, con l’ordinanza n. 25104 depositata il 7 novembre 2013. La Suprema Corte era stata chiamata ad esprimersi sulla questione relativa ad un’opposizione a decreto ingiuntivo, seguente ad una cessione di azienda di una società in accomandita semplice, eseguita dal socio accomandatario, qualificatosi peraltro nell’atto come agente e unico titolare dell’azienda individuale denominata K. Viaggi e Turismo. Il caso. La questione riguardava un ricorso per decreto ingiuntivo, richiesto e ottenuto presso il Tribunale di Milano, dalla K. Viaggi e Turismo s.a.s., per il pagamento di un’azienda asseritamente venduta ad una persona fisica, il sig. M.C. Questi proponeva opposizione, eccependo che il credito era stato azionato da un soggetto diverso la società , rispetto a quello che aveva stipulato il contratto. Infatti, secondo l’opponente, il decreto ingiuntivo era stato richiesto e ottenuto dalla società, mentre il contratto di cessione d’azienda era stato stipulato da D.C, qualificatosi come agente e unico titolare dell’azienda, personalmente e senza la spendita del nome della società. Con sentenza del 6 novembre 2006, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione a decreto ingiuntivo contro tale sentenza, proponeva appello presso la Corte d’Appello di Milano il sig. M.C, insistendo anche per la dichiarazione del difetto di legittimazione della società che aveva agito per la condanna all’adempimento di un contratto concluso da altri. La Corte d’Appello accoglieva l’eccezione, revocando il d.i. opposto ma anche rigettando la domanda di condanna proposta dalla K. Viaggi e Turismo s.a.s. Secondo la Corte, il contratto aveva ad oggetto la cessione d’azienda e quindi doveva essere provato per iscritto ai sensi dell’art. 2556 c.c. per tale ragione, dal documento contrattuale doveva risultare la spendita del nome del rappresentato, cosa che nel caso non vi è stata. Infatti, nel contratto mancava qualsiasi accenno alla qualità di socio accomandatario del C., che aveva fatto esclusivamente riferimento alla sua qualità di agente e unico titolare dell’azienda individuale, ma senza specificare che agiva per conto di questa e senza spenderne il nome. Inoltre, la società non aveva dedotto alcun comportamento valido a portare a conoscenza dell’altro contraente che il C. agiva per contro della società di cui era socio accomandatario e nella cui sfera giuridica gli effetti avrebbero dovuto prodursi infine, l’assegno emesso dal C. contestualmente alla sigla dell’atto era intestato direttamente al sig. D.C. e non alla società. Contro tale sentenza, ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi, la K. Viaggi e Turismo s.a.s. e ha resistito con controricorso il sig. M.C., vittorioso in secondo grado. Il socio accomandatario di una s.a.s. che conclude un contratto relativo a interessi della società deve dichiararlo espressamente e spenderne il nome All’udienza del 27 settembre 2013, il procuratore del ricorrente ha richiesto la trattazione in pubblica udienza, ritenendo che vi fossero gli estremi per la discussione. La Suprema Corte ha invece confermato la sussistenza dei presupposti di cui agli artt. 360, 380 bis e 375 c.p.c., e la decisione di trattare il ricorso in camera di consiglio, in quanto manifestamente infondato. Per la Cassazione, infatti, non è rilevante il fatto peraltro ignoto all’acquirente, che quindi non poteva pensare di acquistare da un soggetto diverso dal C., che ha partecipato all’atto in prima persona , che la società fosse proprietaria dell’azienda, come la ricorrente sostiene nella sua memoria, visto quanto detto sopra a proposito della mancata spendita del nome. in caso contrario, gli effetti si producono esclusivamente nella sua sfera giuridica e non in quelli della società. Per la Suprema Corte, il punto essenziale è che se il rappresentante di una società di persone non spende il nome della società, il negozio concluso spiega effetti solo nei confronti del rappresentante medesimo, anche se esso riguarda interessi o beni comuni, restando irrilevante la conoscenza o l’affidamento creato nel terzo contraente circa l’esistenza del rapporto sociale interno e dei poteri di rappresentanza. Di conseguenza, ha rigettato il ricorso, in quanto manifestamente infondato, condannando il ricorrente al pagamento delle spese legali.

Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 27 settembre - 7 novembre 2013, n. 25104 Presidente Piccialli – Relatore Proto Fatto e diritto Ai sensi dell'art. 380 bis c.p.c. il relatore nominato per l'esame del ricorso ha depositato la seguente relazione. Osserva in fatto. 1. La società Kawama Viaggi e Turismo s.a.s. richiedeva e otteneva, in data 29/9/2003 decreto ingiuntivo nei confronti di C.M. per il pagamento del prezzo di un'azienda asseritamente venduta dall'ingiunto al C. . Il C. proponeva opposizione eccependo, tra l'altro, che il credito era stato azionato da un soggetto diverso da quello che aveva stipulato il contratto al riguardo rilevava che il decreto ingiuntivo era stato richiesto dalla predetta società mentre il contratto era stipulato da Da Cr. personalmente. Con sentenza del 6/11/2006 il Tribunale di Milano rigettava l'opposizione a decreto ingiuntivo. Il C. proponeva appello insistendo anche sul difetto di legittimazione della società che aveva agito per la condanna all'adempimento di un contratto da altri concluso. La Corte di Appello di Milano accoglieva l'eccezione, revocava il decreto ingiuntivo e rigettava la domanda di condanna proposta da Kawama Viaggi e Turismo s.a.s La Corte di Appello rilevava - che il contratto aveva ad oggetto la cessione di azienda e pertanto, ai sensi dell'art. 2556 c.c. doveva essere provato per iscritto - che per tale ragione dal documento contrattuale doveva risultare la spendita del nome del rappresentato - che nel contratto mancava qualsiasi accenno alla qualità di socio accomandatario del Cr. essendo fatto esclusivo riferimento alla qualità di agente e unico titolare dell'azienda individuale denominata Kawama Viaggi e Turismo - che Kawama Viaggi e Turismo s.a.s. non ha neppure dedotto un comportamento tale da portare a conoscenza dell'altro contraente che egli agiva per la società di cui era socio accomandatario e nella cui sfera giuridica gli effetti erano destinati a prodursi - che nessuna prova al riguardo è stata dedotta da Kawama Viaggi e Turismo e, al contrario, l'assegno emesso dal C. contestualmente alla sottoscrizione non era intestato alla società, ma al Cr. personalmente. La società Kawama Viaggi e Turismo s.a.s. propone ricorso affidato a due motivi. Resiste con controricorso il C. . Osserva in diritto. 1. La società ricorrente deduce cumulativamente 1 violazione e falsa applicazione dell'art. 81 c.p.p. da intendersi c.p.c essendo evidente il lapsus calami nonché degli artt. 1362 e 1367 c.c. 2 insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine al punto controverso della legittimazione attiva della ricorrente s.a.s. Kawama . La ricorrente sostiene che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere un difetto di legitimatio ad causam e una sostituzione nel potere di azione esercitata fuori dai casi consentiti dalla legge perché i documenti prodotti, oltre al contratto, dimostrano, secondo la ricorrente che il Cr. ha agito in nome e per conto della società e che, quindi, essa ricorrente era l'effettiva titolare della posizione di diritto sostanziale azionata. Inoltre la motivazione sarebbe contraddittoria e omissiva così testualmente in ricorso e violerebbe i canoni di ermeneutica contrattuale, perché la spendita del nome, seppur non correttamente formulata, sarebbe presente nel contratto con il collegamento tra il Cr. e Kawama Viaggi e Turismo non sarebbe stato considerato il comportamento delle parti consistente nella messa a disposizione dei beni appartenenti alla società e non sarebbe stato considerato il fatto che quei beni appartenevano alla società sarebbero stati violati i criteri di interpretazione secondo buona fede e di conservazione del contratto. 1.1 Il motivo è inammissibile quanto alla violazione dell'art. 81 c.p.c. e manifestamente infondato quanto alla violazione degli artt. 1362 e 1367 c.c. e al vizio di motivazione. Dalla motivazione della sentenza impugnata risulta assolutamente evidente che la causa tra il soggetto è stata decisa non già perché l'attrice inammissibilmente abbia fatto valere un diritto altrui in nome proprio e quindi con violazione dell'art. 81 c.p.c. che non consente la sostituzione processuale fuori dai casi consentiti dalla legge , ma perché ha prospettato come proprio un diritto invece spettante ad altro soggetto e pertanto è stato escluso con decisione nel merito che competesse all'attrice il diritto che essa azionava. Ne discende che la dedotta violazione dell'art. 81 c.p.c. introduce una questione del tutto estranea alla ratio decidendi . Sotto il profilo della motivazione e della violazione delle norme di ermeneutica contrattuale si osserva che la motivazione della Corte di merito è del tutto esaustiva e coerente con i principi già affermati da questa Corte secondo i quali se il rappresentante di una società di persone non spende il nome della società il negozio concluso spiega effetto solo nei confronti del rappresentante medesimo, ancorché esso riguardi interessi o beni comuni se il contratto ha ad oggetto il trasferimento di beni immobili, la contemplatio domini , pur non richiedendo l'uso di formule sacramentali, deve risultare ad substantiam dallo stesso documento contrattuale, restando irrilevante la conoscenza o l'affidamento creato nel terzo contraente circa l'esistenza del rapporto sociale interno e dei poteri di rappresentanza reciproca che esso comporta Cass. 7/2/1984 n. 936 Cass. 30/3/2000 n. 3903 Nella fattispecie il contratto di cessione di azienda richiedeva la forma scritta sebbene non ad substantiam , ma ad probatiomm e pertanto dallo stesso documento contrattuale doveva risultare la contemplatio domini . La circostanza che nel contratto sia indicata l'azienda individuale . denominata Kawama Viaggi e Turismo della quale il Cr. si definisce agente e unico titolare non prova né che egli si sia qualificato socio, né che abbia manifestato di agire quale rappresentante, posto che non si può essere rappresentanti di un'azienda individuale di cui ci si afferma unici titolari anzi, l'essersi qualificato unico titolare dell'azienda e non della società rende manifesto che egli aveva agito in proprio e manifestando di disporre di un bene proprio e non di altri, come giustamente rilevato dalla Corte di Appello. Queste considerazioni non solo escludono la violazione dell'art. 1362 c.c., che, invece, è stato correttamente applicato in conformità al senso letterale delle parole, ma escludono anche che possano ritenersi violati i criteri sussidiali di interpretazione artt. 1366 e 1367 c.c. applicabili solo quando siano stati utilizzati i criteri letterale, logico e sistematico di indagine e, nonostante ciò, il senso del contratto o della clausola sia rimasto oscuro o ambiguo cfr. ex multis , Cass. 20/12/2011 n. 27564 . 2. In conclusione, il ricorso può essere trattato in camera di consiglio, in applicazione degli artt. 376, 380 bis e 375 c.p.c., per essere dichiarato manifestamente infondato . Considerato che il ricorso è stato fissato per l'esame in camera di consiglio, che sono state effettuate le comunicazioni alle parti costituite e la comunicazione al P.G. Rilevato che la ricorrente ha depositato memoria Considerato che la memoria nella quale si sottolinea che la società era effettivamente proprietaria dell'azienda e si sollecita una interpretazione che, al di là della formulazione letterale, privilegi la comune intenzione delle parti nulla di rilevante aggiunge rispetto agli argomenti già sviluppati nel motivo di ricorso e da ritenersi manifestamente infondati per le ragioni assorbenti già espresse nella relazione laddove sono evidenziati, come elementi assolutamente decisivi per negare che vi sia stata la spendita del nome - la formulazione letterale, nella quale il Cr. addirittura si dichiara unico titolare dell'azienda e non della società o della ditta che contestualmente vendeva - l'assoluta mancanza della spendita del nome nel contratto per il quale era richiesta la forma scritta ad probationem . A questi elementi occorre aggiungere altri elementi, già evidenziati nella motivazione della Corte di Appello riportata in sintesi nella relazione, che confermano le conclusioni raggiunte, ossia - la circostanza che la società Kawama Viaggi e Turismo non ha neppure dedotto un comportamento tale da portare a conoscenza dell'altro contraente che il Cr. agiva per la società di cui era socio accomandatario e nella cui sfera giuridica gli effetti erano destinati a prodursi, circostanza che, insieme alla mancanza della spendita del nome nel contratto, fa diventare irrilevante il fatto ignoto all'acquirente che pertanto neppure poteva pensare di acquistare da un soggetto diverso dalla persona del Cr. che la società fosse proprietaria dell'azienda come la ricorrente assume nella memoria - l'assegno emesso a titolo di caparra dal C. contestualmente alla sottoscrizione non era intestato alla società, ma al Cr. personalmente. Considerato che, in conclusione, il collegio condivide e fa proprie le argomentazioni e la proposta del relatore. Considerato che le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo, seguono la soccombenza della ricorrente. P.Q.M. La Corte di cassazione rigetta il ricorso e condanna Kawama Viaggi e Turismo s.a.s. a pagare a M C. le spese di questo giudizio di cassazione che liquida in Euro 2.500,00 per compensi oltre Euro 200,00 per esborsi.