I poteri del commissario giudiziale devono essere adeguatamente delimitati dal giudice della misura cautelare

È nulla l’ordinanza cautelare che disponga il commissariamento di un ente ai sensi dell’articolo 45, comma terzo, d.lgs. 231/01 senza indicare i poteri ed i compiti del commissario.

È nulla l'ordinanza cautelare che disponga il commissariamento di un ente ai sensi dell'articolo 45, comma terzo, d.lgs. 231/01 senza indicare i poteri ed i compiti del commissario. I limiti del commissariamento in sede cautelare. La Corte di Cassazione con la sentenza 22 novembre 2011 numero 43108 ritorna sul controverso tema del commissariamento giudiziale dell'ente in sede cautelare. Nel caso giunto all'esame della Suprema Corte il Tribunale del Riesame aveva applicato la misura cautelare del commissariamento giudiziale di un ente omettendo, tuttavia, ogni indicazione in ordine ai poteri del commissario incaricato. La difesa dell'ente aveva, tuttavia, proposto ricorso per Cassazione deducendo che il Tribunale aveva nominato il commissario giudiziale senza specificare i compiti e le modalità attraverso le quali questi dovevano essere svolti. In particolare la nomina del commissario aveva esautorato i vertici societari che medio tempore erano stati integralmente rinnovati al fine di dimostrare la discontinuità rispetto alla pregressa gestione. La Corte di Cassazione ha annullato la misura cautelare, statuendo che l'ordinanza che dispone il commissariamento giudiziale in sede cautelare deve rispettare i criteri ed i parametri enunciati in via generale dal legislatore per l'applicazione di tale sanzione all'esito del giudizio di merito. L'articolo 45, comma terzo, d.lgs. 231/01, infatti, richiama espressamente l'articolo 15 d.lgs. 231/01 e questo rinvio espresso comporta la necessità che il giudice indichi «i compiti ed i poteri del commissario, tenendo conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito da parte dell'ente». Il commissariamento, infatti, determina una sorta di espropriazione temporanea dei poteri direttivi e gestionali dell'ente, che vengono assunti dal commissario nominato dal giudice al fine di assicurare la prosecuzione dell'attività. È, pertanto, necessario che il giudice delinei il perimetro dei compiti e dei poteri del commissario non solo per la corretta gestione dell'ente in una fase delicata del procedimento, ma anche per verificare la adeguatezza della misura sostitutiva cautelare. L'esigenza di adeguatezza e proporzionalità della misura cautelare. La necessità di delimitare i compiti ed i poteri del commissario giudiziario, nell'ottica della Suprema Corte, consegue alla centralità delle valutazioni in tema di adeguatezza e di proporzionalità della misura cautelare anche nel sistema della responsabilità da reato dell'ente. Il giudice, infatti, deve tener conto della realtà organizzativa dell'ente non solo per «neutralizzare il luogo nel quale si è originato l'illecito», ma anche per valorizzare l'adeguatezza e la proporzionalità della misura cautelare, limitandone, ove possibile, la efficacia solo ad alcuni settori dell'attività dell'ente, nel rispetto del canone della extrema ratio. La rilevanza del canone della specificità era, peraltro, stata già evidenziata dalla Corte di Cassazione nella nota sentenza sulla cd. frazionabilità delle sanzioni interdittive Cass. numero 20560/2010, Impresa Ferrara S.numero c., Rv.247043 . Le sanzioni interdittive, anche se applicate in sede cautelare, infatti, non devono operare in modo «generalizzato e indiscriminato», ma devono essere adattate, ove possibile, alla specifica attività dell'ente che è stata causa dell'illecito. Adozione coattiva dei modelli organizzativi in sede cautelare. La pronuncia in commento è certamente condivisibile ed è significativa nella parte in cui ribadisce la necessità di un ricorso alla misura cautelare specificamente parametrato sulle esigenze cautelari emerse nel caso di specie e sul concreto assetto organizzativo dell'ente. In tale prospettiva, peraltro, la integrale sostituzione dei vertici societari può essere idonea a ridimensionare le esigenze cautelari qualora sia indicativa della reale volontà dell'ente di riorganizzarsi in maniera virtuosa, adottando un idoneo modello organizzativo secondo le indicazioni di cui all'articolo 6 d.lgs. 231/01. La pronuncia, inoltre, pare intervenire, sia pure in via incidentale, su un ulteriore tema assai discusso. È, infatti, controverso se in sede cautelare, diversamente da quanto accade nella fase dell'esecuzione, debba trovare applicazione anche il comma terzo dell'articolo 15 d.lgs. 231/01 e, segnatamente, se il commissario giudiziale possa anche essere destinatario dell'obbligo di curare l'adozione e l'efficace attuazione del modello organizzativo. In dottrina si sono espresse motivate perplessità in ordine alla evenienza della adozione coattiva dei modelli organizzativi in sede cautelare, in quanto un tale obbligo presuppone necessariamente l'accertamento definitivo di carenze organizzative dell'ente e l'adozione in sede cautelare dei compliance programs potrebbe sortire degli effetti sfavorevoli sul piano probatorio, comportando l'ammissione di gravi carenze organizzative. La sentenza in commento, tuttavia, nella parte in cui ribadisce che la misura cautelare del commissariamento giudiziale deve riprodurre, in via provvisoria e strumentale, i medesimi caratteri della sanzione applicabile all'esito del giudizio di merito sembra ricondurre nel perimetro dei poteri commissariali anche quello di adottare il modello organizzativo idoneo.

Corte di Cassazione, sez. VI Penale, sentenza 28 settembre – 22 novembre 2011, numero 43108 Presidente Garribba – Relatore Fidelbo Ritenuto in fatto 1. - Con sentenza del 26 ottobre 2010 la Corte di Cassazione annullava con rinvio l'ordinanza del 19 maggio 2010 con cui il Tribunale di Enna aveva rigettato gli appelli cautelari proposti dal pubblico ministero contro i provvedimenti del G.i.p. di quello stesso Tribunale che aveva, da un lato, respinto la richiesta di applicazione nei confronti della società Ennaeuno, indagata per gli illeciti amministrativi di cui agli articolo 24 e 25-ter d.lgs. 231/2001, della misura cautelare interdittiva prevista dall'articolo 9 lett. d d.lgs. cit., eventualmente sostituta dalla nomina di un commissario giudiziale, dall'altro, revocato il sequestro preventivo funzionale alla confisca di somme di denaro o altra utilità della società indagata fino all'ammontare di Euro 8.915.010,08. Secondo i giudici di merito nel caso di specie trovava applicazione la deroga contenuta nell'articolo 1 comma 3 d.lgs. 231/2001, che esclude dall'ambito della disciplina sulla responsabilità da reato lo Stato, gli enti pubblici territoriali, gli enti pubblici non economici e gli enti che svolgono funzioni di rilievo costituzionale, categoria quest'ultima in cui veniva fatta rientrare la Ennaeuno s.p.a., in quanto svolgente funzioni pubbliche proprie degli enti territoriali, a seguito del trasferimento da parte dei Comuni della Provincia di Enna delle competenze in materia di raccolta dei rifiuti. La Cassazione ha, invece, ritenuto che la natura pubblicistica di un ente non è condizione sufficiente per l'esonero dalla disciplina di cui al d.lgs. 231/2001, dovendo verificarsi anche l'ulteriore condizione dell'assenza di un'attività economica, condizione che non ricorreva nel caso in esame, dal momento che la società Ennaeuno svolgeva un'attività economica, nelle forme, peraltro, di una società per azioni. 2. - Con l'ordinanza in epigrafe, il Tribunale di Enna, in sede di rinvio, dopo aver preso atto della affermata natura di ente pubblico economico della società Ennaeuno e quindi della sua assoggettabilità alla disciplina della responsabilità da reato degli enti, ha accolto gli appelli del pubblico ministero e, conseguentemente, ha nominato un commissario giudiziale alla società ex articolo 45 d.lgs. 231/2001 e ha disposto il sequestro di somme di denaro o di altra utilità fino alla concorrenza di Euro8.915.010,08. 3. - Contro questa decisione ricorre la società indagata. Con il primo motivo deduce la violazione dell'articolo 1 comma 3 d.lgs. 231/2001, ribadendo che la Ennaeuno s.p.a., come tutte le società d'ambito, non esercita una funzione economica, ma svolge un servizio pubblico di rilevanza costituzionale che la caratterizza come un organismo pubblico sottratto alla disciplina della responsabilità da reato degli enti. Con il secondo motivo lamenta la carenza dei presupposti per l'applicazione delle misure cautelari, mancando la prova in ordine alla configurabilità dei reati di cui agli articolo 316-6/5 c.p. e 640-bis c.p., nonché del reato di falso in bilancio. Con il terzo motivo la ricorrente censura l'ordinanza per avere ritenuto sussistente il pericolo di reiterazione degli illeciti, nonostante l'assemblea della società abbia provveduto a nominare un nuovo collegio di liquidazione, composto da soggetti del tutto estranei alla precedente gestione, con il mandato di dare attuazione alla nuova legge regionale per costituire la società per la regolamentazione del servizio di gestione dei rifiuti, peraltro ottemperando alla circolare assessoriale del 16.12.2010. Il nuovo modello organizzativo sarebbe per questo idoneo a prevenire la commissione di illeciti della stessa specie, con conseguente insussistenza delle esigenze cautelari. Sotto un diverso profilo, si censura il provvedimento con cui il Tribunale ha nominato il commissario giudiziale, senza specificare i compiti e le modalità attraverso cui queste dovranno essere svolte. In particolare, viene rilevato che la nomina del commissario ha come effetto quello di impedire che il nuovo collegio di liquidazione gestisca la fase di passaggio per la costituzione della nuova società, come prevede la legge regionale numero 9 del 2010. In data 2 settembre 2011 il difensore della società ha depositato una memoria, con allegata documentazione, insistendo sulla natura pubblica di rilievo costituzionale delle società d'ambito e, quindi, della EnnaEuno s.p.a Considerato in diritto 4. - Il primo motivo è inammissibile. La società ricorrente contesta la ritenuta assoggettabilità alla disciplina del d.lgs. 231 del 2001, insistendo sulla portata dell'articolo 1 comma 3 d.lgs. cit. che esclude dalla responsabilità da reato le società che svolgono un servizio pubblico di rilievo costituzionale, ritenendo di rientrare in tale categoria. Tuttavia, sul punto è intervenuta la decisione della Corte di cassazione Sez. II, 26 ottobre 2010, numero 234 , che ha stabilito la piena applicabilità alla EnnaEuno s.p.a. della disciplina prevista dal d.lgs. 231/2001, in quanto l'esenzione cui si riferisce l'invocato articolo 1 comma 3 cit. riguarda enti non solo pubblici, ma che svolgono funzioni non economiche, riconoscendo che la società in questione svolge una attività di impresa, che sebbene abbia ricadute indirette su beni costituzionalmente protetti, si caratterizza per un servizio impostato su criteri di economicità , che la fa rientrare a pieno titolo tra i soggetti cui si applica il decreto numero 231. A questo principio di diritto si è dovuto attenere il Tribunale di Enna, quale giudice di rinvio, sicché esso non può essere oggetto di nuova contestazione in questa sede. 5. - Del tutto infondato è il secondo motivo, con cui si assume la mancanza di prova per la configurabilità dei reati presupposti. Il ricorso, da un lato, sembra pretendere che per l'applicazione delle misure cautelari il giudice debba ricercare l'esistenza di vere prove , laddove anche nella disciplina prevista dal d.lgs. 231/2001 sono richiesti solo i gravi indizi di colpevolezza, dall'altro, per dimostrare l'insussistenza dei reati svolge considerazioni di merito, attinenti al fatto e rivolte, infine, a censurare la ricostruzione degli elementi probatori fatta dai giudice, in questo modo deducendo, nella sostanza, un vizio di motivazione che, come è noto, non è ammesso nel ricorso per cassazione previsto dall'articolo 52 comma 2 d.lgs. 231/2001. 6. - È, invece, fondato il terzo motivo, limitatamente alle censure riguardanti la nomina del commissario giudiziale. 6.1. - Come è noto, l'articolo 45 comma 3 d.lgs. 231/2001, che disciplina l'istituto del commissario giudiziale nominato nella fase cautelare, richiama espressamente l'articolo 15 d.lgs. cit., norma generale a cui occorre necessariamente riferirsi. Tale norma configura il commissariamento giudiziale come una misura sostitutiva delle sanzioni interdirti ve, diretta ad evitare che l'accertata responsabilità dell'ente si risolva in un pregiudizio per la collettività ogni qual volta la sanzione inflitta dal giudice incida sul servizio pubblico svolto dall'ente, provocandone l'interruzione, ovvero quando l'interruzione dell'attività dell'ente, sempre per effetto della sanzione interdittiva, provochi rilevanti ripercussioni sull'occupazione . In altri termini, in presenza di queste distinte situazioni, potenzialmente produttive di conseguenze negative per il pubblico interesse, in luogo della sanzione interdittiva, idonea ad interrompere l'attività dell'ente, si prevede una sorta di espropriazione temporanea dei poteri direttivi e gestionali, che vengono assunti dal commissario nominato dal giudice, che assicura la prosecuzione dell'attività. L'articolo 15 comma 2 cit. prevede che il giudice indichi i compiti ed i poteri del commissario, nell'ambito dei quali rientra anche l'adozione e l'efficace attuazione dei modelli di organizzazione idonei a prevenire reati della specie di quello verificatosi, in quanto la sostituzione della sanzione si giustifica solo se la prosecuzione dell'attività avviene in una situazione di legalità organizzativa, che cioè non favorisca il rischio del ripetersi degli illeciti. Questa disciplina trova applicazione anche nella fase cautelare, in cui però il provvedimento di nomina del commissario, a differenza del procedimento previsto dal disposto degli articolo 15 e 79 d.lgs. 231/2001, è contestuale alla verifica dei presupposti che giustificano la prosecuzione dell'attività dell'ente, sicché è il giudice della cautela che, nello stesso provvedimento con cui dispone la prosecuzione, nomina anche il commissario. Sicché nella fase cautelare è particolarmente importante che il giudice indichi compiti e poteri del commissario, in quanto si tratterà di indicazioni funzionali non solo per la corretta gestione dell'ente in una fase delicata del procedimento, ma che acquistano un rilievo particolare anche in relazione alla valutazione di adeguatezza della misura sostitutiva in questione, in quanto è imposto al giudice di tenere conto della specifica attività in cui è stato posto in essere l'illecito . Il Collegio condivide quanto sostenuto da questa stessa Sezione in una precedente decisione, in cui si è messo in evidenza come il riferimento alla specifica attività comporti il richiamo dei criteri posti dall'articolo 14 d.lgs. 231/2001 in materia di scelta delle sanzioni Sez. VI, 25 gennaio 2010, numero 20560, Ferrara s.numero c. . Nella sentenza citata è, infatti, precisato che attraverso l'articolo 14 cit. il giudice è chiamato a tenere conto del principio della ed. frazionabilità delle sanzioni interdittive, che impone che tale tipologia sanzionatoria non operi in modo generalizzato e indiscriminato, ma si adatti, ove possibile, alla specifica attività dell'ente che è stata causa dell'illecito. Dinanzi alla forte invasività delle sanzioni interdittive nella vita dell'ente il legislatore ha voluto che il giudice tenesse conto della realtà organizzativa dell'ente sia per neutralizzare il luogo nel quale si è originato l'illecito, sia per applicare la sanzione valorizzandone l'adeguatezza e la proporzionalità, nel rispetto del criterio dell'edema ratio così, Sez. VI, 25 gennaio 2010, n, 20560, Ferrara s.numero c. . 6.2. - Nel caso in esame il Tribunale ha provveduto a nominare il commissario senza fornire alcuna ulteriore indicazione e omettendo ogni valutazione in ordine all'ambito applicativo della sanzione, seppure di natura sostitutiva. La circostanza che il commissariamento della società sia stato deciso in sede di riesame non esime il Tribunale dal dovere di indicare i compiti e i poteri del commissario, tenendo conto anche della specifica attività svolta dall'ente e della situazione in cui si trovava il vertice della società. Resta fermo che la verifica dell'attuazione di tali compiti non potrà essere affidata al Tribunale del riesame, organo che è intervenuto a seguito dell'impugnazione cautelare, ma dovrà essere rimessa al giudice per le indagini preliminari al quale, in applicazione della noma generale di cui all'articolo 47 d.lgs. 231/2001, deve essere riconosciuta una competenza permanente in materia dei provvedimenti cautelari assunti nella fase delle indagini. Per questi limitati fini deve essere annullata l'ordinanza impugnata, con rinvio degli atti al Tribunale di Enna, che dovrà conformarsi a quanto sopra stabilito. 6.3. - Per quanto riguarda l'ulteriore profilo contenuto nel motivo in esame, con cui si assume l'insussistenza del pericolo di reiterazione degli illeciti sul presupposto del rinnovato collegio di liquidazione, composto da persone estranee alla precedente gestione, si rileva che il Tribunale ha considerato questa circostanza come un dato neutrale rispetto alla valutazione delle esigenze cautelari, escludendo che in questo modo l'ente abbia eliminato le carenze organizzative, ritenendo quindi sussistente il rischio del verificarsi di illeciti della stessa specie. Si tratta di una valutazione di merito, che il giudice del rinvio ha fatto, peraltro uniformandosi a quanto sostenuto nella stessa sentenza della Cassazione, sicché in questa sede non è possibile alcuna censura sul punto, sebbene non possa escludersi, in astratto, che la totale sostituzione dei vertici societari c.d. disqualificatiori possa rilevare ai fini della sussistenza delle esigenze cautelari, qualora sia indicativa della reale volontà dell'ente di riorganizzarsi in maniera virtuosa, adottando il modello secondo le indicazioni contenute nell'articolo 6 comma 2 d.lgs. 231/2001. P.Q.M. Annulla l'ordinanza impugnata limitatamente alla mancata definizione dei poteri del commissario giudiziale e rinvia per la deliberazione sul punto al Tribunale di Enna.