L’articolo 15 del d.P.R., “accertamenti di idoneità ed altre forme di inabilità”, precisa che detti accertamenti devono essere condotti nelle forme disciplinate dall’articolo 6 dello stesso decreto e aggiunge che in conformità dell’accertamento sanitario di inidoneità assoluta a qualsiasi impiego, l’Amministrazione procede, entro 30 giorni dalla ricezione del verbale della Commissione, alla risoluzione del rapporto di lavoro.
La Corte di Cassazione, con la pronuncia numero 14111/16, depositata l’11 luglio ha disposto quanto segue. Il caso. La Corte d’appello di Palermo ha dichiarato la nullità della deliberazione numero 69 adottata il 26 novembre 2009 dalla Giunta comunale di Mezzojuso, con la quale era stata disposta la dispensa dal servizio nei confronti di una dipendente, ed ha condannato l’ente locale a corrispondere alla stessa le retribuzioni maturate dalla data di efficacia della predetta deliberazione fino al raggiungimento dell’età pensionabile. La Corte territoriale ha ritenuto violate le regole proprie del procedimento poiché il provvedimento non era stato preceduto dalla comunicazione all’interessata, la quale non era stata invitata a presentare le proprie osservazioni. La Corte ha invece respinto il motivo di appello con il quale era stato censurato il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta in relazione alla pretesa condotta vessatoria subita da parte del datore di lavoro. Per la cassazione di tale sentenza ha ricorso il Comune di Mezzojuso sostenendo che, ai fini della dispensa dal servizio, la Corte territoriale aveva ignorato il giudizio espresso dalla commissione medica secondo la quale «la dipendente non era idonea in modo assoluto e permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza». Il quadro normativo di riferimento. Il ricorso è fondato. La Corte territoriale ha valutato la legittimità del provvedimento adottato dal Comune sulla base di quanto previsto dalle disposizioni del d.P.R. numero 3/1957 ed ha evidenziato che l’ente locale avrebbe dovuto consentire alla dipendente di presentare le proprie osservazioni. In realtà il giudice ha errato nella individuazione del quadro normativo e contrattuale di riferimento. L’articolo 15 del richiamato d.P.R., intitolato “accertamenti di idoneità ed altre forme di inabilità”, precisa che detti accertamenti devono essere condotti nelle forme disciplinate dall’articolo 6 dello stesso decreto e aggiunge, al comma 3, che in conformità dell’accertamento sanitario di inidoneità assoluta a qualsiasi impiego, l’Amministrazione procede, entro 30 giorni dalla ricezione del verbale della Commissione, alla risoluzione del rapporto di lavoro e all’adozione degli atti necessari per la concessione di trattamenti pensionistici alle condizioni previste dalle vigenti disposizioni in materia. La legittimità del provvedimento adottato dal Comune di Mezzojuso deve essere, pertanto, valutata alla luce delle disposizioni normative sopra riportate, considerando che, all’esito del procedimento avviato dalla dipendente per ottenere la pensione di inabilità ex articolo 2, comma 12, della l. numero 223/1995, la commissione medica, pur escludendo la sussistenza dei requisiti necessari per il riconoscimento della prestazione pensionistica richiesta, aveva accertato, ai fini della dispensa dal servizio, che la dipendente non era idonea in modo assoluto e permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza. La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte d’appello di Palermo.
Corte di Cassazione, sez. Lavoro, sentenza 4 maggio – 11 luglio 2016, numero 14111 Presidente Macioce – Relatore Di Paolantonio Svolgimento del processo 1 - La Corte di Appello di Palermo, in parziale riforma della sentenza del Tribunale di Termini Imerese, ha dichiarato la nullità della deliberazione numero 69 adottata in data 26 novembre 2009 dalla Giunta Comunale di Mezzojuso, con la quale era stata disposta la dispensa dal servizio nei confronti della dipendente C.V. , ed ha condannato l’ente locale a corrispondere alla C. le retribuzioni maturate dalla data di efficacia della predetta deliberazione fino al raggiungimento del’età pensionabile. 2 - La Corte territoriale ha ritenuto violate le regole proprie del procedimento, fissate dagli articolo 129 e 70 del d.p.r. 10 gennaio 1957 numero 3, perché il provvedimento non era stato preceduto dalla comunicazione all’interessata, la quale non era stata invitata a presentare le proprie osservazioni. Ha aggiunto che la pubblica amministrazione non aveva valutato la possibilità di utilizzare il dipendente in altre mansioni o in altri compiti attinenti alla sua qualifica. Infine ha ritenuto l’atto viziato da difetto assoluto di attribuzione, rilevante ai sensi dell’articolo 21 septies della legge numero 241 del 1990, poiché la dispensa era stata disposta dalla Giunta Comunale e non dal dirigente, al quale il potere di adottare gli atti relativi alla gestione del personale era stato attribuito dall’articolo 107 comma 3 del d.lgs numero 267 del 2000. La Corte ha invece respinto il motivo di appello con il quale era stato censurato il capo della sentenza di primo grado che aveva rigettato la domanda risarcitoria proposta in relazione alla pretesa condotta vessatoria subita da parte del datore di lavoro. 3 - Per la cassazione della sentenza ha proposto ricorso il Comune di Mezzojuso sulla base di tre motivi. C.V. ha resistito con tempestivo controricorso, illustrato da memoria. Motivi della decisione 1.1. - Con il primo motivo il Comune di Mezzojuso denuncia, ex articolo 360 numero 5 c.p.c., l’omesso esame del verbale di visita medica collegiale del 1 ottobre 2009. Rileva che la Corte territoriale non ha considerato in alcun modo il giudizio espresso dalla competente commissione medica, mai contestato nei precedenti gradi di merito, secondo cui la C. , ai fini della dispensa dal servizio, non era idonea in modo assoluto e permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro nell’ambito dell’Amministrazione di appartenenza . 1.2 - Il secondo motivo denuncia violazione e falsa applicazione del d.p.r. 29.10.2001 numero 461 articolo 15 e 20 violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 comma 4 bis del CCNL 6 luglio 1995, come introdotto dall’articolo 13 del CCNL 5 ottobre 2001 violazione e falsa applicazione dell’articolo 21 septies della legge 10 agosto 1990 numero 241 . Il ricorrente, premesso che la dispensa dal servizio può essere disposta non solo nei casi di inabilità assoluta e permanente a qualsiasi attività lavorativa, ma anche nelle ipotesi di inabilità assoluta rispetto alle mansioni e di incapacità, egualmente assoluta, allo svolgimento di un proficuo lavoro, evidenzia che nel caso di specie la Commissione aveva ricondotto a detta ultima ipotesi le patologie dalle quali la C. era affetta, sicché la Amministrazione non poteva diversamente ricollocare la dipendente, essendo le sue condizioni di salute incompatibili con qualsivoglia posizione lavorativa all’interno dell’ente. Precisa che la normativa richiamata dalla Corte territoriale nella sentenza impugnata non era più vigente all’epoca dei fatti, in quanto il legislatore con l’articolo 20 del d.p.r. 29.10.2001 numero 46 ha abrogato i commi 4 e 5 dell’articolo 129 nonché l’intero articolo 130 del d.p.r. numero 3 del 1957. Aggiunge che la fonte normativa e di regolazione doveva e deve essere individuata nell’articolo 15 del richiamato d.p.r. numero 461 del 2001 nonché nell’articolo 21, comma 4 bis, del CCNL autonomie del 1995. Infine precisa che gli obblighi di comunicazione e di informazione operano nei soli casi in cui il procedimento venga avviato dall’amministrazione non già qualora, come nella specie, l’intervento della commissione medica consegua a domanda presentata dall’interessato. 1.3 - Il terzo motivo censura il capo della decisione relativo alla ritenuta nullità del provvedimento, in quanto adottato dalla Giunta Comunale anziché dal dirigente. Il ricorrente denuncia la violazione di plurime disposizioni della legislazione regionale siciliana, degli articolo 48, comma 2, e 107 del d.lgs numero 267/2000, dell’articolo 21 septies della legge numero 241/1990, dell’articolo 15 del d.p.r. numero 461 del 2001. Rileva che la Corte territoriale, nel fondare la decisione sulla previsione dell’articolo 107 del d.lgs numero 267/2000, non ha in alcun modo considerato la riserva contenuta nello Statuto della Regione Sicilia, all’articolo 14, comma 1, lett. o , che attribuisce alla potestà legislativa regionale la disciplina della organizzazione degli enti locali. Richiama la normativa succedutasi nel tempo per sostenere che in forza dell’articolo 41, comma 2, della l.r.numero 41 del 1993 sono state attribuite alla competenza della giunta tutte le materie indicate dall’articolo 15 della l.r. numero 44 del 1991 e, quindi, anche gli atti di gestione dei rapporti di lavoro. Aggiunge che, in ogni caso, erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto applicabile alla fattispecie l’articolo 21 septies della l. numero 241 del 1990, sia perché a seguito della contrattualizzazione l’ente esercita i poteri propri del datore di lavoro privato, sia in quanto la nullità dell’atto per carenza di attribuzione è configurabile solo nelle ipotesi di assenza di qualsivoglia norma giuridica attributiva del potere. Al contrario la incompetenza determina la mera annullabilità dell’atto, che può essere sanata dalla ratifica effettuata dall’organo competente. 2 - I primi due motivi, che per la stretta connessione logico-giuridica devono essere congiuntamente trattati, sono fondati nei limiti e per le ragioni di seguito precisate. La Corte territoriale ha valutato la legittimità del provvedimento adottato dalla Giunta Comunale sulla base di quanto previsto dalle disposizioni, sostanziali e procedimentali, del d.p.r. numero 3 del 10 gennaio 1957 ed ha evidenziato che l’ente locale avrebbe dovuto consentire alla C. , ex articolo 129 comma 3, di presentare le proprie osservazioni, ed avrebbe dovuto valutare, sempre ai sensi del richiamato d.p.r., la possibilità di utilizzare la dipendente in altri compiti attinenti alla qualifica. In realtà il giudice di appello ha errato nella individuazione del quadro normativo e contrattuale di riferimento poiché ha innanzitutto omesso di considerare che l’articolo 130 nella sua interezza e l’articolo 129, commi 4 e 5, del d.p.r. numero 3 del 1957 sono stati abrogati dall’articolo 20 del d.p.r. 20.10.2001 numero 461, con il quale è stato approvato il regolamento per la semplificazione dei procedimenti per il riconoscimento della dipendenza delle infermità da causa di servizio, per la concessione della pensione privilegiata ordinaria e dell’equo indennizzo, nonché per il funzionamento e la composizione del comitato per le pensioni privilegiate ordinarie. L’articolo 15 del richiamato d.p.r., intitolato accertamenti di idoneità ed altre forme di inabilità , precisa che detti accertamenti devono essere condotti nelle forme disciplinate dall’articolo 6 dello stesso decreto ed aggiunge, al comma 3, che in conformità all’accertamento sanitario di inidoneità assoluta a qualsiasi impiego e mansione, l’Amministrazione procede, entro trenta giorni dalla ricezione del verbale della Commissione, alla risoluzione del rapporto di lavoro e all’adozione degli atti necessari per la concessione di trattamenti pensionistici alle condizioni previste dalle vigenti disposizioni in materia . Si deve, pertanto, ritenere che, avendo il legislatore dettato una compiuta disciplina del procedimento, abrogando anche l’articolo 130 del R.D. che si riferiva alla dispensa dal servizio per motivi di salute, prevedendo il diritto del dipendente di farsi assistere da un medico di fiducia, l’articolo 129 sia rimasto in vigore con riferimento al diverso istituto dallo stesso disciplinato, ossia alla dispensa dal servizio per persistente insufficiente rendimento . 2.1 - Risulta parimenti errato il richiamo contenuto nella sentenza impugnata agli articolo 70 e 71 del d.p.r. numero 3 del 1957, poiché anche dette disposizioni non erano più applicabili al momento della adozione del provvedimento impugnat9 essendo state espressamente disapplicate, a norma dell’articolo 72, comma 1, d.lgs numero 29 del 1993, dall’articolo 47, lett. q, del CCNL 6 luglio 1995 per il comparto degli enti locali, che all’articolo 21 ha disciplinato il potere del datore di lavoro di risolvere il rapporto, non solo nei casi di inidoneità allo svolgimento di qualsiasi proficuo lavoro, ma anche nella ipotesi di inidoneità alla mansione, purché accompagnata dalla impossibilità di assegnare il dipendente ad altri compiti nell’ambito della amministrazione di appartenenza. L’articolo 21 del CCNL richiamato è stato, poi, modificato dall’articolo 10 comma 2, del CCNL 14.9.2000 e dall’articolo 13 del CCNL 5.10. 2001 che, inserendo il comma 4 bis, ha previsto espressamente che la risoluzione del rapporto possa essere disposta ove non sia possibile procedere ai sensi del precedente comma 4 oppure nel caso che il dipendente sia dichiarato permanentemente inidoneo a svolgere qualsiasi proficuo lavoro . La legittimità del provvedimento adottato dal Comune di Mezzojuso deve, essere, pertanto valutata alla luce delle disposizioni normative e contrattuali sopra richiamate, considerando anche che, all’esito del procedimento avviato dalla C. per ottenere la pensione di inabilità ex articolo 2, comma 12, della legge numero 223/1995 la commissione medica, pur escludendo la sussistenza dei requisiti necessari per il riconoscimento della prestazione pensionistica richiesta, aveva accertato ai fini del dispensa dal servizio che la dipendente non era idonea in modo assoluto e permanente a svolgere qualsiasi proficuo lavoro nell’ambito della amministrazione di appartenenza . Detta diversa valutazione dovrà essere compiuta dal giudice di merito, comportando la stessa accertamenti in fatto che esulano dall’ambito del giudizio di legittimità. 3 - Il terzo motivo, con il quale è stato censurato il capo della sentenza relativo alla ritenuta nullità del provvedimento, perché adottato dalla Giunta anziché dal Dirigente, è egualmente fondato nella parte in cui evidenzia che, una volta privatizzato il rapporto di impiego, l’incompetenza non può determinare di per sé la invalidità dell’atto. Occorre premettere che la Regione Sicilia è titolare di potestà legislativa esclusiva in materia di ordinamento degli enti locali ed il fondamento giuridico di tale potestà è da rinvenire nell’articolo 14 dello Statuto, approvato con legge costituzionale 26.2.1948 numero 2 e successivamente modificato sempre con leggi costituzionali che, all’articolo 14, comma 1 lett. o , riserva alla Regione il regime degli enti locali e delle circoscrizioni relative ed all’articolo 15, dopo avere precisato che l’ordinamento degli enti locali si basa sul Comuni e sui Liberi Consorzi comunali , aggiunge che spetta alla Regione la legislazione esclusiva e l’esecuzione diretta in materia di circoscrizioni, ordinamento e controllo degli enti locali . La sentenza impugnata è, quindi, errata nella parte in cui richiama l’articolo 107, comma 3, del d.lgs numero 267 del 2000, senza accertare se analoga disposizione sul poteri del dirigente sia stata adottata dalla Regione, anche attraverso il recepimento della normativa nazionale. 3.1 - Tuttavia non è corretta la ricostruzione del quadro normativo operata dal Comune ricorrente per sostenere che l’atto del quale qui si discute rientrava, al momento della sua adozione, nella competenza della Giunta comunale. Va detto, infatti, che la l.r. 9.8.1998 numero 23 con l’articolo 2 ha dato attuazione nella Regione siciliana alla legge 15.5.1997 numero 127 ed in particolare all’articolo 6 della legge richiamata che, a sua volta, ha modificato l’articolo 51 della legge numero 142 del 1990, stabilendo che spetta ai dirigenti la direzione degli uffici e dei servizi secondo i criteri dettati dagli statuti e dal regolamenti che si uniformano al principio per cui i poteri di indirizzo e di controllo spettano agli organi elettivi mentre la gestione amministrativa è attribuita ai dirigenti ai quali sono riservati, tra l’altro, gli atti di amministrazione e gestione del personale . Ne discende che la risoluzione del rapporto per la sopravvenuta inidoneità della dipendente doveva essere disposta dal dirigente e non dalla giunta. 3.2. - Il motivo di ricorso è, però, fondato nella parte in cui evidenzia che erroneamente la Corte territoriale ha ritenuto di poter configurare nella fattispecie un difetto di attribuzione. Va detto, infatti, che il difetto di attribuzione, riferibile agli atti amministrativi, postula la cosiddetta carenza di potere in astratto ed è ravvisabile solo qualora l’amministrazione eserciti un potere che nessuna norma le attribuisce, non già allorquando il potere stesso spetti senz’altro all’ente, che lo eserciti attraverso atti adottati da un organo incompetente si veda in tal senso C.d.S. 18.11.2014 numero 5671 . In tal caso, infatti, come chiarito anche in precedenti pronunce di questa Corte, si configura soltanto una violazione della norma di azione che definisce la competenza dell’organo, cioè il quantum di funzioni allo stesso spettante Cass. 20.9.2006 numero 20409 , con la conseguenza che, ove l’atto abbia natura negoziale, lo stesso non potrà essere ritenuto, in difetto di una diversa previsione della legge, né nullo né insistente, ma solo annullabile ad istanza dell’ente al quale il medesimo si riferisce Cass. 9 maggio 2007 numero 10631 - che sottolinea anche come l’atto sia suscettibile di ratifica attraverso la dichiarazione dell’organo che sarebbe stato competente - ed in motivazione Cass. 5.3.2003 numero 3254 con riferimento al contratto di lavoro stipulato da soggetto incompetente . Detti principi devono valere anche nella fattispecie, poiché il provvedimento adottato esula dall’ambito disciplinare, nel quale anche la incompetenza rileva quale causa di nullità per l’espressa previsione contenuta nell’articolo 55 del d.lgs numero 165 del 2001, e perché, in relazione alla natura dell’atto adottato, non si ravvisa alcun interesse sostanziale del dipendente che sia stato leso in conseguenza dell’esercizio del potere da parte di organo incompetente. 4 - La sentenza impugnata va, quindi, cassata con rinvio alla Corte di Appello di Palermo, in diversa composizione, che procederà ad un nuovo esame, attenendosi ai principi di diritto sopra enunciati e provvedendo anche sulle spese del giudizio di legittimità. P.Q.M. La Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia anche per le spese alla Corte di Appello di Palermo in diversa composizione.