Errore nella dichiarazione delle ore di servizio: l’assenza di dolo assolve il carabiniere

La fattispecie del falso in atto pubblico articolo 479 c.p. è caratterizzata dal dolo generico la cui assenza porta gli Ermellini ad annullare la condanna inflitta ad un carabiniere con la formula “perché il fatto non costituisce reato”.

Sul tema la Corte di legittimità con la sentenza numero 27932/18, depositata il 18 giugno. La vicenda. La Corte d’Appello de L’Aquila confermava la condanna di primo grado per falso ideologico in atto pubblico pronunciata a carico del comandante di una stazione dei carabinieri per aver falsamente attestato le proprie ore di servizio. Avverso tale pronuncia, propone ricorso per cassazione il difensore dell’imputato lamentando violazione dell’articolo 479 c.p. Falsità ideologica commessa dal pubblico ufficiale in atti pubblici . Dolo. Premettendo che la fattispecie del falso in atto pubblico è caratterizzata dal dolo generico, la Corte di Cassazione evidenzia l’assenza dell’elemento soggettivo del reato nel caso di specie. Le risultanza probatorie dimostrano infatti l’assenza di intenzionalità nella condotta dell’imputato che aveva infatti inviato al comandante della stazione un messaggio in cui chiedeva di non conteggiare il tempo in questione ai fini del calcolo della retribuzione, dimostrando così la sopravvenuta consapevolezza dell’errore in cui era caduto. Si tratta infatti di uno scostamento minimo delle ore di servizio dichiarate rispetto a quelle accertate e la comunicazione summenzionata è stata valorizzata dai giudici di merito come fattore decisivo per escludere il dolo di truffa, conclusione che avrebbe dovuto essere applicata anche alla contestazione di falso ideologico. In conclusione, la Corte annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 13 aprile – 18 giugno 2018, numero 27932 Presidente Sabeone – Relatore Settembre Ritenuto in fatto 1. La Corte d’appello di L’Aquila ha, con la sentenza impugnata, confermato quella emessa dal Tribunale di Pescara, che aveva condannato D.P.F. per falso ideologico in atto pubblico. Secondo la ricostruzione operata in sentenza l’imputato, comandante interinale della stazione carabinieri di omissis , attestò falsamente, nel memoriale di servizio del 6/12/2010, di essere stato impegnato in Tribunale fino alle ore 13 e di aver poi svolto in ufficio il servizio disbrigo pratiche dalle ore 13 alle ore 14, laddove le attività processuali erano terminate alle ore 11,50 e non si era recato, all’uscita dal Tribunale, in ufficio inoltre, perché in data 7/12/2010 attestò, nel memoriale suddetto, di aver svolto il servizio istruzione settimanale dalle 13 alla 14, laddove aveva abbandonato gli uffici del Comando stazione alle ore 13,20. 2. Contro la sentenza suddetta ha proposto ricorso per Cassazione il difensore dell’imputato lamentando la violazione dell’articolo 479 cod. penumero e l’illogicità della motivazione concernente il giudizio di responsabilità. Infatti, deduce, la prova del falso è stata tratta da due circostanze entrambe prive di valore probatorio, in quanto nel verbale di udienza era indicata l’ora di cessazione dell’attività processuale, e non anche la presenza fisica in aula delle parti, e perché i giudici di merito avevano attribuito - fideisticamente - veridicità al ricordo dell’appuntato Restante, non addetto al controllo delle prestazioni lavorative dei colleghi, sicché era ben probabile che si fosse sbagliato. I giudici non hanno tenuto conto, inoltre, quanto al falso del 6 dicembre, del tempo necessario all’imputato per rientrare in ufficio dal Tribunale e del fatto che l’uscita dalla caserma, il 7 dicembre, non aveva l’inequivocabile significato di abbandono del posto, ben potendo D.P. essersi momentaneamente assentato, per far rientro subito dopo. Ugualmente illogica, deduce, è la motivazione riguardante l’elemento soggettivo, per essere stato valorizzato, contro l’imputato un messaggio telefonico inviato da D.P. al comandante della stazione qualche giorno dopo il 7 dicembre, con cui gli chiedeva di non conteggiare il tempo in questione ai fini del calcolo della retribuzione, in quanto s’era dovuto assentare per motivi di salute messaggio che provava, invece, la consapevolezza dell’errore - subentrata successivamente - in cui l’imputato era caduto. Considerato in diritto Il ricorso è fondato, perché emerge dalla stessa sentenza d’appello l’assenza del dolo richiesto dalla fattispecie. Premesso che si è di fronte, nella specie, a minimi scostamenti del dichiarato rispetto all’accertato, sia per la giornata del 6 che del 7 dicembre 2010, la comunicazione fatta dal D.P. al comandante della stazione, poco giorni dopo, testimonia essa stessa dell’errore in cui l’imputato era caduto. Tale comunicazione, invero, è stata valorizzata dalla Corte d’appello al fine di escludere il dolo di truffa, rilevando che appare dimostrativa dell’intenzione del medesimo di non volersi procurare un ingiusto profitto, inducendo con artifici l’Amministrazione in errore pag. 3 . Non si spiega, quindi, perché la stessa conclusione non sia stata adottata per il falso, che al conseguimento dell’ingiusto profitto doveva essere - secondo ogni logica - funzionale. Non vale osservare, al riguardo, che il falso in atto pubblico è reato a dolo generico come rimarca il giudicante , perché anche lo truffa lo è, e tuttavia questo fatto non ha impedito alla Corte territoriale di mandare assolto l’imputato per quest’altro reato, proprio sul presupposto, esplicitamente dichiarato, che mancava in D.P. l’intenzione di ingannare. È appena il caso di sottolineare che le azioni umane sono - normalmente - finalisticamente orientate, sicché l’esclusione della volontà di profitto dimostra - secondo ogni logica - anche l’assenza del dolo in ordine ai mezzi che avrebbero dovuto assicurarlo. Consegue a tanto l’annullamento senza rinvio della sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.