Qualora l’avvocato abbia fornito nei precedenti gradi di giudizio piena prova della congruità dei compensi richiesti rispetto all’attività svolta, le doglianze avanzate dal cliente, che non si risolvono in efficaci contestazioni relative all’esorbitanza dei compensi professionali, non sono idonee a vincere la presunzione di conformità al tariffario vigente dato dall’Ordine degli Avvocati, giacché il cliente può contestare i compensi mediante la proposizione di apposita impugnazione.
Così la Corte di Cassazione con ordinanza numero 10408/18, depositata il 2 maggio. Il caso. Il Tribunale di Piacenza, in accoglimento dell’appello proposto da un legale avverso la sentenza emessa dal Giudice di Pace di Fiorenzuola d’Arda, rigettava l’opposizione proposta dall’appellata avverso il decreto ingiuntivo relativo ai compensi professionali spettanti al legale. Il Tribunale rilevava non solo l’impossibilità per il Giudice di Pace di decidere secondo equità ex articolo 113 c.p.c. ma che le doglianze sollevate in ordine all’esorbitanza dei compensi, «non risolvendosi in efficaci contestazioni», non risultavano tali da superare la presunzione di conformità del compenso rispetto al tariffario vigente. Avverso la decisione del Tribunale l’appellata ricorre per cassazione denunciando, tra i vari motivi di ricorso, l’errata individuazione in capo al ricorrente dell’onere di dimostrazione dell’esorbitanza del compenso, laddove spetterebbe invece al legale la prova circa la congruità del compenso rispetto all’attività svolta, risultando insufficiente la mera allegazione del giudizio di congruità emesso dal COA. Il compenso. Il Supremo Collegio sottolinea come, nel caso di specie, in presenza di un decreto ingiuntivo avente ad oggetto il pagamento dei compensi professionali, «l’opposizione al decreto ingiuntivo apre un normale giudizio di cognizione in cui il ricorrente assume la veste sostanziale di attore e l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa» e tale regola non subisce deroga alcuna in presenza «di ingiunzione emessa per il pagamento di diritto e onorari di avvocato e procuratore sulla base di parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine professionale», incombendo dunque «sul professionista l’obbligo di dimostrare l’effettività delle prestazioni elencate nella parcella, affinché il giudice possa liquidare i relativi compensi secondo tariffa». Ebbene, la Suprema Corte rileva come «il primo giudice aveva accertato lo svolgimento di un’attività professionale da parte del professionista indicando le specifiche attività poste in essere nell’interesse della cliente e il giudice d’appello, a sua volta, ha rilevato che è stata “fornita piena prova” del diritto di credito azionato». Pertanto, «la mancata proposizione di un appello incidentale del cliente esonerava quindi il Tribunale dal compiere ulteriori verifiche sulla prova del conferimento dell’incarico e sulle attività espletate in concreto dal professionista nell’interesse della cliente». La Corte dunque, ribadendo che il giudizio di congruità sulla pretesa economica spetta al Tribunale e che «la diversa determinazione del quantum» è insindacabile in sede di legittimità, rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – 2, ordinanza 30 novembre 2017 – 2 maggio 2018, numero 10408 Presidente D’Ascola – Relatore Orilia Ritenuto in fatto Il Tribunale di Piacenza con sentenza 11.10.2016, accogliendo l’appello proposto dal creditore avvocato L.M.P. , contro la sentenza numero 166/2011 del Giudice di Pace di Fiorenzuola d’Arda, ha rigettato l’opposizione proposta da M.L. contro un decreto ingiuntivo per l’importo 1.692,41 a titolo di compensi professionali. Per quanto ancora qui interessa, il Tribunale, rilevata l’insussistenza delle condizioni di cui all’articolo 113 cpc per la decisione secondo equità, ha osservato che la sentenza impugnata non consentiva di ricostruire l’iter logico argomentativo seguito dal giudice di pace nella riquantificazione degli onorari professionali ha altresì osservato che nel merito era stata fornita la prova del diritto di credito azionato in sede monitoria, ritenendo che le doglianze in ordine alla esorbitanza dei compensi non coglievano nel segno, perché esse, non risolvendosi in efficaci contestazioni, non erano idonee a vincere la presunzione di conformità al tariffario vigente data dall’Ordine degli Avvocati. Sulla base di tali rilievi, il giudice di appello ha quindi ritenuto il credito del legale pienamente accertato e provato. 2 La sentenza è stata impugnata dalla M. con ricorso per cassazione sulla base di due motivi, a cui resiste con controricorso l’avvocato L. . 3 Il relatore ha proposto il rigetto del primo motivo di ricorso per manifesta infondatezza e l’accoglimento del secondo per manifesta fondatezza e le parti hanno depositato memorie. Considerato in diritto 1 Con il primo motivo la ricorrente denunzia, ai sensi dell’articolo 360 numero 3 cpc, violazione e falsa applicazione degli articolo 113 e 339 cpc per errata valutazione del principio del deciso secondo equità a dire della ricorrente il Tribunale avrebbe dovuto rilevare l’inappellabilità della sentenza del Giudice di Pace, non risultando la sussistenza di alcuno dei casi previsti dall’articolo 339 cpc violazione delle norme del procedimento, delle norme costituzionali o comunitarie ovvero principi regolatori della materia . Altra ragione di inappellabilità sta nel fatto - sostiene la ricorrente - che la somma contestata ammontava a comma 692,41, essendosi dichiarata disponibile in sede di opposizione, a versare transattivamente la somma di Euro 1.000,00. Il motivo è manifestamente infondato. Come più volte affermato da questa Corte al fine di verificare se la sentenza resa dal giudice di pace sia suscettibile di appello occorre far riferimento esclusivamente alla domanda come formulata nell’atto introduttivo del giudizio, senza che assuma alcun rilievo la riduzione del petitum eventualmente operata dall’attore in sede di precisazione delle conclusioni, in quanto il momento determinante ai fini della individuazione della competenza è quello della proposizione della domanda. Ancora, per verificare se la domanda sia, o meno, nei limiti fissati dall’articolo 113 c.p.c., perché la sentenza debba ritenersi emessa secondo equità, devono utilizzarsi le regole dettate dal codice di rito per la determinazione del valore della causa tra le varie, Sez. 6 - 3, Ordinanza numero 11739 del 05/06/2015 Rv. 635479 Sez. 3, Sentenza numero 9432 del 11/06/2012 Rv. 622846 v. altresì Cass., 12 luglio 2005, numero 14586 cfr. Cass. 15 giugno 2004, numero 11258 Sez. 2, Sentenza numero 4890 del 01/03/2007 Rv. 596947 . Nel caso di specie il valore della controversia, determinato in ragione della domanda ai sensi dell’articolo 10 cpc, era di comma 1.692,41, importo corrispondente alla somma domandata dal professionista in sede monitoria e quindi, a prescindere dalla violazione o meno dei principi regolatori della materia, la causa risultava decisa secondo diritto stante il superamento del limite della giurisdizione equitativa del giudice di pace e quindi la sentenza era sicuramente appellabile. Né contrasta con tale conclusione la pronuncia numero 13387/2011 che la ricorrente richiama fuori luogo , posto nel caso ivi esaminato il valore della causa, necessario per stabilire il regime impugnatorio applicabile, era stato considerato proprio con riferimento all’importo richiesto con decreto ingiuntivo e dall’importo oggetto del decreto ingiuntivo opposto pari, in quel caso, a vecchie lire 700.000 e quindi, del tutto coerentemente in quell’occasione la Corte era pervenuta alla cassazione senza rinvio e, decidendo nel merito, alla dichiarazione di inammissibilità dell’appello. 2 Col secondo motivo si deduce la violazione dell’articolo 360 numero 5 cpc per omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, in particolare per la mancata valutazione dei fatti e degli elementi istruttori in violazione degli articolo 115 e 116 cpc e 111 Cost Con la censura in esame si critica sostanzialmente il passaggio con cui il giudice di appello ritiene che sia onere del cliente contestare efficacemente l’ammontare del compenso determinato in sede monitoria dimostrandone l’esorbitanza si rileva inoltre che l’avvocato L. non aveva minimamente dimostrato la fondatezza e l’entità del proprio credito, contravvenendo ad una delle norme cardine del giudizio civile in ordine all’onere della prova si ricorda che in tal caso deve essere il professionista a dimostrare la congruità tra l’attività stragiudiziale espletata e la somma richiesta a titolo di onorari, non essendo sufficiente a colmare tale lacuna probatoria il riferimento al giudizio di congruità del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, trattandosi di un formale controllo di corrispondenza tra le voci indicate nella parcella e nella tariffa di categoria. Di conseguenza - prosegue la ricorrente essendo stata contestata l’entità della attività svolta e l’ammontare del compenso, spettava al professionista di provare puntualmente l’attività svolta, come espressamente rilevato dal giudice di pace. La ricorrente richiama poi le risultanze probatorie a sostegno della infondatezza della avversa pretesa. Anche questa censura è manifestamente fondata. Secondo il costante orientamento di questa Corte, il principio in base la quale l’opposizione al decreto ingiuntivo apre un normale giudizio di cognizione in cui il ricorrente assuma la veste sostanziale di attore e l’onere di provare i fatti costitutivi della propria pretesa, non soffre deroga nel caso di ingiunzione emessa per il pagamento di diritti e onorari di avvocato e procuratore sulla base di parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine professionale/ con la conseguenza che anche in tale ipotesi di fronte a contestazioni dell’opponente, sia pure generiche, incombe sul professionista l’obbligo di dimostrare l’effettività delle prestazioni elencate nella parcella, affinché il giudice possa liquidare i relativi compensi secondo tariffa v. tra le tante, Sez. 2, Sentenza numero 13181 del 14/12/1992 Rv. 480007 . È stato altresì precisato che, in tema di prestazioni professionali, la parcella corredata dal parere del consiglio dell’ordine, sulla base della quale il professionista abbia ottenuto il decreto ingiuntivo contro il cliente, se è vincolante per il giudice nella fase monitoria, non lo è nel giudizio di opposizione, poiché il parere attesta la conformità della parcella stessa alla tariffa legalmente approvata ma non prova, in caso di contestazione del debitore, la effettiva esecuzione delle prestazioni in essa indicate, né è vincolante per il giudice della cognizione in ordine alla liquidazione degli onorari. Ne consegue che la presunzione di veridicità da cui è assistita la parcella riconosciuta conforme alla tariffa non esclude né inverte l’onere probatorio che incombe sul professionista creditore - ed attore in senso sostanziale - sia quanto alle prestazioni effettivamente eseguite che quanto alla misura degli importi richiesti Sez. 2, Sentenza numero 5321 del 04/04/2003 Rv. 561888 Sez. 2, Sentenza numero 14556 del 30/07/2004 Rv. 575116 . Nel caso di specie, però, già il primo giudice aveva accertato lo svolgimento di una attività professionale da parte del professionista indicando le specifiche attività poste in essere nell’interesse della cliente v. pagg. 3 e 4 della sentenza e il giudice di appello, a sua volta, ha rilevato che è stata fornita piena prova del diritto di credito azionato. La mancata proposizione di un appello incidentale del cliente esonerava quindi il Tribunale dal compiere ulteriori verifiche sulla prova del conferimento dell’incarico e sulle attività espletate in concreto dal professionista nell’interesse della cliente. La valutazione del giudice di merito sull’assolvimento dell’onere probatorio da parte dell’avvocato, dunque, esiste e non può mettersi in discussione in questa sede, non essendo consentita la rivalutazione di elementi istruttori in sede di legittimità v. al riguardo Sez. U, Sentenza numero 8053 del 07/04/2014 Rv. 629831 sulla individuazione del vizio di omesso esame . Il giudizio di congruità della pretesa economica azionata dal professionista rientra nell’esercizio del potere discrezionale del Tribunale e quindi la diversa determinazione del quantum non è qui sindacabile, non essendo dedotte violazioni di limiti tariffari e non essendo più censurabile il vizio di motivazione. Il ricorso va dunque respinto con addebito di spese alla parte soccombente e considerato che il ricorso è stato proposto successivamente al 30 gennaio 2013 ed è stato dichiarato inammissibile, sussistono le condizioni per dare atto - ai sensi dell’articolo 1, comma 17, della legge 24 dicembre 2012, numero 228 Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato-Legge di stabilità 2013 , che ha aggiunto il comma 1 - quater all’articolo 13 del testo unico di cui al D.P.R. numero 115 del 2002- della sussistenza dell’obbligo di versamento, a carico della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità che liquida in Euro 800,00 di cui Euro 200,00 per esborsi. Ai sensi dell’articolo 13, comma 1 - quater, del D.P.R. numero 115 del 2002, inserito dall’articolo 1, comma 17, della legge numero 228 del 2012, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del comma 1 -bis dello stesso articolo 13.