Con la sentenza numero 364/88 la Corte Costituzionale ha sancito che l’ignoranza della legge penale, ove incolpevole a causa della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito che abbia assolto, con ordinaria diligenza, al c.d. “dovere d’informazione”, diretto all’accertamento delle disposizioni vigenti in materia. Tale obbligo è però particolarmente rigoroso per coloro che svolgono un’attività professionale, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù della culpa levis nel compimento dell'indagine giuridica.
Lo afferma la Corte di Cassazione con la sentenza numero 11340/15 depositata il 18 marzo. Il fatto. L’imputato, titolare di una ditta dedita al commercio di prodotti per l’agricoltura, mangimi e fitofarmaci, veniva condannato ai sensi dell’articolo 6, l. numero 283/62 per la detenzione, ai fini della vendita, di farmaci e prodotti fitosanitari senza la prescritta autorizzazione sanitaria. Avvero la sentenza, l’imputato propone ricorso per cassazione. L’errore nel credere abrogata la fattispecie. Il primo motivo di doglianza lamenta l’intervenuta abrogazione della fattispecie incriminatrice, per effetto dei c.d. “decreti taglialeggi” d.lgs. numero 179/09, numero 212/10, numero 213/10 . La Suprema Corte ritiene di non dover riconoscere fondamento alla tesi difensiva, affermando che la questione è ormai da tempo risolta, nel senso di non ritenere operante l’invocato effetto abrogativo. I medesimi giudici avevano già affermato che «la legge sulla disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande non ha subito alcun effetto abrogativo a seguito dell’emanazione dei decreti abrogativi delle leggi pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970, attuativi della delega conferita con legge 28 novembre 2005, numero 246 in materia di semplificazione legislativa». Il dovere d’informazione sulle disposizioni vigenti. Con ulteriore motivo di ricorso, viene dedotta l’applicabilità del c.d. errore scusabile ex articolo 5 c.p., escluso dalla pronuncia di merito. Considerando che la ratio della sentenza della Corte Costituzionale numero 364/88 afferma che l’ignoranza della legge penale, ove incolpevole a causa della sua inevitabilità, scusa l’autore dell’illecito che abbia assolto al c.d. “dovere d’informazione”, diretto all’accertamento delle disposizioni vigenti in materia, la Cassazione precisa che tale condizione è sussistente per il comune cittadino ove egli si sia in tal senso adoperato con l’ordinaria diligenza. Il medesimo obbligo è però connotato in modo particolarmente rigoroso per coloro che svolgono un’attività professionale, i quali rispondono dell’illecito anche in virtù della culpa levis nello svolgimento dell’indagine giuridica. In questo caso la scusabilità dell’ignoranza può operare solo laddove l’agente abbia tratto il convincimento della liceità del proprio comportamento da un complesso e pacifico orientamento giurisprudenziale. Quando la giurisprudenza può dirsi consolidata e pacifica. Nel caso di specie, l’accertamento della condotta del ricorrente era avvenuto in un momento in cui non poteva certo dirsi esistente un consolidato orientamento giurisprudenziale «su cui fondare l’assunto che potesse essersi determinato l’effetto abrogativo dalla l. numero 283/62 da parte dei decreti taglialeggi», ma anzi, considerando le pronunce della medesima Cassazione sul tema, nonché la nota dell’ufficio legislativo del Ministero della Semplificazione normativa, con cui veniva confermata espressamente la vigenza della predetta legge, non è possibile sostenere che l’imputato aveva tratto il convincimento della liceità del proprio comportamento dall’interpretazione normativa coeva alla commissione del fatto. Per questi motivi la Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Corte di Cassazione, sez. III Penale, sentenza 29 gennaio – 18 marzo 2015, numero 11340 Presidente Mannino – Relatore Scarcella Ritenuto in fatto 1. Con sentenza del 21/10/2013, depositata in data 25/10/2013, il tribunale di COSENZA condannava il ricorrente alla pena di 600,00 euro di ammenda con il concorso di attenuanti generiche e riconosciutigli i doppi benefici di legge, in quanto ritenuto colpevole del reato di cui all'articolo 6, legge numero 283 del 1962, perché quale titolare della ditta NEW GARDEN, deteneva per vendere fitofarmaci e presidi sanitari, meglio descritti nel verbale di sequestro 27/05/2011, senza la prescritta autorizzazione sanitaria fatto contestato come accertato in data 27/05/2011 . 2. Ha proposto appello il difensore di fiducia, iscritto all'Albo speciale ex articolo 614 cod. proc. penumero , deducendo due motivi di impugnazione a intervenuta abrogazione della fattispecie contestata b applicazione al caso in esame dell'errore scusabile ex articolo 5 cod. penumero 3. Con ordinanza pronunciata in data3/12/2013, depositata in data 4/12/2013, la Corte d'appello di Catanzaro, qualificata l'impugnazione con ricorso per cassazione, ha disposto la trasmissione a questa Corte dell'atto di appello, essendo stato proposto contro sentenza non appellabile ex articolo 593, comma terzo, cod. proc. penumero Considerato in diritto 4. II ricorso dev'essere dichiarato inammissibile per manifesta infondatezza. 5. Ed infatti, premesso che il principio della conservazione del mezzo di impugnazione impropriamente proposto può operare soltanto quando abbia tutti i requisiti sostanziali e formali del mezzo che si sarebbe dovuto correttamente proporre, valutato il contenuto dell'impugnazione originariamente proposta, osserva il Collegio come con la stessa non siano state dedotte censure di merito, donde lo stesso può essere valutato da questa Corte. 6. Tanto premesso, tuttavia, i motivi sono manifestamente infondati. Ed invero, quanto al primo motivo, con cui si solleva ancora una volta la questione dell'intervenuta abrogazione della fattispecie incriminatrice per effetto dei cosiddetti decreti taglialeggi , osserva il Collegio come la questione è ormai da tempo stata risolta da questa Sezione, nel senso di ritenere non operante l'invocato effetto abrogativo. Sul punto, è sufficiente in questa sede richiamare quanto affermato già nel 2011 da questa Corte, osservandosi come la legge contenente la disciplina igienica della produzione e della vendita di alimenti e bevande non ha subito alcun effetto abrogativo a seguito dell'emanazione dei decreti abrogativi delle leggi pubblicate anteriormente al 1 gennaio 1970 cosiddetti decreti taglialeggi D.Lgs. numero 179 del 2009 D.Lgs. 212 del 2010 D.Lgs. numero 213 del 2010 , attuativi della delega conferita con legge 28 novembre 2005, numero 246 in materia di semplificazione legislativa Sez. 3, numero 9276 del 19/01/2011 dep. 09/03/2011, Facchi, Rv. 249783 conforme Sez. 3, numero 46183 del 23/10/2013 dep. 18/11/2013, Capraro, Rv. 257634 . Non avendo la difesa del ricorrente prospettato argomenti ulteriori e diversi da quelli noti, non si ravvisano ragioni per discostarsi dall'orientamento già espresso dalle richiamate decisioni, con conseguente declaratoria di inammissibilità del motivo di ricorso. 7. Non miglior sorte merita, poi, il secondo motivo, con cui, invece, la difesa del ricorrente sostiene l'applicabilità nel caso in esame del c.d. errore scusabile ex articolo 5 cod. penumero In particolare, si sostiene, il giudice del merito avrebbe errato nell'escludere l'applicabilità dell'errore scusabile, in quanto la ratio della sentenza della Corte costituzionale numero 364 del 1988, avrebbe dovuto condurre il giudice a pronunciare sentenza assolutoria ala luce di una serie di elementi l'intervento di più disposizioni legislative con cui si specificavano le normative, antecedenti al 1970, che non dovevano ritenersi abrogate la circostanza che tra queste normative non fosse stata mai indicata quella contestata la oggettiva difficoltà venutasi a creare che rendeva difficilmente interpretabile la normativa, come dimostrato dal fatto che questa stessa Corte con una sentenza del 2010 avesse ritenuto abrogata la disciplina in esame alla data del 16/12/2010 infine, la circostanza che il ricorrente richiese ed ottenne successivamente l'autorizzazione sanitaria . Si tratta di argomenti suggestivi, ma privi di pregio. Ed infatti, a seguito della sentenza 23 marzo 1988 numero 364 della Corte Costituzionale, secondo la quale l'ignoranza della legge penale, se incolpevole a cagione della sua inevitabilità, scusa l'autore dell'illecito, vanno stabiliti i limiti di tale inevitabilità. Per il comune cittadino tale condizione è sussistente, ogni qualvolta egli abbia assolto, con il criterio dell'ordinaria diligenza, al cosiddetto dovere di informazione , attraverso l'espletamento di qualsiasi utile accertamento, per conseguire la conoscenza della legislazione vigente in materia. Tale obbligo è particolarmente rigoroso per tutti coloro che svolgono professionalmente una determinata attività come, nel caso di specie, il ricorrente, titolare di una ditta che si occupa della commercializzazione di prodotti per l'agricoltura e di mangimi nonché della commercializzazione di fitofarmaci , i quali rispondono dell'illecito anche in virtù di una culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. Per l'affermazione della scusabilità dell'ignoranza, occorre, cioè, che da un comportamento positivo degli organi amministrativi o da un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale, l'agente abbia tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto v., per tutte Sez. U, numero 8154 del 10/06/1994 dep. 18/07/1994, P.G. in proc. Calzetta, Rv. 197885 . 8. Nel caso di specie, alla data del 27/05/2011, non poteva certo dirsi esistente come richiesto dalle Sezioni Unite di questa Corte un complessivo pacifico orientamento giurisprudenziale su cui fondare l'assunto che potesse essersi determinato l'effetto abrogativo della legge numero 283 del 1962 da parte dei decreti taglialeggi, ma anzi, considerato che la sentenza evocata dal ricorrente la numero 12527 del 2010 , non risultava né mai risulta neppure essere stata ufficialmente massimata dall'Ufficio a ciò deputato presso la Corte Suprema laddove, diversamente, risulta essere stata regolarmente massimata, quale prima decisione sull'argomento, la numero 9276 del 2011 peraltro depositata in data 9 marzo 2011, quindi oltre due mesi prima dell'accertamento di cui si discute, datato 27/05/2011 che tale effetto abrogativo escludeva -, poteva invece considerarsi pacifico nella giurisprudenza di legittimità proprio il principio secondo cui la legge numero 283 del 1962 dovesse considerarsi in vigore. Se a questo, poi, si aggiunge che lo stesso Ufficio legislativo del Ministero della Semplificazione normativa, con nota numero MSN 000058 P del 13/01/2011 anche questa antecedente ai fatti per cui si procede , fornita in risposta a richiesta di chiarimenti proveniente dalla Procura della Repubblica di Napoli, aveva confermato espressamente l'attuale vigenza del testo normativo rappresentato dalla Legge numero 283 del 1962, si trae ulteriore argomento per ritenere che l'esegesi operata da questa Corte, con riferimento alla questione prospettata, fosse da ritenersi assolutamente corretta. Ed allora, conclusivamente, non può sostenersi che il ricorrente, quale operatore professionale, al momento della commissione del fatto avesse tratto il convincimento della correttezza dell'interpretazione normativa e, conseguentemente, della liceità del comportamento tenuto, dovendo quindi rispondere dell'illecito in virtù della culpa levis nello svolgimento dell'indagine giuridica. 9. Il ricorso dev'essere, pertanto, dichiarato inammissibile. Segue, a norma dell'articolo 616 c.p.p., la condanna del ricorrente al pagamento delle spese del procedimento e, non emergendo ragioni di esonero, al pagamento a favore della Cassa delle ammende, a titolo di sanzione pecuniaria, di somma che si stima equo fissare, in euro 1.000,00 mille/00 . P.Q.M. La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali ed al pagamento della somma di € 1.000,00 in favore della Cassa delle ammende.