Processo civile telematico e copia di cortesia. Quali sono le conseguenze della scortesia?

Quanto può costare una scortesia? Per il Tribunale di Milano molto cara se la “scortesia” consiste nel non depositare la copia cartacea di una comparsa conclusionale, depositata esclusivamente in via telematica.

Non entrando nel merito della sentenza in commento, basterà esaminare ai nostri fini le poche righe che condannano la parte che aveva presentato opposizione allo stato passivo di un fallimento al pagamento di 5mila euro ex articolo 96, comma 3, c.p.c Le poche righe dicono questo «Va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie di “cortesia” di cui al Protocollo d’Intesa tra il Tribunale di Milano e l’Ordine degli Avvocati di Milano del 26.6.2014 rendendo più gravoso per il Collegio esaminare le difese. Tale circostanza comporta l’applicazione dell’articolo 96, comma 3, c.p.c. come da dispositivo». Una “scortesia” che costa . Ebbene si. Chi mi legge ha capito bene. Per i giudici della seconda sezione del Tribunale di Milano e nella specie per il Collegio composto dalla dott.sa Bruno, Mammone e dr. D’Aquino relatore, la scortesia si paga cara e costa ben 5mila euro! Non si può dunque non rimanere impietriti e basiti di fronte ad una condanna che non trova giustificazione in alcuna norma di legge e, lo stesso protocollo di intesa citato nella sentenza, non pone alcuna sanzione per l’omesso successivo deposito cartaceo a carico dell’avvocato che deposita telematicamente un proprio scritto difensivo. Invece i magistrati milanesi richiamano l’articolo 96 c.p.c, - e nella specie, il terzo comma, applicabile d’ufficio, ma sempre relativamente alle ipotesi che ricadono nel primo e secondo comma - , che qui si riporta affinché non possa sfuggire al lettore l’assoluta inconferenza del dettato normativo con la fattispecie in esame «Se risulta che la parte soccombente ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave, il giudice, su istanza dell’altra parte, la condanna, oltre che alle spese, al risarcimento dei danni, che liquida, anche d’ufficio, nella sentenza. Il giudice che accerta l’inesistenza del diritto per cui è stato eseguito un provvedimento cautelare, o trascritta domanda giudiziale o iscritta ipoteca giudiziale, oppure iniziata o compiuta l’esecuzione forzata, su istanza della parte danneggiata condanna al risarcimento dei danni l’attore o il creditore procedente, che ha agito senza la normale prudenza. La liquidazione dei danni è fatta a norma del comma precedente. In ogni caso, quando pronuncia sulle spese ai sensi dell’articolo 91, il giudice, anche d’ufficio, può altresì condannare la parte soccombente al pagamento, a favore della controparte, di una somma equitativamente determinata». Non si vede infatti come si possa anche solo lontanamente pensare di scomodare l’articolo 96 c.p.c., norma di legge a mio avviso fondamentale per evitare un abuso del processo civile soprattutto a tutela della parte che subisce l’onere del processo, per tutelare un esclusivo interesse del giudicante che, peraltro è obbligato da una norma di legge a prendere visione degli atti processuali depositati dagli avvocati mediante strumenti telematici. Mi si potrà obbiettare che, l’obbligo del processo civile telematico sussiste esclusivamente per gli avvocati e i consulenti tecnici d’ufficio, ma non per i magistrati che, al momento in cui si scrive, sono ancora esonerati dall’obbligo di redigere i propri provvedimenti in forma telematica attraverso l’utilizzo di quello strumento denominato “consolle del magistrato”. Tuttavia, non si può non riscontrare nelle norme di legge, che impongono all’avvocato il deposito telematico dell’atto, - nella specie l’articolo 16 bis, d.l. numero 179/2012 -, che l’obbligo di deposito telematico degli atti processuali e dei documenti da parte dei difensori delle parti precedentemente costituite ha luogo esclusivamente con modalità telematiche, e che il deposito si ha per avvenuto al momento in cui viene generata la ricevuta di avvenuta consegna da parte del gestore di posta elettronica certificata del Ministero della Giustizia. E ancora! L’articolo 44, d.l. numero 90/2014 dispone che per i procedimenti iniziati prima del 30 giugno 2014, le predette disposizioni obbligo di deposito telematico si applicano a decorrere dal 31 dicembre 2014 disponendosi altresì che fino a quest'ultima data, nei casi previsti dai commi 1, 2 e 3 dell'articolo 16-bis, d.l. numero 179/2012, convertito, con modificazioni, dalla legge numero 221/2012, gli atti processuali ed i documenti possono essere depositati con modalità telematiche e in tal caso il deposito si perfeziona esclusivamente con tali modalità. L’avverbio “esclusivamente” esclude la necessità di un ulteriore deposito cartaceo. E’ evidente dunque che, l’utilizzo dell’avverbio esclusivamente da parte del nostro legislatore, è sufficiente di per sé ad escludere la necessità di un ulteriore deposito cartaceo, che è evidentemente rimesso alla “cortesia” del difensore per agevolare il magistrato “poco telematico” all’esame dei propri scritti difensivi. Pertanto, la domanda a cui dovrebbe fornirsi risposta è come si possa riscontrare la “mala fede” richiesta per l’applicazione dell’articolo 96 c.p.c. nell’ipotesi in cui l’avvocato non sia “cortese” nei confronti del giudice. Un interrogativo quest’ultimo che non può certo trovare risposta invocando un “protocollo di intesa , tra Tribunale e Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Milano ove si prevede il “deposito di cortesia . Quale può essere infatti l’efficacia giuridica di un protocollo? Occorre purtroppo porsi anche questa domanda allorquando, una normativa confusa e frammentata come quella sul Processo Civile Telematico viene interpretata in maniera diversa da tribunale a tribunale e spesso addirittura contraddetta e disapplicata dai numerosi protocolli. Il protocollo del processo civile telematico di un tribunale, dunque, non sarebbe più solo uno strumento per fornire una guida all’avvocato, magistrato o cancelliere in caso di difficoltà, ma rischia di diventare una fonte di diritto autonoma idonea a giustificare pronunce assolutamente censurabili come lo è quella in commento pronunce degne di cancellare e porre nel dubbio capisaldi come quello imparato il primo giorno di università e riportato nell’articolo 1 delle preleggi, secondo cui gli usi come può definirsi un protocollo si posizionano nel gradino più basso delle fonti del diritto. A ciò si aggiunga che, il protocollo del Tribunale di Milano, contiene delle modalità assolutamente vaghe di deposito della “copia di cortesia”, non prevedendo altresì alcuna “certificazione” della procedura di deposito, che avviene in maniera assolutamente informale e non documentata da timbri. Il punto A-3 del predetto protocollo prevede infatti che «i difensori consegnino in cancelleria, entro i 2 giorni successivi la scadenza dell’ultimo termine di cui agli articolo 183, comma 6, e 190 c.p.c. copia cartacea di dette memorie ad uso esclusivo del giudice, raccolte in unico plico, avendo cura di inserire sempre negli atti il numero di ruolo del procedimento e la parte rappresentata». Infine sulle modalità del predetto deposito viene previsto «un mero inserimento su un tavolo/scaffale all’uopo predisposto dalla cancelleria, in sezione distinta per ogni giudice, senza attendere l’intervento dell’operatore». Una procedura dunque priva di ogni attestazione da parte del cancelliere e come si legge al successivo punto 6, rimessa alla diligenza delle parti e dell’ufficio che dovrà evidentemente avere cura di smistare le predette copie tra i magistrati, con una tempistica che, si legge nel protocollo, verrà stabilita di concerto con i giudici della sezione. Dalla lettura di queste parole, emerge come la condanna sancita dai giudici meneghini assuma sempre più i caratteri dell’illogicità e dell’assurdità con la ciliegina sulla torta di aver applicato una norma, come l’articolo 96 c.p.c., posta a protezione del cittadino dalle temerarie richieste di giustizia e non a tutela di un magistrato che si rifiuti di utilizzare uno strumento informatico o di stampare su carta gli atti depositati telematicamente dall’avvocato. Non si può dunque non censurare la condanna inflitta dal Tribunale di Milano – seppur indirettamente - all’avvocato che, - probabilmente neanche con colpa o dolo - , non è riuscito a recapitare sul tavolo dei giudicanti una copia della propria comparsa conclusionale fatta di inchiostro e carta piuttosto che di bit ed elettroni. E’ evidente poi che non si possa ribaltare sugli avvocati e, soprattutto sui loro clienti, una nuova figura giurisprudenziale di danno punitivo da mancato deposito di copia di cortesia, atteso che non possono certo essere gli utenti del servizio giustizia a pagare le conseguenze della mancata evoluzione tecnologica o della penuria di toner e carta negli uffici giudiziari italiani. Ci si deve chiedere invece come mai dal lato del Ministero della Giustizia, non sia portata avanti una adeguata formazione dei magistrati sulla consolle a loro dedicata o non si sia investito per implementare quell’ufficio per il processo previsto dall’articolo 50, d.l. numero 90/2014, un ufficio che, se istituito dovrebbe coadiuvare il magistrato poco telematico nell’utilizzo dello strumento informatico. Ci si deve chiedere come mai, invece di siglare protocolli di intesa contenenti modalità di deposito innovative e avulse da qualsiasi codice o legge, non si è pensato ad istituire nei tribunali dei veri e propri centri di stampa dove i magistrati o i funzionari che lo desiderano possano stampare copie di cortesia cartacee senza obbligare l’avvocato a recarsi in cancelleria per depositare quella carta che con tanta fatica si sta cercando di eliminare. La propaganda governativa dinanzi alla costante sollecitazione ad attuare riforme sostanziali della Giustizia non fa che vantarsi della introduzione del processo telematico adducendone la riduzione della presenza fisica degli avvocati nelle cancellerie, di contro poi si imporrebbe il deposito di cortesia che annullerebbe detti vantaggi, ancor più per i difensori che – legittimamente fruendo delle norme vigenti – siano domiciliati solo “telematicamente”. Condanna di 5mila euro. Ed ancora, se proprio si debba tirare in ballo la “cortesia”, ugualmente sarebbe stato cortese avvertire il difensore della omissione, invitandolo al deposito cartaceo! Tra le tante soluzioni invece, una giurisprudenza tanto innovativa quanto deflattiva, sembra avviarsi lentamente verso la strada più accidentata e impopolare, costringendo un malcapitato collega a dover spiegare al proprio cliente che una “scortesia” può portare ad una condanna di 5mila euro. Una condanna che, per quanto ingiusta e impopolare, potrà essere riformata, se va bene, solo da una Corte di Appello o dalla Cassazione, nella speranza che i giudicanti si riconoscano nella illustre citazione che continuo ad utilizzare spesso come ultima slide nei miei convegni ed in cui nonostante tutto continuo a credere « . il flusso degli elettroni è il nuovo inchiostro di cui è possibile servirsi le memorie elettriche o elettroniche quali che siano i supporti dai quali sono costituiti interruttori aperti o chiusi, transistors, chips, circuiti integrati, nastri magnetici eco . sono la nuova carta i bit nella combinazione necessaria per rappresentare ogni carattere alfanumerico sono il nuovo alfabeto» G. VERDE, Per la chiarezza di idee in tema di documentazione informatica .

Tribunale di Milano, sez. II Civile, decreto 20 novembre 2014 – 15 gennaio 2015, numero 534 Presidente Bruno – Relatore D’Aquino Premesso in fatto L'opponente ha premesso di avere depositato domanda di ammissione al passivo in chirografaria per il proprio credito di Euro 3.528.304,16, deducendo che la domanda è respinta con decreto del G.D. in data 13.12.2013 sul presupposto che le fatture prodotte a supporto della domanda di insinuazione al passivo non costituissero prova dell'asserito credito. Nello specifico, l'opponente deduce di avere emesso le fatture di cui sopra doc , recanti la descrizione “canoni di affitto futuri comp. A,B,C,D del contratto 5.04.2007”, in relazione alla scrittura privata stipulata in data 5.04.2007 con la società opposta, seguita a pedissequo contratto di locazione di fabbricato, con cui le parti avevano regolato i propri rapporti nei seguenti termini a fronte della costruzione di un opificio industriale da parte della , si sarebbe impegnata a sottoscrivere un immediato contratto di affitto di anni 6+6, pagandone anticipatamente i canoni di locazione in vista della futura locazione della cosa, in tal modo contribuendo finanziariamente al progetto. E' proprio sulla base di detta scrittura privata che sarebbero state emesse le fatture prodotte in atti e poste alla base dell’insinuazione al passivo respinta. Deduce, inoltre, che il credito in oggetto, essendo supportato dalla documentazione fiscale in atti e risultante la contabilità della fallita, sarebbe dunque stato dalla stessa accettato e riconosciuto aggiungendo. che il Curatore, nella sua qualità di terzo, non avrebbe dedotto alcun fatto estintivo del diritto fatto valere. Deduce, inoltre, l'opponente di avere effettivamente svolto le prestazioni di cui chi e l'ammissione, precisando che l'operazione negoziale posta in essere pagamento di canoni· anticipati in vista della futura locazione della cosa, non appena terminata la costruzione rispondeva a delle specifiche esigenze delle parti ed in particolare della , che aveva richiesto dei particolari accorgimenti di carattere tecnico nella costruzione dell’intero complesso. Conclude insistendo, pertanto, nell'originaria domanda respinta dal G.D Il Curatore del Fallimento si è costituito, allegando come in sede di insinuazione al assivo davanti al G.D. fossero state prodotte unicamente le fatture poste a fondamento del credito, non idonee tuttavia a comprovare né l'esistenza né il titolo della pretesa, trattandosi documenti di formazione unilaterale. Deduce, in ogni caso, il Fallimento la tardività l'inopponibilità, ai sensi e per gli effetti di cui all'art 2704 c.c., della documentazione prodotta in sede di opposizione in quanto priva di data con particolare riguardo alla scrittura privata del 05.04.2007 stipulata dall'opponente con la società il che comporterebbe che correttamente il credito e stato escluso in quanto non vi è la prova che il rapporto contrattuale sia sorto precedentemente alla dichiarazione di fallimento della società opposta. Infine, quanto all'operazione negoziate posta in essere, il fallimento opposto ha rilevato in ogni caso lo squilibrio del rapporto sinallagmatico, a fronte della disomogeneità delle prestazioni tra le parti, in particolare a carico della spiegare che non corrispettività tra mancato godimento e pagamento del canone . Considerato in diritto L'opposizione è infondata e, pertanto, deve essere integralmente rigettata. 1.1- Preliminarmente, occorre dare atto del fatto che l'opponente sviluppa per la prima volta nella memoria conclusiva alcuni argomenti, a suo dire decisivi in relazione alla preliminare difesa del fallimento opposto, che contesta la carenza di data certa. Nonostante l'inammissibilità di tali deduzioni in quanto tardivamente articolate , le stesse vengono qui trattate perché su di esse parte opposta ha accettato il contraddittorio. La difesa dell'opponente non contesta di avere prodotto la documentazione a supporto del proprio credito per la prima volta in sede di opposizione e non anche in sede di formazione dello stato passivo davanti al G.D. . Tuttavia l'opponente considera “paradossale” tale difesa del fallimento mancanza di data certa della documentazione prodotta a supporto dell'esistenza del credito , adducendo che il Fallimento stesso, pur insistendo nella propria eccezione, ha preso in esame i documenti di cui si discute, svolgendo le proprie difese. 1.2 - Ciò premesso, si rileva come la documentazione prodotta dall'opponente sostegno della sussistenza del proprio credito nei confronti della società fallita fa scrittura privata doccomma 1, 2 fascomma opponente è priva con tutta evidenza di data certa. Sul punto, l'opponente deduce che la data certa sul contratto di locazione si rinverrebbe dalla menzione di essa fatta sulle fatture prodotte in particolare, deduce che “essendo queste fatture registrate nei registri IVA vendite di docomma 4 della ricorrente privo di contestazione ex adverso , la certezza della data proviene, appunto dalla registrazione sul registro IVA di tali fatture”. Ma detta circostanza non può, ad avviso del Collegio, far ritenere sussistente la data certa del documento contrattuale, in quanto è noto che l'obbligo di annotare le fatture emesse con riferimento alla data di emissione assuma rilevanza ai fini della liquidazione periodica dell'IVA, ma non può comportare la certezza della data di un documento negoziate precedente l'emissione delle fatture. Né può sostenersi che il credito dell'opponente sussista per facta concludentia per il fatto che lo stesso sia stato menzionato nelle fatture e, quindi, accettato dalla società fallita. L'argomento costituisce una evidente petizione di principio, posto che non si può portare a prova dell'apponibilità di un credito portato da titoli sprovvisti di data certa in forza di quegli stessi titoli che ne sono privi né può ritenersi producente per il creditore quanto da lui dichiarato in sede di descrizione delle fatture da lui redatte. Infatti, nei confronti del creditore che propone istanza di ammissione al passivo fallimento per un suo preteso credito, il Curatore, quale portatore degli interessi della massa dei creditori, è terzo e non parte. Da questa circostanza discende l'applicabilità dei limiti probatori indicati nell'articolo 2704 c.comma in tema di certezza e computabilità della data riguardo terzi senza prova della formazione del documento in epoca precedente della sentenza dichiarativa di fallimento, il creditore non può opporre alla massa dei creditori gli effetti negoziali propri della convenzione in essa contenuta Cass. numero 2l25li2010 . L'infondatezza delle argomentazioni in punto apponibilità della documentazione prodotta in sede di opposizione comporta l'assorbimento dell'esame delle ulteriori questioni. L'opposizione va, pertanto, rigettata. 2 - Le spese processuali seguono la soccombenza e si liquidano come da dispositivo. Va osservato come parte opponente abbia depositato la memoria conclusiva autorizzata solo in forma telematica, senza la predisposizione delle copie “cortesia” di cui al Protocollo d'Intesa tra il Tribunale di Milano e l'Ordine degli Avvocati di Milano del 26.06. 014, rendendo più gravoso per il Collegio esaminarne le difese. Tale circostanza comporta l’applicazione dell’articolo 96, comma 3, c.p.comma come da dispositivo. P.Q.M. Il Tribunale, definitivamente pronunciando sull'opposizione allo stato passivo promossa da nei confronti di avverso il decreto del G.D., in data 13.12.2013, così provvede 1 - rigetta l'opposizione 2 - condanna al pagamento in favore di , al pagamento delle spese processuali, che liquida in complessivi euro 12.000,00 per competenze. oltre IVA e C.o.a. come per legge ed oltre al 15% rimborso spese generali condanna al pagamento in favore di FALLIMENTO ex articolo 96, comma 3, c.pcomma dell'importo ulteriore di euro 5.000,00.