L’indennità omnicomprensiva di cui all’art 32, comma 5, legge numero 183/2010 ha lo scopo di risarcire in toto il lavoratore per la perdita della retribuzione maturata nel periodo compreso tra la scadenza del termine e la sentenza di merito, ma non inerisce l’anzianità di servizio maturata dal lavoratore.
Così ha deciso la Corte di Cassazione con la sentenza numero 758/2015, depositata il 19 gennaio 2015. La tutela contro l’illegittima apposizione del termine. Negli ultimi anni si è assistito a continue riforme del diritto del lavoro. In ognuna di esse sono state inserite alcune norme tese a limitare la stipulazione dei contratti di lavoro a tempo determinato, in favore della forma regina dell’ordinamento il contratto a tempo indeterminato. Il Collegato Lavoro e la Legge Fornero hanno lasciato immutata la principale forma di tutela contro l’illegittima apposizione del termine la sentenza che accerta l’illegittimità del termine converte il contratto a tempo determinato in contratto a tempo indeterminato e dispone la riammissione in servizio del lavoratore. Da questo momento, quindi, il lavoratore ha diritto a percepire le retribuzioni maturate, sia che il datore di lavoro lo riammetta effettivamente in servizio, sia che ciò non accada. Diversamente, con riferimento al periodo che precede la sentenza di merito, il quadro è parzialmente mutato. Nel regime previgente al Collegato Lavoro non esisteva una norma che regolasse tale profilo e la giurisprudenza oscillava tra due orientamenti da un lato, si riteneva che al lavoratore spettassero tutte le retribuzioni pregresse alla riammissione in servizio dall’altro, invece, si stabiliva che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se si fosse messo effettivamente a disposizione del datore di lavoro e, comunque, a partire da tale momento. In ogni caso, entrambi gli orientamenti consideravano il diritto alla retribuzione per gli intervalli di tempo “non lavorati” tra un contratto a termine e un altro. La ragione di questa limitazione risiede nel sinallagma “lavoro e retribuzione” non può esservi retribuzione in assenza di prestazione. I periodi non lavorati vanno risarciti. Il quadro normativo è cambiato con il Collegato Lavoro L. 183/2010 , ma solo per quanto riguarda i periodi non lavorati. L’articolo 32, comma 5, dispone che, nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il Giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del danno attraverso un’indennità omnicomprensiva nella misura compresa tra 2,5 e 12 mensilità globali di fatto. La Riforma Fornero L. numero 92/2012, articolo 1, comma 13 ha precisato che la predetta norma si interpreta nel senso che l’indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo intercorrente tra la scadenza del termine e la conversione del rapporto. Da tale norma si desume che l’indennità concerne il danno subito per la perdita del lavoro, pertanto, se essa serve a risarcire le conseguenze del danno da mancato lavoro, è evidente che il Legislatore consideri solo i periodi di “non lavoro” ai fini di tale risarcimento. Nella sentenza in commento, la questione sottoposta all’attenzione della Suprema Corte, deriva dal fatto che un datore di lavoro avesse stipulato una serie di contratti a termine. Era quindi necessario capire se il risarcimento del danno dovesse riguardare solo il primo periodo non lavorato oppure anche i successivi. La Corte di Cassazione ribadisce che il risarcimento riguarda tutti i periodi di “non lavoro”, poiché per tutti questi periodi vi è un pregiudizio da ristorare attraverso l’indennità omnicomprensiva. Retribuzione come risarcimento, ma niente scatti di anzianità. L’espressione “omnicomprensiva” adoperata con riferimento all’indennità si riferisce soltanto ai periodi “non lavorati” e copre, quindi, il danno derivante dall’allontanamento illegittimo dal lavoro, sia esso retributivo che contributivo. Essa, tuttavia, non è tesa a ristorare anche la carriera del lavoratore, il quale avrà, sì, diritto alle retribuzioni mancanti, come se il rapporto di lavoro fosse stato unico e continuato, ma non ai relativi scatti di anzianità di servizio. Il lavoro intermittentecosì come l’anzianità di servizio. In conclusione, se prima del Collegato Lavoro, il lavoratore aveva diritto a essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle proprie energie lavorative, pur non avendo lavorato, oggi, è prevista solo l’indennità compresa nella forbice 2,5 – 12 mensilità, che risarcisce il lavoratore dal punto di vista retributivo e contributivo. Resta escluso da tale risarcimento l’adeguamento dell’anzianità di servizio. Il lavoratore avrà percepito tutte le retribuzioni, ma non tutti gli scatti di anzianità. Al contrario, per il periodo o i periodi di lavoro, il lavoratore ha diritto ad essere retribuito, ha diritto che tale o tali periodi siano computati a i fini dell’anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità.
Corte di Cassazione, sez. VI Civile – L, sentenza 19 novembre 2014 – 19 gennaio 2015, numero 758 Presidente Curzio – Relatore Mancino Svolgimento del processo Il Tribunale di Tempio, in parziale accoglimento della domanda proposta dall'attuale parte intimata nei confronti di Meridiana S.p.A. e di Meridiana Fly S.p.A. cui medio tempore era stato ceduto il ramo di azienda comprendente tutte le attività connesse al volo , accertava la nullità del termine apposto ai contratti stipulati dalla ricorrente con Meridiana dal 2004 al 2009 e dichiarava la sussistenza tra le parti di un rapporto a tempo indeterminato sin dal primo contratto condannando dette società al pagamento di sei mensilità globali di fatto. Escludeva la sussistenza del diritto alle retribuzioni per i periodi non lavorati e non si pronunciava sulla domanda diretta ad ottenere la ricostruzione della carriera ed il pagamento delle conseguenti differenze retributive connesse all'anzianità man mano maturata durante i vari rapporti a termine, dunque in costanza di questi. Avverso tale decisione proponeva appello la lavoratrice la Corte di appello di Cagliari - sez. distaccata di Sassari -, per quello che in questa sede ancora rileva, accoglieva, in parte, il gravame della lavoratrice e riconosceva il suo diritto al conseguimento di qualunque effetto in termini di maggiorazioni contrattuali derivante dall'anzianità lavorativa per tutti i periodi dei contratti a termine effettivamente lavorati, ma non anche di quelli non lavorati nei quali il rapporto era stato consensualmente quiescente . Seguiva la condanna delle società alla corresponsione delle relative maggiorazioni, con interessi e rivalutazione. Per la cassazione di tale decisione propongono ricorso Meridiana Fly S.p.A. e Meridiana S.p.A. affidato ad un motivo poi ulteriormente illustrato con memoria ex articolo 380 cod. proc. civ La lavoratrice resiste con controricorso egualmente illustrato da memoria. Le società ricorrenti hanno depositato note di udienza. Motivi della decisione 1. Il Collegio rileva preliminarmente che non è di ostacolo alla trattazione del ricorso la mancata presenza, alla odierna udienza, del rappresentante della Procura generale presso questa Corte. Invero, l'articolo 70, comma 2, cod. proc. civ., quale risultante dalle modifiche introdotte dall'articolo 75 decreto-legge 21 giugno 2013, numero 69, convertito, con modificazioni, nella legge 9 agosto 2013, numero 98, prevede che il pubblico ministero deve intervenire nelle cause davanti alla Corte di cassazione nei casi stabiliti dalla legge . A sua volta, l'articolo 76 r.d. 10 gennaio 1941, numero 12, come sostituito dall'articolo 81 del citato decreto legge numero 69, al primo comma dispone che il pubblico ministero presso la Corte di cassazione interviene e conclude a in tutte le udienze penali b in tutte le udienze dinanzi alle Sezioni unite civili e nelle udienze pubbliche dinanzi alle sezioni semplici della Corte di cassazione, ad eccezione di quelle che si svolgono dinanzi alla sezione di cui all'articolo 376, primo comma, primo periodo, del codice di procedura civile . L'articolo 376, primo comma, cod. proc. civ. stabilisce che Il primo presidente, tranne quando ricorrono le condizioni previste dall'articolo 374, assegna i ricorsi ad apposita sezione che verifica se sussistono i presupposti per la pronunzia in camera di consiglio . Infine, l'articolo 75 del già citato decreto legge numero 69 del 2013, quale risultante dalla legge di conversione numero 98 del 2013, dopo aver disposto, al primo comma, la sostituzione dell'articolo 70, secondo comma, del codice di rito, e la modificazione degli articolo 380 bis, secondo comma, e 390, primo comma, del medesimo codice, per adeguare la disciplina del rito camerale alla disposta esclusione della partecipazione del pubblico ministero alle udienze che si tengono dinanzi alla sezione di cui all'articolo 376, primo comma, al secondo comma ha stabilito che Le disposizioni di cui al presente articolo si applicano ai giudizi dinanzi alla Corte di cassazione nei quali il decreto di fissazione dell'udienza o dell'adunanza in camera di consiglio sia adottato a partire dal giorno successivo alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto , e cioè a far data dal 22 agosto 2013. Il Collegio, a tal fine, rileva che l'esplicito riferimento contenuto, sia nell'articolo 76, comma primo, lett. b , del r.d. numero 12 del 1941 come modificato dall'articolo 81 del decreto legge numero 69 del 2013 , sia nell'articolo 75, comma 2, citato, alle udienze che si tengano presso la Sesta sezione e cioè quella di cui all'articolo 376, primo comma, cod. proc. civ. , consenta di ritenere, non solo che la detta sezione è abilitata a tenere, oltre alle adunanze camerali, anche udienze pubbliche, ma anche che alle udienze che si tengono presso la stessa sezione non è più obbligatoria la partecipazione del pubblico ministero. Rimane impregiudicata, ovviamente, la facoltà dell'ufficio del pubblico ministero di intervenire ai sensi dell'articolo 70, terzo comma, cod. proc. civ., e cioè ove ravvisi un pubblico interesse ctr. in tal senso Cass. 17 marzo 2014, numero 6152 Cass. 20 gennaio 2014, numero 1089 Cass. 8 aprile 2014, numero 8243 . Nel caso di specie, il decreto di fissazione dell'udienza odierna è stato emesso in data successiva al 22 agosto 2013, sicché deve concludersi che l'udienza pubblica ben può essere tenuta senza la partecipazione del rappresentante della Procura generale presso questa Corte, non avendo il detto ufficio, al quale pure copia integrale del ruolo di udienza è stata trasmessa, ravvisato un interesse pubblico che giustificasse la propria partecipazione ai sensi dell'articolo 70, terzo comma, cod. proc. civ È del tutto evidente che laddove il pubblico ministero non partecipi, come nel caso di specie, all'udienza pubblica, non vi è alcuno spazio per le note di udienza che, a norma dell'articolo 379 cod. proc. civ., in sede di discussione davanti alla Corte di cassazione sono consentite alle parti solo per replicare alle conclusioni assunte dal P.M. in udienza. Tali note, dunque, vanno considerate irricevibili. 2. Con l'unico motivo si deduce violazione e/o falsa applicazione dell’articolo 32, comma 5, della l. numero 183/2010, così come chiarito ed interpretato dall’articolo 1, comma 13, della l. numero 92/2012, in relazione all'articolo 360, numero 3, cod. proc. civ., rilevando che l'indennità de qua va integralmente a sostituirsi ad ogni conseguenza economica connessa e derivante dalla dichiarazione di nullità del termine apposto al contratto di lavoro e che pertanto la stessa assorbe, ricomprendendola, qualsiasi differenza retributiva e contributiva connessa al riconoscimento dell'esistenza del rapporto a tempo indeterminato, ivi compreso ogni incremento legato all'anzianità e/o alla progressione di carriera, nonché ogni compenso successivo al termine del rapporto ovvero alla messa in mora del datore. Chiede la riforma della sentenza nella parte in cui ha dichiarato che la somma dei periodi di servizio dall'inizio del primo contratto deve essere computata ai fini dell'anzianità di servizio e dei relativi trattamenti economici. 3. Il motivo è infondato. L'articolo 32 della legge numero 183 del 2010 ha modificato il regime della tutela del lavoratore assunto con un contratto a termine illegittimo. Il precedente assetto era così organizzato nel caso in cui si accertasse l'illegittimità del termine, il giudice doveva ordinare la riammissione in servizio del lavoratore, con conseguente diritto a percepire le retribuzioni anche qualora il datore di lavoro non consentisse la ripresa del lavoro. Questa prima fondamentale conseguenza è rimasta immutata. Anche dopo la legge numero 183 del 2010 e la legge di interpretazione autentica, la sentenza che accerta l'illegittimità del termine converte il contratto a termine in contratto a tempo indeterminato e dispone la riammissione del lavoratore in servizio. Da quel momento il lavoratore avrà diritto a percepire le retribuzioni tanto se il datore di lavoro adempie, quanto se non adempie in questo secondo caso a titolo di risarcimento del danno commisurato al pregiudizio economico derivante dal rifiuto di riassunzione cfr. Cass. 11 aprile 2013, numero 8851 ma v. anche Corte cost. 30 luglio 2014, numero 226 . Con riferimento, invece, al periodo che precede la sentenza, il quadro è parzialmente cambiato. Nel regime previgente mancava una norma che regolasse specificamente questo profilo e la regolamentazione venne delineata in base ai principi generali del diritto civile e del lavoro. Fondamentale fu la sentenza delle Sezioni unite 5 marzo 1991, numero 2334, che risolse il contrasto tra due orientamenti quello che riteneva che al lavoratore spettassero tutte le retribuzioni pregresse e quello che invece riteneva che il lavoratore avesse diritto alle retribuzioni pregresse solo se e a decorrere dal momento in cui avesse messo a disposizione del datore di lavoro le sue energie lavorative. È bene ricordare che la diversità dei due orientamenti concerneva il diritto alla retribuzione per gli intervalli non lavorali tra un contratto a termine e l'altro, in caso di sequenza di contratti a termine, mentre nessuna delle sentenze in conflitto negava che spettasse la retribuzione per i periodi di lavoro effettuati nella sequenza di contratti a termine. Le Sezioni unite ritennero che il problema concernente i periodi non lavorati , non trovasse soluzione in una norma specifica, come invece avveniva nella materia affine ma non identica dei licenziamenti illegittimi con l'articolo 18 St lav., e dovesse quindi essere risolto in base ai principi generali dell'ordinamento. Affermarono che il principio regolatore della materia, data la natura sinallagmatica del rapporto di lavoro, fosse quello della corrispettività tra lavoro e retribuzione e che non potesse esservi retribuzione in assenza della prestazione lavorativa. Per questa ragione ritennero non fondato l'orientamento che riconosceva tutte le retribuzioni pregresse per i periodi non lavorati, ed invece fondato quello che le riconosceva, ma solo a condizione ed a far tempo da un eventuale atto di messa a disposizione delle energie lavorative da parte del lavoratore. Queste conclusioni hanno guidato la giurisprudenza dei decenni successivi. Le Sezioni unite si espressero anche sui periodi lavorati e precisarono che l’unificazione del rapporto di lavoro comporta, a prescindere dalle eventuali spettanze, nei limiti anzidetti, per gli intervalli non lavorati, un ricalcolo delle spettanze per i periodi lavorati una volta considerati inseriti nell'unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, con conseguente applicazione degli istituti propri di questo quali, ad esempio, gli aumenti di anzianità, la misura del periodo di comporto, la misura del periodo di preavviso, e determina comunque sicuri vantaggi per il lavoratore quali l'acquisizione della corrispondente anzianità, quanto meno per sommatoria dei periodi lavorati . Il quadro regolativo è cambiato con la legge numero 183 del 2010, ma come si vedrà, il cambiamento riguarda solo i periodi non lavorati. L'articolo 32, quinto comma, così si esprime nei casi di conversione del contratto a tempo indeterminato, il giudice condanna il datore di lavoro al risarcimento del lavoratore, stabilendo un'indennità onnicomprensiva nella misura compresa tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell'ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell'articolo 8 della legge 15 luglio 1966, numero 604 . L'articolo 1, comma 13, della legge numero 92 del 2012, ha sancito che detta norma si interpreta nel senso che l'indennità ivi prevista ristora per intero il pregiudizio subito dal lavoratore, comprese le conseguenze retributive e contributive relative al periodo compreso tra la scadenza del termine e la pronuncia del provvedimento con il quale il giudice abbia ordinato la ricostruzione del rapporto di lavoro . Dalla norma si desume che l'indennità è volta al risarcimento del lavoratore. Quindi concerne un danno subito dal lavoratore e cioè il danno derivante dalla perdita del lavoro dovuta ad un contratto a termine illegittimo, un danno da mancato lavoro. La norma di interpretazione autentica afferma che l'indennità ristora un pregiudizio ribadendo, ancor più esplicitamente, che è correlata ad un danno, un pregiudizio, derivante dalla perdita del lavoro e che essa onnicomprensiva perché ristora per intero le conseguenze retributive e contributive di quel danno da mancato lavoro. Quindi tutti i danni sul piano retributivo e contributivo che sono conseguenza, cioè sono legati da un nesso di causalità con la perdita del lavoro. Se l'indennità serve a risarcire le conseguenze retributive e contributive del danno da mancato lavoro è evidente che il legislatore considera solo i periodi di non lavoro ai fini di tale risarcimento. Ed infatti esclude dal computo il periodo sino alla scadenza del termine, che è periodo di lavoro, in cui il lavoratore è stato retribuito e quindi non ha subito, né può subire conseguenze negative sul piano retributivo o contributivo. In tale periodo la retribuzione è dovuta e detto periodo si computa ai fini degli effetti riflessi e dell'anzianità di servizio. L'anzianità di servizio maturata in questo periodo lavorato, vale a tutti gli effetti. Rileva persino per la quantificazione della indennità volta a risarcire il danno derivante dalla perdita del lavoro, perché è uno dei criteri indicali dall'articolo 8 della legge 604 del 1966, richiamati dall'articolo 32, quinto comma, della legge numero 183 del 2010. Il problema oggetto della presente controversia deriva dal fatto che il datore di lavoro ha stipulato con il lavoratore non un unico contratto a termine, ma una serie di contratti a termine. Il legislatore non ha espressamente considerato questo caso, ma l'interpretazione logico-sistematica della norma impone di ritenere che, se è estraneo al risarcimento il periodo del primo contratto a termine, lo saranno anche i periodi lavorati in successivi contratti a tempo determinato. Sarebbe assurdo affermare che per questi periodi la retribuzione non spetti e sia assorbita nella indennità, ma è parimenti contrario alla logica della norma ritenere che questi periodi di lavoro è come se non fossero stati effettuati e non rilevino ai fini dell'anzianità di servizio e delle sue implicazioni economiche. Questi periodi non possono non avere lo stesso trattamento giuridico del periodo di lavoro per il primo contratto a termine in quanto, al pari del primo, sono estranei al danno determinato dal non lavoro, quindi estranei alla indennità prevista dal legislatore per risarcire le conseguenze retributive e contributive di quel pregiudizio. Il risarcimento riguarderà solo i periodi di non lavoro . Solo per questi periodi vi è un danno da risarcire e un pregiudizio da ristorare. Pertanto l'indennità prevista dall'articolo 32, risarcisce il danno subito per il mancato lavoro e lo risarcisce in tutte le sue conseguenze retributive e contributive, in tal senso è onnicomprensiva. Mentre non riguarda il periodo in caso di un unico contratto a termine o i periodi di lavoro in caso di più contratti a termine . I diritti relativi a questi periodi non possono essere intaccati e inglobati nell'indennizzo forfetizzato del danno causato dal non lavoro. Per questi periodi non vi è niente da risarcire ed il risarcimento mediante indennizzo non può, in una sorta di eterogenesi dei fini, risolversi nella contrazione di diritti legati da un rapporto di corrispettività con la prestazione lavorativa effettuata. Questa ricostruzione è in continuità con quanto affermato nelle prime sentenze sull'articolo 32, come interpretato dalla legge numero 92 del 2012. In particolare, Cass. numero 15265 del 12 settembre 2012, nell'enucleare il principio di diritto parla di indennità forfetizzata ed onnicomprensiva per i danni causati dalla nullità del termine nel periodo considerato intermedio . Forfetizzazione dei danni determinatisi nel periodo intermedio, significa che l'indennizzo non incide sui diritti maturati in quel periodo nella parte del rapporto che non ha determinato danni non tocca le retribuzioni per i periodi lavorati e gli effetti riflessi di tali retribuzioni, né tocca l'anzianità lavorativa maturata in tale o in tali periodi. La medesima pronuncia afferma legittimamente la sentenza impugnata ha considerato nell'anzianità lavorativa e retributiva tutti i periodi effettivamente lavorati, da sommarsi a quelli successivi alla formale assunzione a tempo indeterminato, in ragione del principio ripetutamente affermato da questa Corte Cass., sez. unumero , 5 marzo 1991, numero 2334 e succ. . L'affermazione è netta ed è esplicito il richiamo alla sentenza delle Sezioni unite che, come si è visto, affermò che nel caso di trasformazione, in unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, di più contratti a termine succedutisi fra le stesse parti, per effetto dell'illegittimità dell'apposizione del termine, gli intervalli non lavorati fra l'uno e l'altro rapporto, in difetto di un obbligo del lavoratore di continuare ad effettuare la propria prestazione o di tenersi disponibile ad effettuarla, non implicano il diritto alla retribuzione . e nemmeno sono computabili come periodi di servizio , mentre i periodi lavorati danno diritto alla retribuzione e sono rilevanti ai fini della maturazione degli scatti di anzianità. Quest'ultimo profilo dell'assetto dato dalle Sezioni unite del '91 alla materia - sottolinea la sentenza del 2012 - va oggi pienamente riaffermato non essendo stato scalfito minimamente dallo ius superveniens costituito dalla legge numero 183 del 2010. Le più recenti Cass. 16 giugno 2014, numero 13630 e Cass. 17 giugno 2014, numero 13732 hanno fissato il seguente principio di diritto L'articolo 32, quinto comma, legge numero 183 del 2010 commisura l'indennità, dovuta nei casi di conversione, all'ultima retribuzione globale di fatto, così riferendosi al danno subito dal lavoratore, ossia alla perdita della retribuzione ed accessori per essere stato allontanato dal proprio posto di lavoro nel periodo compreso tra l'allontanamento e la sentenza di merito. L'espressione onnicomprensiva, adoperata dal legislatore con riferimento all'indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo indeterminato . In questo principio di diritto è detto chiaramente che l'indennizzo onnicomprensivo copre soltanto il danno derivante dall'allontanamento dal lavoro e quindi il danno subito per il non lavoro nel periodo o nei periodi non lavorati . Il che ancora una volta conferma che i diritti per i periodi in cui si è prestato lavoro non vanno ricompresi nell'indennità risarcitoria perché non sono stati danneggiati, sono fuori dal perimetro del danno e quindi del risarcimento. Quanto alle conseguenze giuridiche di tale assetto sull'anzianità, la Corte in queste ultime sentenze aggiunge, e non potrebbe essere più chiara, che L'espressione onnicomprensiva, adoperata dal legislatore con riferimento all'indennità, si riferisce soltanto al danno ora detto, e non a quanto spetta al lavoratore per eventuale ricostruzione della carriera, una volta unificati i diversi rapporti a tempo determinato in un unico rapporto a tempo determinato . In conclusione, nonostante i problemi lessicali derivanti dal fatto che probabilmente il legislatore ha configurato l'indennità avendo presente il caso, statisticamente più frequente, della stipulazione di un unico contratto a termine, deve affermarsi che l'indennità prevista dall'articolo 32 legge numero 183 del 2010 ristora in generale il danno subito dal lavoratore per l'allontanamento dal lavoro, tanto se questo sia stato unico, quanto se sia stato ripetuto. Per tali periodi di non lavoro, mentre prima il lavoratore aveva diritto ad essere comunque retribuito a decorrere dalla messa a disposizione delle energie lavorative pur non avendo lavorato, oggi è prevista solo l'indennità da un minimo di 2,5 ad un massimo di 12 mensilità. Al contrario, per il periodo di lavoro o i periodi di lavoro, in caso di sequenza di contratti il lavoratore ha diritto ad essere retribuito ed ha diritto a che tale periodo o tali periodi siano computati ai fini della anzianità di servizio e, quindi, della maturazione degli scatti di anzianità. Questa interpretazione del quinto comma dell'articolo 321, numero 183 del 2010 è la più coerente sul piano logico sistematico. Si coordina con i tratti del sistema delineato dalle Sezioni unite che, come si è visto e come hanno sottolineato le decisioni del 2012, sotto questo profilo rimangono fermi, ed è in continuità con i primi interventi di questa Corte successivi alla modifica legislativa. È coerente con i principi espressi dall'articolo 5 della legge numero 230 del 1962 e dall'articolo 6 del decreto legislativo numero 368 del 2001, nonché con i principi costituzionali e del diritto dell'Unione Europea in particolare con il principio di non discriminazione tra lavoratori a tempo determinato e lavoratori a tempo indeterminato, anche e specificamente in ordine all'anzianità di servizio, affermato con la Direttiva 1999/70/CE del Consiglio del 28 giugno 1999 relativa all'accordo quadro CES, UNICE e CEEP sul lavoro a tempo determinato. 4. Da tanto consegue che il ricorso deve essere rigettato. 5. Le spese del giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo in base a quanto previsto dal d.m. numero 55 del 10 marzo 2014 articolo 28 , devono essere poste a carico della parte soccombente. P.Q.M. La Corte rigetta il ricorso condanna le società ricorrenti, in solido, al pagamento, in favore della controricorrente, delle spese del presente giudizio di legittimità che liquida in Euro 100,00 per esborsi, nonché in Euro 3.000,00 per compensi professionali, oltre accessori di legge e rimborso forfettario in misura del 15%, con distrazione in favore dei procuratori antistatari.