Lockdown: dichiarare una falsa intenzione nell’autocertificazione non costituisce reato

Il Giudice per le indagini preliminari di Milano ha chiarito che la dichiarazione di una mera intenzione nell'ambito di un modulo di autocertificazione non può rientrare nell'ambito applicativo dell'articolo 493 c.p., in quanto limitato ai soli fatti già occorsi.

Il PM chiedeva l'emissione del decreto penale di condanna nei confronti dell'imputato che, fermato a bordo di un autocarro dai Carabinieri, veniva sottoposto a controllo. A seguito della richiesta di predisporre l'autodichiarazione concernente le ragioni del suo allontanamento dalla propria abitazione, in relazione alle misure per il contenimento della pandemia da COVID-19 di cui d.l. numero 19/2020, l'imputato dichiarava di essersi allontanato da casa per motivi di lavoro. Occupandosi di assistenza caldaie, egli si stava recando presso l’abitazione di un cliente. Tuttavia, gli operanti segnalavano che la direzione dell'autocarro era opposta a quella che sarebbe servita a raggiungere l'abitazione del cliente. Accertata la falsità della dichiarazione rilasciata dell’imputato, ci si è chiesti se questa integri gli estremi del delitto di cui all’articolo 483 c.p., che incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale «fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità». A tal proposti, viene rilevato che la giurisprudenza è pacifica nel ritenere che «siano estranei all'ambito di applicazione dell'articolo 483 c.p. le dichiarazioni che non riguardino fatti di cui può essere attestata la verità hic et nunc ma che si rivelino mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi». Il GIP chiarisce anche che, mentre l'affermazione nel modulo di autocertificazione da parte del privato di una situazione passata può integrare gli estremi del delitto de qua, «la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una certa attività non può essere ricompresa nell'ambito applicativo della norma incriminatrice, non rientrando nel novero dei fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità». Infatti, la dottrina ha già avuto modo di osservare che «il nostro ordinamento non incrimina qualunque dichiarazione falsa resa ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio ma costruisce i reati di falso secondo una sistematica casistica». Ne consegue che «il rilievo della falsa dichiarazione è legato all'individuazione di una specifica norma che dia rilevanza al contesto e alla singola dichiarazione». A fronte di tali argomentazioni, il GIP afferma che «la dichiarazione di una mera intenzione nell'ambito di un modulo di autocertificazione non può rientrare nell'ambito applicativo dell'articolo 493 c.p., limitato ai soli fatti già occorsi». Non solo, conclude il GIP, per le stesse considerazioni la dichiarazione in oggetto «non può assumere rilievo neppure se incorporata - come nel caso di specie - in un'annotazione di P.G.», anzi, in relazione a tale aspetto occorre considerare che «il contenuto della dichiarazione non rientrerebbe tra i fatti cui è destinato a provare la verità neppure qualora concerna un fatto già accaduto, atteso che l'annotazione assumerà rilievo probatorio solo in relazione al fatto storico che tali dichiarazioni sono state rilasciate e non certo alla verità intrinseca delle stesse».

GIP di Milano, sentenza 16 novembre 2020, numero 1940 Giudice Crepaldi Motivi della decisione In data 3.9.2020 il Pubblico Ministero ha chiesto l'emissione di decreto penale di condanna nei confronti dell'odierno imputato in relazione al reato lui ascritto in rubrica. Dall'annotazione dei Carabinieri di omissis 15.4.2020 si evince come l'imputato - in data 31.3.2020 alle ore 13.10 - sia stato fermato a bordo di un autocarro mentre percorreva via omissis nel comune di omissis e sottoposto a controllo. Richiesto di predisporre l'autodichiarazione concernente le ragioni del suo allontanamento dalla propria abitazione, in relazione alle misure per il contenimento della pandemia da COVID-19 di cui al D.L. 25.3.2020 numero 19, l'imputato ha dichiarato di essere titolare della omissis Mi occupo di assistenza caldaie. Mi stavo recando in omissis c/o un mio collega omissis ritirare dei pezzi di ricambio per caldaia. Poi mi sarei recato in omissis per un lavoro. Svolgo la mia attività da solo . Il omissis sentito a SIT dai Carabinieri, ha dichiarato in sintesi che il omissis si sarebbe effettivamente recato presso la sua abitazione per motivi di lavoro ma verso le 11.30 e che questi se ne sarebbe allontanato un ora dopo circa. Ha riferito, ancora, di essere certo che il omissis abbia lasciato la sua abitazione prima delle 13.15, ora nella quale ha pranzato con i figli. Gli operanti hanno, inoltre, segnalato come la direzione dell'autocarro condotto dal omissis sia opposta a quella che sarebbe servita a raggiungere l'abitazione del omissis . Nessun dubbio può porsi, quindi, circa il fatto che l'intenzione dichiarata dal omissis nel modulo di autocertificazione non abbia trovato riscontro nei successivi accertamenti della Polizia giudiziaria. Va, tuttavia, escluso che tale falsità integri gli estremi del delitto di cui all'imputazione. L'articolo 483 c.p., infatti, incrimina esclusivamente il privato che attesti al pubblico ufficiale fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità . Il riferimento ai fatti quale oggetto della dichiarazione del fatto si ripropone i all'articolo 46 D.P.R. 445/2000 il quale consente di comprovare con una semplice dichiarazione del privato in sostituzione delle normali certificazioni i seguenti stati, qualità personali e fatti ii al comma 1 dell'articolo 47, il quale consente al privato di sostituire l'atto di notorietà con una dichiarazione sostitutiva che abbia ad oggetto fatti che siano a conoscenza dell'interessato comma 1 nel comma 2 della disposizione richiamata che si riferisce, quale contenuto alternativo della dichiarazione del privato, agli stati, qualità personali e fatti relativi ad altri soggetti di cui egli abbia diretta conoscenza infine, al terzo comma del citato articolo 47, il quale prevede che nei rapporti con la pubblica amministrazione e con i concessionari di pubblici servizi, tutti gli stati, le qualità personali e i fatti non espressamente indicati nell'articolo 46 sono comprovati dall'interessato mediante la dichiarazione sostitutiva di atto di notorietà . Orbene, è pacifico in giurisprudenza1 che siano estranei all'ambito di applicazione dell'articolo 483 c.p. le dichiarazioni che non riguardino fatti di cui può essere attestata la verità hic et nunc ma che si rivelino mere manifestazioni di volontà, intenzioni o propositi. In questo senso depongono, del resto, i il dato testuale, giacché la nozione di fatto non può che essere riferita a qualcosa che già è accaduto ed è perciò, già in quel preciso istante, suscettibile di un accertamento, a differenza della intenzione, la cui corrispondenza con la realtà è verificabile solo ex post ii il profilo teleologico, giacché la norma è finalizzata ad incriminare la dichiarazione falsa del privato al p.u. in relazione alla sua attitudine probatoria, attitudine che evidentemente non può essere riferita ad un evento non ancora accaduto iii in un'ottica sistematica, la stessa normativa in tema di autocertificazioni, all'interno della quale i fatti sono indicati, quale oggetto di possibile dichiarazione probante del privato, insieme agli stati e alle qualità personali, vale a dire a caratteristiche del soggetto già presenti al momento della dichiarazione. Ne discende che mentre l'affermazione nel modulo di autocertificazione da parte del privato di una situazione passata si pensi alla dichiarazione di essersi recato in ospedale ovvero al supermercato potrà integrare gli estremi del delitto de qua, la semplice attestazione della propria intenzione di recarsi in un determinato luogo o di svolgere una certa attività non può essere ricompresa nell'ambito applicativo della norma incriminatrice, non rientrando nel novero dei fatti dei quali l'atto è destinato a provare la verità . Come recentemente osservato da autorevole dottrina, il nostro ordinamento non incrimina qualunque dichiarazione falsa resa ad un pubblico ufficiale o ad un incaricato di un pubblico servizio ma costruisce i reati di falso secondo una sistematica casistica. Ne consegue che il rilievo della falsa dichiarazione è legato all'individuazione di una specifica norma che dia rilevanza al contesto e alla singola dichiarazione. Per le ragioni appena espresse la dichiarazione di una mera intenzione nell'ambito di un modulo di autocertificazione non può rientrare nell'ambito applicativo dell'articolo 493 c.p., limitato ai soli fatti già occorsi. Per le medesime considerazioni la dichiarazione in parola non può assumere rilievo neppure se incorporata - come nel caso di specie - in un'annotazione di P.G. Anzi, in relazione a tale aspetto occorre considerare - quale ulteriore ragione per escludere la tipicità della condotta - che il contenuto della dichiarazione non rientrerebbe tra i fatti cui è destinato a provare la verità neppure qualora concerna un fatto già accaduto, atteso che l'annotazione assumerà rilievo probatorio solo in relazione al fatto storico che tali dichiarazioni sono state rilasciate e non certo alla verità intrinseca delle stesse. Neppure potrebbe ritenersi integrato l'articolo 495 c.p., risultando l'attestazione compiuta dal estranea al novero delle dichiarazioni espressamente indicate dalla norma, vale a dire l'identità, lo stato o altre qualità della propria o altrui persona. Nel caso di specie, omissis non ha certo attestato un fatto già accaduto nella realtà esteriore ma si è limitato a dichiarare una propria volontà, che si è rivelata ex post priva di riscontro. Ne consegue l'impossibilità, in relazione a quanto si è detto, di ritenere integrati gli estremi del delitto di cui all'articolo 483 c.p. e di ogni altro reato in materia di falso, ferma l'eventuale rilievo quale autonomo illecito amministrativo ex articolo 4 D.L. numero 19/2020. Alla luce delle considerazioni di cui sopra, si impone l'assoluzione dell'imputato ex articolo 129 c.p. perché il fatto non sussiste. P.Q.M. visto l'articolo 129 c.p.p. ASSOLVE Ma. omissis dal reato lui ascritto perché il fatto non sussiste Manda la Cancelleria per la comunicazione alle parti. 1 Così, tra le tante, Cass. penumero , sez. III, 12.10.1982, numero 10, Sevino ha esplicitamente affermato che l'atto deve provare la verità di fatti, attuali ed obiettivi, e non di manifestazioni di volontà esprimenti intendimenti o propositi futuri, poiché anche in quest'ultimo caso non costituisce reato. Il concorso di tali requisiti deve, naturalmente, sussistere anche quando il delitto di falsità ideologica in Atti pubblici sia addebitato al privato, il quale abbia scientemente indotto in errore il pubblico ufficiale, secondo il disposto dell'articolo 48 cod. penumero . fattispecie relativa a falsa dichiarazione di privato al pubblico ufficiale di destinare al diporto un natante ottenendo così la iscrizione nel relativo registro, che non ha la funzione di provare la verità di un fatto, cioè destinazione del natante ad uso diporto, ne' la veridicità della dichiarazione del privato . Ugualmente, Secondo Cass. penumero , sez. V, 3.12.1982, numero 2829, La Fortezza sia nell'ipotesi di falsità ideologica del pubblico ufficiale in atto pubblico sia in quella di false attestazioni in atto pubblico commesse dal privato, la falsa dichiarazione deve riguardare fatti, non già meri intenti o propositi, poiché solo in ordine ai primi e cioè ad accadimenti già compiuti può aversi un contrasto con la realtà. Non è quindi configurabile il delitto di falsità ideologica di cui agli articolo 48 - 479 o 483 cod. penumero nel fatto del privato che, alfine di ottenere l'iscrizione di un proprio natante nell'apposito registro, dichiara una destinazione diversa da quella che effettivamente intende dare alla nave, trattandosi, appunto, non già di falsa attestazione di fatti, bensì di riserva mentale, il cui controllo peraltro è possibile soltanto a posteriori . Ancora, Cass. penumero , sez. V, 15.6.1982, numero 92903, Marasca Il delitto di falsità ideologica commesso da pubblico ufficiale o da privato in atto pubblico, concerne la falsa attestazione di fatti e non anche di semplici giudizi o dichiarazioni di volontà. Pertanto, non è punibile a norma dell'articolo 483 cod. penumero colui che, nel presentare la prescritta dichiarazione in ordine alla destinazione di un natante, sia stato mendace nel manifestare l'intenzione di destinarlo a diporto . Nello stesso senso anche Cass. penumero , sez. III, 2.12.1982, numero 891, Corruso.