Non è reato sublocare un appartamento a immigrati clandestini

La Corte di Cassazione ha ritenuto che il fatto non costituisce reato qualora difetti il presupposto dello sfruttamento della condizione di irregolarità del locatario.

In questo senso si è espressa la Corte di Cassazione con la sentenza numero 50665/16 del 29 novembre. Il caso. La Corte d’appello, quale giudice di rinvio a seguito dell’annullamento della precedente pronuncia, confermava la condanna dell’imputato per il reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini, cui aveva sublocato un appartamento dallo stesso preso in affitto nello svolgimento della sua attività di intermediazione immobiliare. L’imputato ricorre in Cassazione deducendo «violazione del vincolo di rinvio, errata applicazione della legge penale e vizi di motivazione in merito alla sussistenza del dolo specifico di ingiusto profitto richiesto per la sussistenza del reato, la cui prova sarebbe stata ritenuta sulla base di elementi irrilevanti ovvero a seguito di valutazioni prive di base fattuale». Il rinvio non ha raggiunto l’obiettivo richiesto. Ai fini della ricostruzione del contenuto del dolo specifico del reato in contestazione, il provvedimento di annullamento aveva assegnato al giudice di rinvio l’obiettivo di dimostrare il carattere ingiusto del profilo ritratto nel caso di specie dall’imputato dalla locazione dell’immobile a cittadini extracomunitari tal obiettivo non è stato raggiunto. Il canone di sublocazione. Risulta evidente l’apoditticità del giudizio espresso dalla Corte d’appello sulla congruità o meno del canone di locazione applicato, fondato esclusivamente su massime d’esperienza prive di una base fattuale di riferimento. Ingiustificatamente, poi, la Corte territoriale ha svalutato il fatto che i primi 2 contratti di sublocazione vennero stipulati dall’imputato con cittadini extracomunitari regolarmente presenti nel territorio nazionale. Ovvio dunque in tali casi che difetti il presupposto dello sfruttamento della condizione di irregolarità del locatario. Infine, non è possibile riferire l’ingiustizia del profitto al canone di sublocazione nella sua interezza prescindendo dal fatto che, stornate le spese condominiali, per la maggior parte questo era assorbito da quello di locazione dovuto dall’imputato al proprietario dell’appartamento. Né rileva di per sé che gli utilizzatori finali dell’immobile fossero cittadini extracomunitari irregolari formalmente estranei al rapporto di sublocazione. «Delle due l’una o tale modalità di utilizzazione è frutto di autonoma iniziativa del sublocatario non addebitabile all’imputato o il sublocatario è un mero schermo posto dallo stesso imputato al fine di dissimulare il rapporto con gli utilizzatori». Non essendovi alcuna evidenza di tale ultima eventualità, la Corte ha cercato di fondare la responsabilità dell’imputato sull’accettazione del rischio della destinazione ultima dell’appartamento da parte del sublocatario, ricostruendo l’elemento soggettivo in termini di dolo eventuale, incompatibile con quello specifico richiesto per la configurabilità del reato. La sentenza viene cassata senza rinvio perché il fatto non costituisce reato.

Corte di Cassazione, sez. V Penale, sentenza 18 ottobre – 29 novembre 2016, numero 50665 Presidente Zaza – Relatore Pistorelli Ritenuto in fatto 1. Con la sentenza impugnata la Corte d'appello di Milano, quale giudice di rinvio a seguito dell'annullamento della precedente pronunzia emessa nel grado, ha confermato la condanna di S.M. per il reato di favoreggiamento della permanenza nel territorio dello Stato di immigrati clandestini, cui aveva sublocato un appartamento dallo stesso preso in affitto nello svolgimento della sua attività di intermediazione immobiliare. 2. Avverso la sentenza ricorre l'imputato a mezzo dei proprio difensore deducendo violazione del vincolo di rinvio, errata applicazione della legge penale e vizi della motivazione in merito alla sussistenza del dolo specifico di ingiusto profitto richiesto per la sussistenza del reato, la cui prova sarebbe stata ritenuta sulla base di elementi irrilevanti ovvero a seguito di valutazioni prive di base fattuale. Con memoria depositata il 30 settembre 2016 il difensore dell'imputato ha ribadito le doglianze avanzate con il ricorso. Considerato in diritto 1. II ricorso è fondato e deve essere accolto. 2. Ribadendo i principi stabiliti dalla giurisprudenza di legittimità ai fini della ricostruzione dei contenuto del dolo specifico dei reato in contestazione, il provvedimento di annullamento della Prima Sezione aveva assegnato al giudice del rinvio il ben definito obiettivo di dimostrare il carattere ingiusto del profitto ritratto nel caso di specie dall'imputato dalla locazione dell'immobile a cittadini extracomunitari. Obiettivo che la sentenza impugnata non ha raggiunto. 2.1 Come obiettato dal ricorrente, è innanzi tutto evidente I'apoditticità dei giudizio espresso dalla Corte territoriale sulla congruità o meno del canone di locazione applicato. Giudizio che si fonda su massime d'esperienza prive di una seria base fattuale di riferimento, posto che il margine di profitto della sublocazione non appariva così ampio da esimere i giudici del merito dall'ancorare la valutazione in questo senso operata ad un serio accertamento sul valore effettivamente attribuito dal mercato all'affitto dell'appartamento di cui si trattava. 2.2 In secondo luogo deve osservarsi come la Corte territoriale abbia ingiustificatamente svalutato il fatto che i primi due contratti di sublocazione vennero stipulati dal S. con cittadini extracomunitari regolarmente presenti nel territorio nazionale. Anche volendo ritenere effettivamente spropositato il margine di profitto della sublocazione o anche solo il canone nel suo complesso , è infatti ovvio che nelle menzionate occasioni difettasse il presupposto dello sfruttamento della condizione di irregolarità dei locatario. Presupposto che certamente ricorre, invece, nel terzo episodio, dove, però, il profitto mensile ricavato dall'imputato si è ridotto di due terzi rispetto alle operazioni precedenti invece di aumentare come sarebbe stato logico aspettarsi , mettendo seriamente in dubbio la stessa astratta possibilità di prospettare il suo carattere ingiusto. 2.3 Non è poi possibile, come ha invece cercato di fare la sentenza impugnata, riferire l'ingiustizia del profitto al canone di sublocazione nella sua interezza prescindendo dal fatto che, stornate le spese condominiali, per la maggior parte questo era assorbito da quello di locazione dovuto dal S. al proprietario dell'appartamento. Né di per sé rileva che gli utilizzatori finali dell'immobile fossero ulteriori cittadini extracomunitari irregolari formalmente estranei ai rapporto di sublocazione. Delle due l'una o tale modalità di utilizzazione è frutto di autonoma iniziativa dei sublocatario non addebitabile all'imputato o il sublocatario è un mero schermo posto dallo stesso S. al fine di dissimulare il rapporto con gli utilizzatori. In assenza di evidenza alcuna di tale ultima eventualità - di cui per l'appunto non vi è traccia in alcuna delle sentenze di merito e che dunque rimane una mera supposizione - la Corte territoriale, pur riconoscendo implicitamente per vera la prima ipotesi, ha quindi cercato di fondare la responsabilità dell'imputato sostanzialmente sull'accettazione dei rischio della destinazione ultima dell'appartamento da parte dei sublocatario peraltro muovendo dall'indimostrato presupposto dell'effettiva intrinseca sproporzione del canone nel suo complesso considerato , ricostruendo così l'elemento soggettivo sostanzialmente in termini di dolo eventuale, ovviamente incompatibile con quello specifico richiesto per la configurabilità del reato ascritto. 4. La sentenza deve dunque essere annullata, mentre la ricordata assenza di evidenze ulteriori trascurate dai giudici dell'appello, nonché di elementi in grado di far ritenere certamente sproporzionato il canone d'affitto, impongono che l'annullamento debba essere disposto senza rinvio perché il fatto non costituisce reato. P.Q.M. Annulla senza rinvio la sentenza impugnata perché il fatto non costituisce reato.