La NASpI anche per i professionisti

Il decreto legislativo del 4 marzo 2015, n. 22 ha introdotto, tra le altre provvidenze, anche la NASpI.

Con la circolare n. 174 del 23 novembre 2017 l’INPS ha fornito le precisazioni in ordine alla compatibilità dell’indennità di disoccupazione. Al n. 3 di detta circolare ha disciplinato la compatibilità dell’indennità di disoccupazione con i redditi derivanti da attività professionale esercitata dai liberi professionisti iscritti a specifiche Casse. Secondo l’INPS nell’ipotesi di esercizio di attività, in costanza di percezione di NASpI, da parte di professionisti ingegneri, avvocati, infermieri ecc. , non sarebbe possibile in concreto dare attuazione alla disposizione di cui al comma 2 dell’articolo 10 del d.lgs. n. 22/2015 in quanto i predetti professionisti sono iscritti, ai fini dell’assicurazione generale obbligatoria a specifiche casse non gestite dall’INPS, e la relativa contribuzione non può pertanto essere riversata alla Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti. Per le suddette ragioni non sarebbe ammissibile la compatibilità tra l’indennità di disoccupazione NASpI ed il reddito derivante dallo svolgimento di attività professionale che comporta l’iscrizione obbligatoria a specifica cassa con conseguente decadenza dalla prestazione. Tuttavia si consideri che al medesimo libero professionista percettore di NASpI che ne richiedesse il pagamento anticipato in unica soluzione, la prestazione, non sussistendo alcuna contribuzione da riversare alla predetta Gestione prestazioni temporanee ai lavoratori dipendenti, di cui all’articolo 24, legge n. 88/1989, è erogabile. Ciò posto, con la finalità di evitare ingiustificate disparità di trattamento, nell’ipotesi fin qui descritta è ammessa, in applicazione delle previsioni di cui al comma 1 del citato articolo 10, la compatibilità tra la NASpI e il reddito da attività professionale con la riduzione della prestazione nella misura e secondo le modalità legislativamente previste, non procedendo al riversamento della contribuzione disposto dal comma 2 del citato articolo 10. Il limite di reddito entro il quale è da ritenersi consentita l’attività in questione è pari a € 4.800. Il beneficiario della prestazione deve, a pena di decadenza, informare l’INPS entro un mese dall’inizio dell’attività cui si riferiscono i compensi, o dalla presentazione della domanda di NASpI se la suddetta attività era preesistente, dichiarando il reddito annuo che prevede di trarne anche ove sia pari a zero. Il quantum della NASpI. La retribuzione da prendere a riferimento per il calcolo delle indennità di disoccupazione NASpI 2017 è pari ad euro 1.195. Dunque, l’importo massimo mensile di detta indennità, non può in ogni caso superare, per il 2017, euro 1.300. Nel frattempo il 20 dicembre 2017 è stata pubblicata la sentenza della Corte di Giustizia Europea V Sezione nella causa C-442/16. Il caso è molto semplice ed è stato presentato nell’ambito di una controversia tra il Signor Florea Gusa e il Ministero della Protezione Sociale irlandese, relativamente al diniego di corresponsione al Signor Gusa, lavoratore autonomo, dell’indennità per le persone in cerca di occupazione. La Corte di Giustizia ha affermato che interpretare l’articolo 7, paragrafo 3, lettera b della direttiva 2004/38/CE del Parlamento Europeo e del Consiglio del 29.04.2004, come riguardante solo le persone che abbiano esercitato un’attività lavorativa subordinata per oltre un anno, escludendo quelle che abbiano esercitato un’attività lavorativa autonoma per un siffatto periodo, sarebbe contraria allo scopo e creerebbe una disparità di trattamento ingiustificata tra queste due categorie di persone e quindi ha affermato che analogamente a un lavoratore subordinato che può involontariamente perdere il suo lavoro dipendente a seguito, in particolare, di un licenziamento, una persona che ha esercitato un’attività autonoma può trovarsi costretto a cessare tale attività. Questa persona potrebbe pertanto trovarsi in una situazione di vulnerabilità paragonabile a quella di un lavoratore subordinato licenziato. In simili circostanze, non sarebbe giustificato che detta persona non beneficiasse, per quanto riguarda il mantenimento del suo diritto di soggiorno, della tutela di cui gode una persona che abbia cessato di essere un lavoratore subordinato. Poiché la NASpI, già prevista nel nostro ordinamento, si riferisce a un ristrettissimo numero di professionisti, è evidente che, alla luce della sentenza citata dovrà essere predisposta un’analoga tutela per tutti i professionisti, che abbiano involontariamente perso il reddito. Si tratta ora di stabilire a chi competa sostenerne gli oneri e cioè se alle Casse di previdenza dei professionisti oppure allo Stato. Supponendo che i beneficiari possano essere 50.000, calcolati su una platea di professionisti di 1.500.000, il costo sarebbe il seguente € 1.300,00 x 50.000 = € 65.000.000,00 al mese x 13 mensilità = € 845.000.000,00 in ragione d’anno. Le singole Casse di previdenza non sono in grado di far fronte al pagamento di questa indennità lo sarebbero forse creando un’unica Cassa per tutti i professionisti mediante la costituzione di un fondo ad hoc . Lo Stato potrebbe accollarsi l’onere, venendo così finalmente incontro alle richieste di decontribuzione avanzate dalle Casse. Come sempre accade in questi ultimi anni, non è il legislatore bensì la giurisprudenza, nazionale ed europea, a dettare le linee cosa che un legislatore un po’ più lungimirante ben potrebbe anticipare.