La condanna per tentato omicidio non basta per considerare pericoloso lo straniero

Riprende vigore la richiesta di autorizzazione per poter stare ancora in Italia, vicino alla figlia minorenne e alla compagna. Per i Giudici è necessario approfondire il tema della pericolosità dello straniero, anche tenendo presente che la condanna subita è unica e risalente nel tempo.

La acclarata responsabilità penale per un tentato omicidio non è elemento sufficiente, secondo i Giudici, per ritenere lo straniero pericoloso e negargli la permanenza in Italia, da lui richiesta per poter stare vicino alla figlia e alla compagna Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza numero 3728/21 depositata il 12 febbraio . In prima battuta è il Tribunale per i minorenni a respingere la domanda presentata da un cittadino argentino e mirata ad ottenere «l’ autorizzazione a rimanere in Italia nell’interesse della figlia minore». Sulla stessa linea, poi, anche la Corte d’Appello. I Giudici di secondo grado spiegano che «nel bilanciamento tra le esigenze di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato e l’interesse della minore al sostegno di entrambe le figure genitoriali nel suo percorso di crescita psico-esistenziale» va assegnato «preminente rilievo agli interessi pubblici generali, attesa la particolare gravità del reato del quale l’uomo si è reso autore – segnatamente il delitto di tentato omicidio in concorso per il quale è stato condannato in via definitiva alla pena di tre anni, sei mesi e venti giorni di reclusione –», anche tenendo presente che l’uomo «non ha mai mostrato segni di ravvedimento o sentimenti di solidarietà nei confronti della vittima». In aggiunta, poi, i Giudici d’Appello affermano che l’ allontanamento dello straniero dal territorio nazionale «non può costituire un pregiudizio per la crescita equilibrata della figlia minore, che risulta ben radicata in Italia e può contare sulla vicinanza della madre, prossima a diventare cittadina italiana». Col ricorso in Cassazione il legale dell’uomo contesta nettamente le valutazioni compiute in Appello. Difatti, innanzitutto egli considera « opinabile l’apprezzamento dell’inesistenza di un pregiudizio per la minore derivante dall’allontanamento del padre, descritto, invero, dai funzionari del ‘Servizio Sociale’ territoriale come figura di riferimento per l’intero nucleo familiare e per la figlia in particolare». Ciò che è clamorosamente evidente , però, secondo il legale, è che i Giudici di merito «hanno omesso di indicare qualsivoglia elemento atto a far ritenere l’attuale pericolosità dell’uomo, tale da giustificare la soccombenza del preminente interesse della figlia minore a conservare una significativa relazione affettiva con il padre e a vedersi assicurato il suo diritto alla coesione familiare». E sul tema della presunta «pericolosità» dello straniero, infine, il legale pone anche in rilievo «l’ unicità della condotta criminosa posta in essere» dal suo cliente, «la sua lontananza nel tempo e la sua natura di reato non commesso in ambito familiare». Queste obiezioni meritano un approfondimento in un nuovo processo d’Appello, riconoscono i Giudici della Cassazione. In secondo grado, viene rilevato, «si è ritenuto che gli interessi pubblici generali dovessero prevalere sull’interesse della figlia minore a valersi del sostegno psico-affettivo della significativa figura paterna e sul suo diritto alla coesione familiare, assegnando esclusivo rilievo alla condanna subita dall’uomo per il grave reato commesso». Ma, annotano i magistrati del ‘Palazzaccio’, nulla è stato detto per dimostrare che «la permanenza del cittadino straniero sul territorio nazionale costituisse una minaccia concreta ed attuale per l’ordine pubblico o la sicurezza nazionale». E questa lacuna – da colmare con un nuovo processo d’Appello – è ritenuta ancora più importante «in considerazione dell’unicità e della risalenza nel tempo della condotta criminosa della quale l’uomo è stato riconosciuto colpevole», concludono dalla Cassazione.

Corte di Cassazione, sez. I Civile, ordinanza 12 novembre 2020 – 12 febbraio 2021, numero 3728 Presidente Campanile – Relatore Scordamaglia Fatti di causa 1. Con decreto del 21 giugno 2018 il Tribunale per i Minorenni di Bologna respingeva la domanda proposta da Fr. Ju., cittadino argentino, ai sensi dell'articolo 31 del decreto legislativo numero 286 del 1998, per ottenere l'autorizzazione a rimanere in Italia nell'interesse della figlia minore Fr. Vi 2. Avverso tale provvedimento Fr. Ju. proponeva reclamo dinanzi la Corte di appello di Bologna, chiedendone la riforma ed il rilascio dell'autorizzazione a restare in Italia. La Corte di appello respingeva il reclamo e confermava il decreto impugnato, adducendo che, nel bilanciamento tra le esigenze di ordine pubblico e di sicurezza dello Stato e l'interesse della minore al sostegno di entrambe le figure genitoriali nel suo percorso di crescita psico-esistenziale, si doveva assegnare preminente rilievo agli interessi pubblici generali, attesa la particolare gravità del reato del quale l'istante si era reso autore nel 2011 - segnatamente il delitto di tentato omicidio in concorso per il quale il Fr. era stato condannato in via definitiva alla pena di anni tre, mesi sei e giorni 20 di reclusione -, rispetto al quale egli non aveva mai mostrato segni di ravvedimento o sentimenti di solidarietà nei confronti della vittima ciò tanto più che il suo allontanamento dal territorio nazionale non poteva costituire un pregiudizio per la crescita equilibrata della minore, che risultava ben radicata in Italia e poteva contare sulla vicinanza della madre prossima a diventare cittadina italiana. 3. Avverso il detto provvedimento ha proposto ricorso per cassazione il Fr., tramite il difensore, articolando un solo motivo. 4. L'intimato Ministero dell'Interno non si è difeso con controricorso. Ragioni della decisione 1. Con l'unico motivo di ricorso viene denunziata, ai sensi dell'articolo 360, comma 1, numero 3, cod.proc.civ., la violazione dell'articolo 31 del D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286 e dell'articolo 3 della Convenzione dei diritti dell'infanzia. Si evidenzia, al riguardo, che, a parte l'opinabile apprezzamento dell'inesistenza di un pregiudizio per la minore derivante dall'allontanamento del padre, descritto, invero, dai funzionari del Servizio Sociale territoriale come figura di riferimento per l'intero nucleo familiare e per la figlia in particolare, il Collegio di appello aveva omesso di indicare qualsivoglia elemento atto a far ritenere l’attuale pericolosità del genitore, tale da giustificare la soccombenza del preminente interesse della minore a conservare una significativa relazione affettiva con il padre e a vedersi assicurato il suo diritto alla coesione familiare. Aspetto, quello posto in risalto, sul quale il Collegio di merito avrebbe dovuto specificamente motivare, in considerazione dell'unicità della condotta criminosa posta in essere dal Fr., della sua lontananza nel tempo e della sua natura di reato non commesso in ambito familiare. 2. Il ricorso è fondato. 2.1. L'articolo 31 D.Lgs. 25 luglio 1998, numero 286, riconosce allo straniero familiare di un minore che risiede sul territorio italiano il diritto di ottenere l'autorizzazione alla permanenza sul territorio italiano laddove sussistano gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico del minore stesso e tenendo conto dell'età e dello stato di salute. 2.2. Secondo l'interpretazione di questa Corte < < In tema di autorizzazione all'ingresso o alla permanenza in Italia del familiare di minore straniero che si trova nel territorio italiano, ai sensi dell'articolo 31, comma 3, del D.Lgs. numero 286 del 1998, il diniego non può essere fatto derivare automaticamente dalla pronuncia di condanna per uno dei reati che lo stesso testo unico considera ostativi all'ingresso o al soggiorno dello straniero nondimeno la detta condanna è destinata a rilevare, al pari delle attività incompatibili con la permanenza in Italia, in quanto suscettibile di costituire una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale, e può condurre al rigetto della istanza di autorizzazione all'esito di un esame circostanziato del caso e di un bilanciamento con l'interesse del minore, al quale la detta norma, in presenza di gravi motivi connessi con lo sviluppo psicofisico, attribuisce valore prioritario ma non assoluto> > Sez. U, numero 15750 del 12/06/2019, Rv. 654215 - 01 . 2.2. Alla stregua di tale dictum, emerge come il provvedimento impugnato non si sia attenuto a tutti i criteri stabiliti dall'articolo 31 D.Lgs. 286/1998 nell'interpretazione autorevolmente resane. La Corte di appello, infatti, ha ritenuto che gli interessi pubblici generali dovessero prevalere sull'interesse della minore a valersi del sostegno psicoaffettivo della significativa figura paterna e sul diritto di questa alla coesione familiare assegnando esclusivo rilievo alla condanna subita dal Fr. per il grave reato commesso, senza nulla motivare in ordine alle specifiche ragioni per le quali da essa si dovesse desumere che la permanenza del Fr. sul territorio nazionale costituisse < < una minaccia concreta ed attuale per l'ordine pubblico o la sicurezza nazionale> > e ciò ancorché si trattasse di profilo meritevole di peculiare approfondimento motivazionale, in considerazione dell'unicità e della risalenza nel tempo della condotta criminosa della quale l'istante era stato riconosciuto colpevole. 3. Il motivo va, pertanto, accolto e il decreto impugnato deve essere cassato con rinvio anche per le spese del presente grado alla Corte di appello di Bologna, Sezione per i Minorenni, in diversa composizione. P.Q.M. Accoglie il motivo di ricorso, cassa il decreto impugnato e rinvia anche per le spese del presente grado alla Corte di appello di Bologna, Sezione per i Minorenni, in diversa composizione. In caso di diffusione del presente provvedimento omettere le generalità e gli altri dati identificativi, a norma dell'articolo 52 D.Lgs.196/03 in quanto imposto dalla legge. Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Prima Sezione civile, il 12 novembre 2020.